Apokalypsis

Il Siracide (Ecclesiastico, opera forse scritta tra il 190-175 a.C.) formula la teoria della retribuzione  e la basa sul sofer, lo scriba, che dà rilievo al canone legalistico.
ll sofer è colui che comprende consiglio e scienza ed indaga nei misteri divini grazie alla musar (paideia, educazione)  fondendo saggezza e profetismo, mettendo insieme timore di Dio e Legge.
Il siracide, così rendendo manifesto il valore educativo dell’insegnamento e fondando la gloria divina sulla legge dell’alleanza del signore (39,7,8), dà un ruolo di interprete allo scriba ed ufficializza così l’esegesi biblica, considerandola ispirata.

Lo scriba, perciò, diventa colui che scopre, leggendo e studiando i profeti, il piano di Dio (oikonomia theia) su Israel ed in un certo senso lo annuncia, non, però, come profeta ma come studioso che ha letto nelle sacre lettere il volere di Dio: la lettura della Sapienza e dei Profeti diventa centrale per comprendere il piano di Dio sulla natura e sulla storia.
Non solo lo scriba ma anche il traduttore e tutti gli addetti alla lettera sacra e gli interpreti dei sogni  ed anche i profeti hanno qualcosa di divino in quanto operano sul mysthrion e sul logion.
Da qui lo studio di Filone (Vita di Mosé ,II,25-44) che usa i termini enthousiasmos per indicare lo stato divino degli ermeneuti-  i quali sono considerati ierophantes e prophetai- e Dio suggeritore (upoboleus) che  ha dato come dono al “poihths” , entheos  kai emphron  (cfr Platone, Ione, 534b) e lo ha fatto vaso  per parlare,  per dire i suoi oracoli/logia.
Da Filone, quindi, deriva, come anche da Aristea, la tradizione degli ermeneuti  ispirati  come i profeti, per cui  i  padri della Chiesa , anche loro, si considerano  profeti, uomini  che hanno in sé già la verità, rivelata loro da Dio, parzialmente, intravista.
Questo è,  dunque, il compito dello scriba e di ogni ermeneuta, traduttore e  perfino di ogni lettore incaricato della lettura biblica( cfr. I Contemplativi  filoniani di  Vita Contemplativa ): fare esegesi pneumatica, spirituale, passando anche per quella letterale e  morale!.
Si dà per scontato che l’individuo addetto alla lettura e alla scrittura sia necessariamente spoudaios/serio perché dotato di poteri divini e quindi santo e giusto.
Da qui anche la coscienza propria dello scriba di essere depositario della saggezza,  tramandata da padre in figlio in una successione ideale, che è anche rivelazione di Dio, che, come dono, si offre a chi lo cerca:
Tahalif (44.17; 46,12.48,8) usato come successione comporta una trasmissione di compiti e funzioni  in senso genealogico,  magistrale!.
La funzione dello scriba è quella di difendere la tradizione giudaica dall’ellenizzazione, in un’ opposizione di musar a paideia, e quindi ha valore apologetico da una parte e di svelamento della verità, di scoprimento della rivelazione, di epifaneia del segreto divino, da un’altra, dove la scoperta non è merito di chi cerca, ma premio di Dio, che concede per amore.
Tutti questi concetti sono sottesi in apokalypsis (da apocalyptoo, svelo, scopro, manifesto, rivelo, la cui area lessicale e semantica ben esplorata, dà valenze nuove significative anche sulla funzione del sofer) e sono in seguito applicati indebitamente, in senso cristiano, alla figura di Christos, che non ha neppure quella formazione specialistica!.
La funzione dello scriba, comunque, non è merito dell’individuo, ma di Dio stesso, che si mostra e si manifesta tramite la sapienza e i profeti  e rivela il suo piano salvifico su Israele: Mai l’uomo sarebbe stato in grado di decifrare  Dio ineffabile!.
Per il siracide, quindi, lo scriba, affidandosi alla legge e a Dio, teme il signore e pratica la legge ed è sapiente in quanto  la sapienza  è propria di chi teme Dio e pratica la legge...
Il siracide, comunque,  non si pone il problema  deterministico né quello provvidenziale…
Lui, come, poi, Filone, si pone solo “filosoficamente”, teoricamente quid in terris agendum sit et quid agatur in caelo,(secondo la traduzione latina non ben letta dal greco ti epi ghs poihteon kai ti poihtai en ouranooi)  indifferente  se tutto avviene nell’universo per cieco caso o per volontà divina/ utrum ommia in universo caeco casu fiant an  voluntate divina: a lui è sufficiente l’obbedienza a Dio e alla legge: da Dio, sommo bene, unico capace di distinguere il bene dal male,  verrà la retribuzione a chi è fedele!…
Apokalypsis assume, comunque, il valore effettivo che oggi viene dato con gli hasidim/i puri che (mi sembra) abbiano molto in comune col pensiero di Gesù ben Sirah.
Essi inizialmente appaiono come  assemblea di pii  (synagogè Asidaion- ‘adat hasidim I Macc.2,42) costituitasi  in appoggio a Mattatia nel 167-6 a.C. come partito che lotta in difesa della tradizione comune contro gli ellenisti e contro  Antioco IV.
Essi sono operativi  in questa epoca ma hanno un’ origine più antica ed una preparazione militare già collaudata: si può dire perciò che gli hasidim da oltre una generazione erano più o  meno presenti nella storia giudaica  e si opponevano  all’alto sacerdozio e all’ aristocrazia già ellenizzata subito dopo la battaglia del Panion (199 a.c.), ma erano attivi in epoca tolemaica per oltre un secolo, contro i primi tentativi di ellenizzazione lagide.
Sembra che dagli hasidim derivino gli esseni – che dovettero essere attivi dal 152 a .C.  dopo che la carica di sommo sacerdote fu di Gionata – e  i farisei,  presenti in epoca asmonea, sotto Giovanni Hircano ed attivi in epoca di Jamneo.
Gli hasidim compaiono, dunque, agli inizi dell’ epoca maccabaica, ma essi sono  probabilmente la pars eletta del giudaismo dal momento stesso della riforma di Nehemia e di Esdra,  in opposizione alla pars sacerdotale sadducea, vittoriosa  forse con l’aiuto della pars davidida, che si accontentava del culto in una  rigida osservanza  secondo la spirito formale della lettera della Torah, interessata alla vita terrena…
Essi, invece, in quanto spirituali, tendenti alla ricerca della perfezione sono l’espressione più pura del rigidismo legalistico  e della tradizione escatologica profetica, tesi alla vita contemplativa, alla sfera dello spirito.
Essi diventano lo spirito della legge stessa in occasione dell’ellenizzazione della classe sacerdotale gerosolomitana di Giasone e di Menelao, all’atto della formazione di Gerusalemme  Nuova Antiochia, della costituzione del Ginnasio nella città santa e specie nel momento dell’abominio della desolazione (to bdelugma tes eremoseos) del 15 Kislev 167.
Essi si offrono come martiri (edim), desiderosi di dare la propria vita nella lotta per i valori della tradizione giudaica ora minacciata  da Antioco IV e dai sacerdoti corrotti, ellenizzati.
Nel momento della lotta essi irrigidiscono l’ossequio della legge  e, come i soferim, sono i missionari della illuminazione divina  sicuri della fede in Dio  tanto da preferire la morte  piuttosto che  profanare il sabato, disobbedendo all’ordine del re, fuggendo nel deserto,  rispettando, anche lì, i divieti alimentari.
L’esempio stesso  di Daniele (secondo il testo di quell’epoca) che non si ciba di alimenti impuri  e che si isola nella preghiera  è tipico della pietas hasidica,  che, inoltre, ha caratteristiche penitenziali, preannuncianti il giudizio.
L’invito degli agnelli, hasidici, in I Henoc  alle pecore (popolo)  a convertirsi è segno di una richiesta di cambiare vita e di iniziare un’ anakoresis (allontanamento dalla città) con penitenza e  addestramento militare, che sarà proprio del farisaismo, del Battista, di uomini che attendono  la realizzazione  di un Malkuth, convinti di esserne vicini.
Infatti ogni movimento penitenziale ha una visione storica  precisa in quanto, sapendo di aver peccato e quindi di doversi  pentire e convertire, ha coscienza di essere nel tempo dell’ira o tempo della sventura, quale  mai è stato, da quando esistono i popoli (Dan.,12,1 ; I Macc., 9,27).
In Apocalissi delle dieci  Settimane c’è perfino la coscienza  nella settima settimana  della presenza di una generazione di apostati  le cui azioni sono tipiche di  apostasia (I Henoc,93,9)  e in questa coscienza storica c’ è la confortante visione di  JHWH , signore della storia, del suo potere sulla storia umana,  della sua predilezione verso Israele e della sua liberazione con promessa  di instaurare il malkuth-regno  universale, cosmico.
Il sogno di Nabucodonosor, in Daniele, e la sua interpretazione  sono da leggersi secondo la pietas hasidica e la visione di prossimo malkuth.
La statua colossale, che è simbolo dei quattro regni universali con la rappresentazione delle figure allegoriche, con la concezione dei quattro metalli di valore decrescente (oro, argento, bronzo, ferro, indicanti rispettivamente assiri medi persiani, siri) è rappresentazione della storia  destinata ad essere giudaica  a compiersi come malkuth ebraico.
Il fatto che il malkuth ebraico, poi, verrà annientato da Roma sarà causa di momentanea sofferenza  per i maskilim (i saggi)  che vedono imminenti i tempi  della venuta del Signore proprio mentre feroce è il potere della bestia romana: Dio ormai sta per compiere il suo piano salvifico  perché  il potere dell’impero romano è destinato a concludersi a favore del malkuth ha shamaim con l’avvento del mashiah (meshika): resta l’impostazione apocalittica propria dei  soferim, degli hasidim degli esseni e dei farisei  che vedono Dio signore della Storia e che ritengono che solo nell’obbedienza alla legge è la salvezza di Israele con la gloria eterna ed è fase successiva a quella escatologica.
L’Apocalisse di Giovanni è una visione con rivelazione, dopo che è stata fatta la situazione delle sette chiese asiatiche, delle cose che dovranno accadere per premunire i fedeli  di fronte alle minace delle persecuzioni, per infondere coraggio a chi è disorientato  dalle tribolazioni presenti  dalla contemplazione del trionfo del male: lo scrittore ha fede nell’azione del Christos, ritornato a compiere  il suo compito: egli è  convinto che si è alla fine dei tempi e che ci saranno la vittoria finale  e l’inastaurazione del  regno divino  sull’umanità rinnovata, ma sembra chiaro che abbia visto la sconfitta di Shimon Bar Kokba.
La divisione in due parti (una pastorale ed una profetica)  fa risaltare la seconda, rispetto alla prima, in quanto questa incute phobos nel fedele per l’imminenza della realizzazione della  nuova Gerusalemme (21, 1-22 ) dopo il giudizio escatologico (cc. 15-20), per l’avvento della BESTIA, per la fine di BABILONIA,  per la fine DEL MONDO, anticipata da segni premonitori terribili, propri dei giorni dell’ira.
Giovanni  (un giudeo cristiano di epoca gnostica, non certamente l’apostolo prediletto di Gesù ) compie un’azione sincretica fondendo motivi escatologici ed apocalittici sulla scia di Ezechiele e di Daniele come preparazione al ritorno del Cristo trionfante: il linguaggio sibillino, lo stile trascurato, la mistione di simboli allegorici con forme tragiche  rendono enigmatico il libro, anche se dànno un segreto fascino.
Ora l’apocalisse giovannea, cristiana, ha in comune con l’apocalisse ebraica l’idea messianica, successiva all’eschaton: infatti ambedue vedono la catastrofe nazionale e la fine della storia.
Mentre l’ebraismo sprofondando nell’abisso della fine della storia, a seguito della distruzione del guscio etnico, cerca, tramite segni tradizionali, profetiche e sapienziali, segrete vie di sopravvivenza e  trova una mitica realizzazione come rivelazione di un piano nuovo divino sulle rovine storiche,  come innalzamento glorioso e nuova funzione di Sion, in una luce eterna, da cullare in seno,  dalle future generazioni, il cristianesimo innestandosi sulla tradizione giudaica,  diventa erede di una cultura il cui Keerugma come bandizione della morte e resurrezione del signore, con la predicazione aperta ai gentili, diventa prolifico in seno al sistema ellenistico, specie a seguito della crisi istituzionale e religiosa  del mondo romano.
Dalla morte  e dalla resurrezione del Signore deriva la vincente theoria paolina, che ha, però, tutta la pratica religiosa e cultuale  della tradizione ebraica come referente.
Forse la theoria paolina fusa con la  (probabile) Palinodia filoniana (o con le sue risultanze) è stata basilare per la formazione del cristianesimo, consolidatosi, sempre più,  dall’inizio del II secolo d. C, secondo le formule  dioiketiche (amministrative) della struttura trapezitaria ed emporica oniade.
Essa ha sviluppato i temi ellenistici in una penetrazione nel segreto dell’universo, secondo l’indagine dei sopherim   fondendo col platonismo Panezio Posidonio e Seneca.
Infatti viene conosciuta quae universi natura sit /quale sia la natura dell’universo, viene indagato quis auctor aut custos eius fuerit/  chi ne sia stato autore e custode  e quindi quid sit deus / che cosa sia dio  cercando di rilevare totusne in se tendat an etiam in nos aliquando respiciat /se tenda tutto in se stesso o anche guardi talora verso noi, faciat ille quotidie aliquid an semel omnia creaverit /se lui faccia quotidianamente qualcosa o creò ogni cosa una sola volta  oppure utrum ille pars sit mundi an mundus ipse/ se lui sia parte del mondo o sia il mondo stesso.
L’indagine cristiana, infine, vorrebbe chiudere la disputa filosofica sulla provvidenza (utrum deus mundo et homini provideat an beatam et securam vitam a mortalibus seclusam, degat/ se dio provveda al mondo e all’uomoo viva una vita beata e tranquilla, separata dai mortali )  dando speranza (elpis)  di un continuo e provvidenziale  intervento divino per l’uomo,  creatura, prediletta  rispetto a tutti gli altri esseri del creato, fatta a sua immagine come il Kosmos, figlio effettivo, unico,  di Dio (monogenes).
Paolo, e, poi, i cappadoci (specie Gregorio di Nazianzo con le Omelie e Gregorio di Nissa con la Vita di Mosè), rilevano (seguendo la figura del sommo sacerdote, che, ornato, entra  nel tempio per offrire le preghiere tradizionali e le offerte sacrificali) come questo sia immagine stessa dell’intero universo grazie alle figure che porta con sé (la tunica simbolo dell’aria, il melograno dell’acqua, i fiori della terra, lo  scarlatto del fuoco, l’ephod del cielo e i due smeraldi rotondi  su cui appaiono sei incisioni poste sulle spalle, i due emisferi del cielo; le dodici pietre ordinate in tre file di quattro ciascuna sul suo petto rappresentano lo zodiaco e il logheion è l’immagine della ragione che tiene e governa il tutto).
Dalla interpretazione del testo filoniano (Vita di Mosè III.69-70) quasi documentata, sulla scia della tradizione cristiana  apologetica,  da parte dei cappadoci  derivano,oltretutto, la teoria trinitaria e la figura del Christos-logos.
Anagkaion gar en ton ieromenon  to tou kosmou patri paraklhto khrestai teleiotato thn arethn uio,  pros te amnhstian amarthmaton kai khorhgian aphthonotaton agathon/era necessario infatti che chi è consacrato al Padre  dell’universo  si servisse del figlio come aiutante  perfetto nella virtù per ottenere il perdono dei peccati e l’abbondanza dei beni.
Eppure Filone era esplicito nella sua formulazione anancastica conclusiva: ” forse egli (Mosé) vuole anche anticipare l’insegnamento che colui che serve Dio (ton tou Theou therapeuthn) giustamente deve cercare di essere degno se non del Creatore dell’Universo  almeno dell’Universo stesso, di cui indossa l’immagine e di cui deve portare impressa l’effigie  nella mente e perciò mutare la sua natura da umana a quella dell’universo e ( se è lecito-thémis- dire così) deve essere un universo in piccolo ((brakhus kosmos eivai) – non è lecito (thémis)  mentire a chi parla della verità.
Il cristianesimo è davvero  un misto di ellenismo filoniano e di theorie apocalittiche!