I Parte
In memoria di mio zio Giovanni Filipponi, il mastro
I libri XIV,XV, XVI, XVII di Antichità Giudaiche trattano della vita di Erode, vista da Giuseppe Flavio, secondo il pensiero sacerdotale, da una parte, sadduceo e, da un’altra, farisaico.
Lo scrittore del Bios è uomo di famiglia sommo- sacerdotale, asmoneo e, quindi, contrario ad Erode, idumeo e filelleno!.
Lo storico, infatti, in Bios, un’altra sua opera, afferma che egli, nato da stirpe sadducea, fa la scelta di essere fariseo: la sua formazione, dunque, non è unilaterale e risente di una sua personale mediazione tra le due grandi sette/aireseis giudaiche.
Molte contraddizioni, dunque, si possono rilevare in uno storico, che ha fatto combaciare due diverse ed opposte filosofie, specifiche della musar/cultura aramaica, specie quando è entrato a contatto con la cultura ellenistica, tramite la conoscenza orale della lingua greca e con essa della filosofia ellenistica medio-platonica.
Flavio si serve come base linguistica del giudaico mishnico e dell’aramaico, a seconda della sua funzione rituale templare e della sua comunicazione quotidiana popolare e, perciò, risulta un giudeo di difficile lettura e comprensione, dato il contesto flavio, in cui opportunamente scrive, seguendo le fonti storiche imperiali, da una parte filoaugustee e da un’altra antoniane.
L’imperium romano è giustificato anche nella successione della domus Flavia alla domus giulio-claudia, fondatrice della costituzione assoluta sebasta/augusta, nonostante la pur velata presenza della letteratura repubblicana di Asinio Pollione, di Messala Corvino, di Tito Livio e di scrittori ellenistici come Nicola di Damasco e di Strabone di Amasea.
Lo studio della figura di Giulio Erode nel testo di Flavio, dunque è un’operazione complessa per l’ambiguità dello scrittore che, sadduceo, si proclama fariseo e diventa un romanizzato acculturato superficialmente in senso ellenistico, alla ricerca di una propria collocazione nella letteratura.
L’ essere diventato con la prigionia, schiavo del dux Vespasiano, un legatus neroniano, da lui subito profetizzato come futuro imperator autocrator del mondo romano, quando ancora vive Domizio Nerone, è segno, al di là della sua personale astuzia giudaica e della volontà di sopravvivenza- in contrasto col generale desiderio di morte degli altri sconfitti di Iotapata – di uno status di incertezza di un triennio, in cui matura la distruzione del Tempio, con la fine di ogni illusione giudaica militaristica, mentre si consuma la tragedia di un popolo che rifiuta il dominio romano, cosciente di aver un solo padrone, Dio.
E’ un triennio, in cui lo scrittore matura un nuovo modo di vedere la storia non più sotto l’oikonomia divina ma sotto quella romana, in cui si va allineando, indifferente ai tanti insulti dei vari strati aristocratici ebraici ed anche di quelli popolari, divenuto odioso ai sadducei, inviso ai farisei, spregiato dagli zeloti aramaici condannato dagli esseni e dai discepoli di Yohakanan ben Zaccai – che proprio ha vaticinato l’avvento al potere di Vespasiano,- che è il vero propheths-.
Inoltre il fatto che restano integri solo i trattati di Flavio e di nessun altro storico (nemmeno quelli di Giusto di Tiberiade) e che poco o niente si sa di quelli ellenistici o romani, di cui si hanno solo sunti e notizie staccate, mal disposte come quelle di Tacito nelle Storie (V) – di cui non è facile ritrovare le fonti – comporta una dittatura culturale da parte dello scrittore giudaico sui posteri che, per di più, sono condizionati dai giudizi delle fonti cristiane, unilaterali nella loro visione storica e nel giudizio di condanna ad Erode.
Noi, per il nostro studio sul Re, un ex privato cittadino Giulio, giunto inopinatamente al potere, abbiamo pensato di rilevare dapprima la sua formazione in relazione e all’eredità paterna idumea e a quella nabatea della madre in un contesto pagano di un giudaizzato in epoca maccabaica, poi di vedere le relazioni con sadducei e coi farisei ed esseni, in modo da leggere la sua impostazione generale giudaica nel quadro dell’ellenismo e della romanitas imperante, in stretta relazione con gli oniadi alessandrini (Cfr. Antipatro padre di Erode e Erode basileus, figlio di Antipatro).
Infine leggiamo la sua regalità, divisa in due parti, una iniziale sotto la protezione diretta di Antonio ed una di massimo equilibrio in un regno, affidatogli da Augusto, dopo Azio, e conservato con molta abilità politica fino alla costruzione del Tempio, a cui segue un’altra basileia compromessa con i romani fortemente osteggiata dal movimento essenico farisaico.
Da qui la degenerazione zelotica, la fine della funzione erodiana di mediazione in uno stato cuscinetto e quindi l’inutilità della conservazione di un regno socius per i Romani!.
Mi sembra che H. Charles Puech (Le religioni in Egitto, Mesopotamia e Persia, Laterza 1988) abbia ben compreso la funzione generale del regno di Erode il grande, come anche G. Prause (Erode il Grande, Rusconi 1981) e anche M. Noth (Storia di Israele, Paideia 2011), in relazione a quello asmoneo, con cui deve commisurarsi nel periodo antoniano, prima di Azio, in una lotta con Alessandra sua suocera, amica di Cleopatra, che ha mire espansionistiche sul suo territorio-specie sulla fascia costiera e sul bacino del Giordano e del Mar Morto- e su quello di Malco, re di Nabatea.
Sotto il patronato di Antonio su tutto l’Oriente romano, prima di Azio, comunque, abbiamo rilevato l’opposizione di una pars aramaica ad Erode basileus, che ha ancora una legittima regina che aspira alla riconquista del regno asmoneo, finito tragicamente con la morte di Antigono ad Antiochia e che ha profonde connessioni con la tetrarchia di Lisania ( Cfr. Tetrarchia di Lisania).
Ora dopo la conquista di Gerusalemme e la presa del Tempio, alla fine di luglio del 37, Giulio Erode, un civis , idiooths, è re di Giudea, non amato dai Gerosolomitani, divisi in partigiani ellenistici, filoromani e in avversari aramaici che, neanche sotto tortura, accettano di chiamare Basileus/re un romanizzato imposto da Antonio, essendo vivi ancora gli Asmonei e il loro legittimo maran.
Eppure tutti sanno del recente matrimonio celebrato da Erode a Samaria con Mariamme, figlia di Alessandro e di Alessandra, nipote di Hircano- che vive in Mesopotamia sotto la protezione di Fraate-, sorella di Aristobulo III, il legittimo erede asmoneo!
Erode divenuto re, ha promosso i suoi partigiani, dando loro cariche ed onori e ricchezze, dopo aver derubato i ricchi ed ucciso 45 irriducibili aramaici e confiscati i loro averi (Ant. Giud., XV -1-16).
In Guerra Giudaica (I, 18,4.338) si dice in modo riassuntivo: Erode sottopose ad epurazione gli abitanti della città e coloro che erano dalla sua parte se li rese ancora più favorevoli con la concessione di onori, mentre i partigiani di Antigono li annientò.
Si sa che essendoci scarsezza di denaro muta in monete (Flavio -Ibidem- conia l’apacs legomenon katanomisteuo faccio monetare –illegalmente? provvisoriamente?-) i beni dei nemici e quelli suoi personali.
La sua politica di repressione è dovuta al fatto che ha estremo bisogno finanziario in quanto l’anno è sabbatico per cui, per legge, la terra deve riposare e il re non può riscuotere i tributi agricoli e quindi deve necessariamente punire i nemici per aver denaro sufficiente per pagare e ricompensare adeguatamente Antonio e i romani, per averlo liberato da Antigono.
Flavio e Strabone dicono che non esiste altro modo per far regnare Erode, un civis, sulla Giudea: far scomparire con infamia il legittimo re e sperare nell’attenuarsi del ricordo del sovrano asmoneo e del diminuire dell’odio popolare contro il re imposto da Roma (ibidem, 10).
Essendo in Gerusalemme presente una legione romana, utile a mantenere l’ordine per Erode, contestato nella sua regalità, nonostante l’appoggio del Sinedrio, e mantenendosi il popolo giudaico fortemente asmoneo, non è facile governare per un re, in un contesto di lingua aramaica e filoparthico, che segue il triumviro Antonio, intenzionato ad invadere la Parthia, seguendo i piani di Cesare, in una propaganda antiottavianea, basata su Cesarione, figlio naturale, legittimo erede di Giulio Cesare e Cleopatra, legittima moglie, rispetto al triumviro Occidentale, figlio adottivo (Dione Cassio,St.Rom., XLIX,41,2; L.1,5).
Noi abbiamo studiato la propaganda ottavianea occidentale e curato poco quella antoniana,orientale, fatta da eccezionali uomini di cultura, abilissimi a creare paradigmi operativi pittorici, scultorei, retorici sublimi, basati sul mythos della ierogamia con assimilazione di Antonio in Osiride o Dioniso e Heracles, e di Cleopatra in Selene ed Iside -Hathor (Cassio Dione Ibidem, L.5.5)!
Antonio ha già un suo progetto politico rivoluzionario (neoteropoiia) con divinizzazione (ektheosis), basato sulla ierogamia con Cleopatra, moglie legittima di Cesare, madre di Cesarione destinato ad essere l’erede della fortuna universale di Cesare, di cui lui tutor e patronus cesariano, governa da Alessandria l’imperium romano, ricostruito nella sua unità, dopo la conquista dell’impero Parthico.
Mai abbiamo considerato possibile che la diplomazia segreta di Ottaviano abbia potuto precedere quella di Antonio e favorire la parziale sconfitta del triumviro con la defezione di Artavaste II di Armenia, contattato e pagato da kataskopoi/spie per tradire e lasciar morire migliaia di romani per il successo della propaganda ottavianea!
L’impassibilità di Artavaste davanti alla morte dei milites di Oppio Staziano, potrebbe essere quella dell’ argentarius Ottaviano, capace di tutto per ottenere la coniuratio civium e il successo finale, anche di rubare il testamento di Antonio, alle Vestali e di sacrificare la sorella Ottavia!
E’ in gioco il dominio del Mondo tra il figlio adottivo di Cesare e il figlio legittimo di Cesare e Cleopatra, legittima moglie! il mondo romano è diviso in due: l’Occidente è per Ottaviano; l’Oriente per Cesarione.
Gli interessi sono infiniti perché Roma perde la centralità nell’impero a favore di Alessandria: Antonio non lascia Ottavia per Cleopatra, ma l’urbs latina per la polis ellenistica, dove vuole essere sepolto, in una rinuncia della propria tradizione culturale e in una scelta della paideia greca.
Roma o Alessandria?
Chi sarà la nuova capitale del Mondo!
Nel sublime disegno antoniano, l’elezione a re di Erode ha valore provvisorio e rientra in una logica antiparthica come opposizione dell’ellenismo alla barbaries, della paideia alla musar aramaica, e della fusione della cultura alessandrina col militarismo romano.
La costituzione della basileia erodiana è connessa con quella di altri re in un’ottica antiparthica per una formazione di una siepe antibarbarica in un annientamento del precedente assetto filoparthico, creato dalla dinastia arsacide, erede dei seleucidi ed achemenidi, che avevano posto tra la Siria e l’Eufrate dinasti e tetrarchi o reguli di propria nomina.
Erode, pur avendo conquistato il suo piccolo regno con le armi grazie alle legioni di Sosio, legatus antoniano, pur imparentato con gli asmonei, è basileus di nome, specie in Gerusalemme e nella sua reggia.
Non solo la popolazione di Gerusalemme ma anche la stessa corte erodiana, vivente in città, (forse al Cesareo!) nella città alta, è divisa tra la fazione idumea e quella asmonea, residenti in due aree separate del Palazzo regale.
Non è pensabile in questa prima fase di regno, dopo un trasferimento da Samaria, a fine guerra, l’uso contemporaneo dei due palazzi asmonei gerosolomitani, specie quello, abitato da Antigono ancora da ricostruire.
Nel XV libro Flavio mostra come Erode gestisca a fatica l’ oikos /patrimonio familiare /domus nel quinquennio 37-33 : egli ha due famiglie, che vivono separatamente nella stessa corte, a Gerusalemme, quella idumea – che gravita intorno a Cipro, sua madre e sua moglie Doris con suo figlio Antipatro e i figli di Fasael, col fratello Ferora e la sua famiglia, con Salome e la sua famiglia e con la servitù – e quella asmonea, in cui è centrale la figura di Alessandra, sua suocera con sua moglie Mariamne e col fratello Aristobulo III, coi parenti superstiti della linea di Aristobulo II e con Hircano, ora ritornato da Babilonia col permesso di Fraate IV.
La corte è un covo di vipere dove tutti, idumei ed asmonei (ormai è cessata la rivalità tra hircaniani e aristobulei!), pur avendo in comune religione e tradizione oltre la lingua aramaica, si scontrano in nome dell’aramaicità, che è un termine equivoco e contraddittorio, che vale in relazione ai patimenti sofferti dai singoli gruppi ad opera dei romani che, comunque, hanno favorito Erode e i suoi.
Essere aramaico non è solo un sistema di vita antiromano, proprio di uomini che hanno in comune la religione mesopotamica dei padri e la stessa lingua, che li affratella ai popoli della confederazione parthica, e che aspirano ad una ricongiunzione sotto la sovranità del re dei re, ma è anche un’opposizione ad Erode, re illegittimo, uomo di menzogna, divenuto, lui Giulio, filoantoniano dopo essere stato un seguace di Cassio cesaricida, nella lotta col cesariano Dolabella, non solo per gli esseni e farisei, ma anche per molti romani, che, temendolo, rilevano le doti di opportunismo politico.
Essere filoromano perciò diventa per tutti una necessitas, che cela, sotto ogni atto cortigiano, da una parte, la paura di altre stragi asmonee, tipica di Alessandra- già provata ed ammaestrata dalla morte del marito e del cognato, del suocero- e dei suoi figli, viventi con cugini orfani e da un’altra, secondo il proprio credo in un tentativo di maggiore ellenizzazione, rispetto agli stessi asmonei, sacerdoti e sadducei, ellenizzati da oltre un secolo, convinti della fatalità del destino di Roma, prediletta da Dio, destinata all’imperium universale.
La corte è piena di spie romane, infiltrate tra la servitù e tra i militari di guardia e la situazione in quei tre mesi subito dopo la presa del tempio, è veramente caotica nel clima della guerra Romano-parthica, la cui prima fase è stata favorevole a Roma grazie al legatus piceno Ventidio Basso, ora di nuovo paventata per l’attuazione di piani cesariani da parte di Antonio, intenzionato ad invadere la Parthia da nord-ovest, dalla Media Atropatene.
Infine, ormai Antonio è nell’orbita diplomatico-politica egizia ed innamorato di Cleopatra, a lui condotta da Gaio Erennio Capitone ad Antiochia, dopo il rinvio a Roma di Ottavia che, comunque, aristocraticamente i mantiene a sua disposizione e coopera con suo marito, pur infedele, consegnandogli perfino le truppe, promesse dal fratello seppure in ritardo, rispetto alla già conclusa impresa parthica.
Il triumviro orientale ha ormai legato il suo destino a quello egizio lagide, come Giulio Cesare, di cui porta avanti ogni progetto, convinto della necessitas di una costituzione nuova statale divina con centro Alessandria per tutto l’imperium romano, destinato a spostare i confini fino all’India, in una concezione universale dell’oikoumene, di cui il matrimonio di Dioniso/Antonio ed Iside/Cleopatra è figura.
Il teatro di guerra in tale piano è l’ Armenia, da dove iniziare l’avanzata delle legioni romane già impegnate e stanziate nelle province di Asia, Siria e Bitinia, insieme alle truppe ausiliarie dei reguli filoromani tra cui Erode, e ai contingenti militari dei re di Iberia e di Albania, regioni caucasiche, da poco vinti da Publio Canidio Crasso, in un coordinamento di forze mai visto fino ad allora.
In questo clima bellico ci sono spostamenti grandiosi di eserciti ed intense attività diplomatiche presso le corti, e celere è la corsa dei tabellarii da ogni parte del mondo romano.
Il dux Antonio- seguito dal suo consilium principis (Vibio Tizio e Munacio Planco, Quinto Dellio e Domizio Enobarbo ) e dalla guardia praetoria e da Cleopatra, incinta di Tolomeo Filadelfo e dai suoi ministri (non è improbabile la presenza di Tolomeo Cesarione col suo precettore Rodone, undicenne, da presentare ai milites, come legittimo erede di Cesare!) – resta in attesa del concentramento di forze in punti chiave dell’Oriente, mentre va sistemando, a settori, l’area siriaca ancora dominata da forze antipartiche, specie la Celesiria e la zona della tetrarchia di Lisania (una regione molto vasta , che si estende sopra l’alta Galilea-Gaulanitide, Ulatha, Paneas Auranitide, Batanea Traconitide, zona di Calcide fino a lambire il mare Mediterraneo- un covo scelto come impenetrabile rifugio da Lhistai/ ladroni.
La partenza da Antiochia è fissata per i primi mesi del 36 verso il deserto, per l’Arabia e per la Commagene: è previsto un iter lento con molte fermate, connesse con i preventivati incontri con sovrani locali, fino a Zeugma, dove giunge ai primi di Giugno.
Mentre ad Antiochia, questi sono i disegni di Antonio, a Gerusalemme, nell’estate di quell’anno tragico per la presa del Tempio, le due famiglie di Erode sono animate da differenti logiche in quanto sono in effetti due clan tribali, che hanno il consenso specifico di altre famiglie e formano due partes/ fazioni, in lotta fra loro su ogni atto politico, amministrativo, economico e sociale del re, la cui auctoritas è contestata, data l’illegittimità dell’elezione del civis/poliths Ioulios, imposto da Roma a scapito degli asmonei, legittimi basileis ebraici.
Erode cerca subito il riconoscimento della sua Basileia da parte di Fraate sulla base di un potere esistente, seppure in comunione con Hircano, per poter giustificare il suo regno nei confronti dei Parthi e di tutti gli aramaici.
Il primo problema per lui è quello del riconoscimento del suo stato da parte dei Re dei re di Parthia, Fraate IV, figlio di Orode II e fratello di Pacoro, che ha iniziato a regnare da poco e che ha fatto strage di fratelli, sostenuto da ebrei aramaici e da Hircano il sommo pontefice gerosolomitano, deportato, ma lasciato in Mesopotamia nella sua dignità sacerdotale, nonostante la menomazione delle orecchie, inflittagli dal nipote.
Senza l’assenso di Fraate e senza la presenza in patria del sommo pontefice non ci può essere Basileia/regno in Giudea: la lettera di cui parla Flavio è segno di un lungo periodo di tentativi di rapporti diplomatici, di cui gli esseni e i farisei dovrebbero essere garanti. La lettera (forse degli archivi di corte asmonea!), letta dallo storico, è di grande efficacia retorica!.
E’ probabile, quindi, che il ritorno di Hircano sia nel quadro di una intesa diplomatica tra i due grandi contendenti tra Roma e la Parthia, quando ancora non sono collaudate e sicure le alleanze.
Il termine Phthoneoo nel senso di ricuso e nego ( che vale ho difficoltà a mostrare qualcosa a qualcuno Ti tini ) potrebbe significare non ricuso ad uno che ha potere una comune regalità (Il comune.. regno).
L’uso dell’iperbato koinhn …basileian incastrato con dunamei …ecsonti mette in evidenzia che l’autore vuole dire che Erode cerca il riconoscimento da parte di Fraate della sua regalità sulla base di un potere esistente , seppure in comunione con Hircano, per poter giustificare il suo regno, nei confronti dei Parthi e di tutti gli aramaici.
Fraate, quindi, appare disponibile e conciliante verso l’area giudaica ed è non spietato nei riguardi di un re antiparthico, appositamente messo dai romani, che hanno soppresso la legittima dinastia asmonea filoparthica.
Eppure dovrebbe essere allertato dalla operazioni di sistemazione dell’area da parte di Antonio, che ha soppresso la provincia di Cilicia, dopo aver dato rilievo alle province di Asia, Siria e Bitinia, in un disegno di protezione del confine sull’Eufrate con stati cuscinetto e con l’eliminazione di quelli antiromani.
Infatti il costituito nuovo regno di Giudea e la nomina di Aminta re di Galazia (con l’aggiunta di Pisidia e Licaonia con porzioni di Panfilia), e quella di Archelao re di Cappadocia e di Polemone re del Ponto e di Armenia minor, e la stabilizzazione del Regno di Egitto con accrescimenti di territori verso Siria, la costa fenicia, dopo la soppressione della tetrarchia di Calcide e la concessione a Cleopatra di Cipro e di fasce territoriali della Cilicia, dovevano suonare atti di sfida alla orecchie del re dei Re, una provocazione romana alle rivendicazioni achemenidi del Regno arsacide.
Perciò la concessione di una koinh basileia da parte di Fraate all’interno della famiglia erodiana,(equivalente ad un doppio riconoscimento del potere erodiano e da Roma e da Ctesifonte) invece di pacificare le parti, rende più netta la situazione per la questione bellica, in quanto gli aramaici di corte sono filoasmonei come i farisei e gli esseni, che sobillano il popolo connesso con le altre popolazioni aramaiche delle regioni ciseufrasiche, di cui si conoscono i rapporti con gli aramaici di Mesopotamia.
Il ritorno di Hircano e la nuova elezione del Sommo sacerdote nella figura del Babilonese Ananelo, amico di Erode, non pacificano la nazione – dopo il trattato con Fraate che, col suo riconoscimento del nuovo sovrano, accetta la disposizione antoniana di Siria, di Armenia e di Giudea e di Egitto- e diventano segno di un’ulteriore divisione fra le due famiglie che, dal loro privato contrasto, fanno divampare un incendio nazionale, fomentato dalla partecipazione erodiana ai preparativi di guerra antoniana, oltre che dalla perdita di territori, appetiti da Cleopatra.
A livello internazionale, infatti, agli inizi della ripresa dell’ impresa parthica, nonostante il clamore dei movimenti militari, anche Antonio si muove, più per un’ispezione territoriale che per una deliberata invasione secondo i piani cesariani ed è conciliante con Fraate, che è cauto perché deve ancora prepararsi alla difesa territoriale.
In questo contesto di incertezza diplomatica, Alessandra ha solo l’amara bocciatura della candidatura a sommo sacerdote di suo figlio Aristobulo e non si cura della mutata situazione politica e della superiorità dell’elemento filoromano.
La famiglia asmonea e tutti gli aramaici si oppongono stolidamente ad Erode e sono sul piede di guerra perché convinti che il diritto della archieroosunh spetti ad Aristobulo, in quanto, erede di Hircano, è epishmos, cioè uomo di famiglia sacerdotale distinta, rispetto al babilonese che è di famiglia sacerdotale ashmotera, piuttosto oscura.
Prevale nella famiglia asmonea il fattore religioso giudaico rispetto ai problemi della politica internazionale!
Cosi scrive Flavio che mostra anche l’animo astioso, risentito, di Erode (Ibidem, 21-22): Tuttavia, placato il Partho, Erode, accolse con grande onore Hircano, avuto i denari per il viaggio dai giudei: gli concedeva nelle adunanze del sinedrio il primo posto, nei conviti il più onorato letto, e lo ingannava molto chiamandolo padre, mentre ordiva piani insidiosi contro di lui. Disponeva con lui inoltre quanto era conveniente per le cose del regno, per cui sorse una sedizione in famiglia: infatti, mentre si ingegnava che non fosse sommo sacerdote un uomo nobilissimo, chiamò un sacerdote di bassa condizione da Babilonia, chiamato Ananelo e a lui diede il principato del sacerdozio.
L’ elezione fatta da Erode, dunque, col consenso di Hircano, (che per legge non può più esercitare il sommo sacerdozio, perché menomato, e che non tiene in considerazione suo nipote Aristobulo, troppo giovane- deve entrare ancora nel diciassettesimo anno!-) e con l’autorizzazione sinedriale, ha l’opposizione sorda di Alessandra, che diventa leader del partito asmoneo, in difesa dei diritti legittimi del figlio.
Alessandra ora è la bandiera del diritto asmoneo alla archieroousunh, in una ripresa della politica regale sottesa di sua nonna omonima filofarisaica, e quindi si considera aspirante della linea femminile alla basileia, pur volendo mantenere distinto il potere regale da quello sommo sacerdotale, secondo il volere farisaico.
Alessandra, figlia di Hircano e moglie di Alessandro figlio di Aristobulo, è la vera regina per gli aramaici e per alcune frange di ellenisti che, pur filoromani, mediano con sadducei in senso antierodiano, in attesa di un’occasione propizia per rovesciare l’illegittimo re, favorito da Antonio.
Questo irrita il nuovo re che pur è sceso a compromessi ed ha abilità politica, anche se non riesce ad accontentare aramaici e filoromani.
Così scrive Flavio (ibidem, 23-24):
Questa cosa non poté sopportare Alessandra, figlia di Hircano moglie di Alessandro, figlio di Aristobulo, dal quale ebbe come figli Aristobulo eccezionalmente bello e Mariamne di vago aspetto, moglie di Erode. Ella, turbata, dunque, ed offesa che uno straniero, con infamia del figlio, avesse ottenuto il principato, mandò, tramite un messaggero fidato, un mousourgos (cantante incaricato dell’accoglimento delle lettere) una lettera a Cleopatra, supplicandola perché intercedesse presso Antonio per dare l’ archieroosunh al figlio.
Il messaggero raggiunge Cleopatra, che è ad Antiochia, dove si accinge a passare l’inverno con tutta la sua corte, nella zona di Dafne.
A Gerusalemme, intanto, nel corso dei contrasti tra i due clan, la questione del pontificato alimenta le tensioni che diventano accese diatribe tra le due fazioni a corte, a causa dell’ arrivo di Quinto Dellio, un legatus romano inviato da Antonio, apparentemente per la soluzione del problema, ma anche per verificare la situazione nel nuovo Regno e la possibilità di un accrescimento territoriale per Cleopatra, interessata alla zona di Gerico e ad altre regioni della costa mediterranea, da tempo rivendicate dai lagidi.
Ritengo che, siccome si è nei mesi estivi, prima del periodo in cui Antonio passa l’inverno 37/6 con Cleopatra ad Antiochia, poco prima di iniziare la spedizione antiparthica e di fare un viaggio ispettivo a soste all’interno del territorio romano, – già stabilizzato con opportuni cambiamenti costituzionali a discrezione del triumviro, che dirige il suo imperium orientale- le nuove costituzioni regie siano in relazione all’ assetto antiparthico, simile a quello dato da Pompeo e poi da Gabinio e da Cesare.
Siccome Cleopatra ha già avuto da Antonio territori giudaici e nabatei, sottratti ai legittimi re, il diplomatico Quinto Dellio sembra avere compito di collegare ulteriormente i legami tra la regina giudaica e quella egizia, intenzionata a passare, dopo il concordato viaggio con Antonio fino all’Eufrate, per Gerusalemme, così da verificare la situazione giudaica e trattare circa i territori del bacino del Giordano con il re giudaico, con cui intende per ora accordarsi.
Cleopatra è una sovrana che associa il piacere dell’amore con la politica secondo i progetti cesariani, di cui Antonio sembra essere un solerte esecutore, essendo uomo passionale, memore e grato al divus Iulius .
Antonio in questa fase incontra i suoi rappresentanti, che riferiscono circa la costituzione, data alla zona orientale affidata a nuovi re, da cui riceve delegazioni per i ringraziamenti e che inviano regali e lettere di auguri oltre a milizie che si accodano disciplinatamente alle sue truppe, forse già dislocate in zone strategiche o in marcia.
Della funzione di Quinto Dellio, uomo di fiducia di Antonio, una specie di legatus plenipotenziario per affari orientali, come Capitone per quelli occidentali, non è facile leggere dagli storici (Flavio, Plutarco e Dione Cassio) gli esatti compiti, data anche l’ambiguità del personaggio, anche lui un infido desultor bellorum civilium, una banderuola passato dal cesariano Dolabella al cesaricida Cassio, combattente a Filippi con Orazio – che poi gli dedica l‘ode III del II libro dei Carmina-; diventato legatus di Antonio fa con lui la spedizione parthica e ne scrive Commentarii – da cui dipende Flavio, tramite Nicola di Damasco, scrittore all’epoca alla corte di Cleopatra, come precettore di Helios e Selene, nati nel 40 e, poi, anche di Tolomeo Filadelfo, nato nel 36- per passare infine alla pars di Ottaviano, abile a saltare sempre sul cavallo vincente.
L’invio di Dellio a Gerusalemme dovrebbe avere una sua ragione: forse è sottesa una spiegazione privata, quasi un’anticipazione ad Alessandra per convincerla a rimanere in attesa degli avvenimenti e a non offendersi per la mancata accettazione della sua richiesta da parte di Antonio, a tenersi pronta ad accogliere regalmente la regina di Egitto!.
Dellio è paidika/ deliciae di Antonio, il favorito, secondo Dione Cassio (St. Rom., L, 5.5), un puer delicatus che conosce l’animo femminile, la solidarietà e complicità tra donne, ma è anche una spia/katàskopos che prende atto della forza del partito aramaico e delle difficoltà di Erode, anche dopo il riconoscimento da parte di Fraate.
E’ probabile, inoltre, che il triumviro, per la preventivata spedizione armena, abbia bisogno di guide aramaiche, di denaro e di lettere di Erode conoscitore della zona ciseufrausica e transeufrasica, di ebrei armeni e mesopotamici, protoi utili finanziariamente per affrontare l’impresa antiparthica.
Non è scartabile l’ipotesi di doppi giochi da parte di Dellio che non è uomo di onore e che ha un comportamento cortigiano con Cleopatra, che pur l’ha accolto bene dopo il ritorno poco glorioso dall’impresa parthica.
Plutarco (Ibidem, 59.8) rileva, che, l’anno dopo circa, Dellio teme un attentato da parte della Regina, che conosce il vizietto di Antonio e capisce il gioco opportunistico del romano, che si lamenta di bere aceto e non Falerno come Sarmento, il favorito di Ottaviano.
Infatti l’eromenos affermava che temeva un attentato da parte di Cleopatra secondo quanto gli aveva riferito il medico Glauco. La sua colpa era stata di aver offeso Cleopatra dicendo, durante un banchetto, che a loro si versava aceto mentre Sarmento a Roma beveva Falerno. Questo Sarmento era un ragazzo di quelli che Cesare teneva per suo trastullo e che i romani chiamano deliciae.
Invidia già Sarmento?!
L’invio ufficiale di Dellio epi tinas Xreias ( Flavio XV, ) per alcuni bisogni consente al triumviro di conoscere anche la situazione in cui versa un re che deve imparare, da civis privato, il mestiere difficile di re, dopo il matrimonio con l’asmonea Mariamne.
Dellio è un personaggio da studiare, storico, letterato abile come diplomatico e come legatus militare, uno della cohors praetoria, all’epoca molto filoantoniano, compagno di bevute e di avventure amorose, un opportunista paraculo freddo e calcolatore eukairos, l’opposto di Antonio!
A prima vista il romano si innamora del sedicenne Aristobulo, rilevando, stupito, l’altezza e la gioventù, e la bellezza divina sia del giovinetto che della sposa di Erode, tanto che in un colloquio con la madre Alessandra, la consiglia di fare ritratti dei suoi figli ed inviarli ad Antonio.
Alessandra, pur consapevole che per legge in Giudea non si può fare l’immagine di una creatura, ordina i due ritratti e probabilmente anche il suo – anche lei è di eccezionale bellezza, maggiore forse della figlia, donna trentaseienne nel pieno vigore fisico – convinta dal romano che Antonio, accecato da tanta bellezza, si sarebbe piegato alle sue richieste.
Flavio enfaticamente così scrive (Ibidem 25-26): Ma Antonio non acconsentì alla richiesta, venne, però, in Giudea Dellio suo amico, per alcune cose che gli occorrevano. Questi vide la bellezza, l’altezza e la gioventù di Aristobulo e se ne meravigliava e si stupiva anche del vago aspetto di Mariamne, moglie del re. Questi, venuto a parlare, giudicò Alessandra madre di buoni figli e la indusse (cosa proibita in Giudea) a far dipingere le figure dei due figli e a mandarle ad Antonio, dicendo che, vedendo quelle immagini, si piegherebbe alle sue richieste.
Dunque, Alessandra per ottenere che suo figlio sia eletto da Erode Sommo sacerdote, invia il ritratto di Aristobulo e quello di sua sorella, tramite messaggeri, ad Antonio in viaggio verso Zeugma, con lettere che marcano la divinità della bellezza dei due giovani figli della regina, per eccitare la fantasia erotica del triumviro.
Questi ben conscio della sua condizione di amante di Cleopatra e del valore del suo matrimonio divino/ ierogamia con Cleopatra e della utilità/chrhstoths dell’Egitto per la sua politica orientale (cfr Erode Basileus ), neanche prende in considerazione Mariamne e scrive ad Erode di inviargli cortesemente il giovinetto Aristobulo.
Flavio così dice (Ibidem 27-28): Alessandra … mandò ad Antonio le immagini dei figli e Dellio gli disse che i figli di Alessandra non si potevano giudicare generati da uomo, ma da qualche dio volendo per tale via spingere a lussuria Antonio, Questi si vergognò di farsi condurre la giovinetta, maritata ad Erode, badando inoltre a non contristare Cleopatra. E scrisse ad Erode che, se non gli dispiaceva, gli mandasse il giovinetto debitamente accompagnato.
Per Erode la già difficile situazione della elezione di Ananelo ora si complica per l’ambizione di Alessandra e per la richiesta ufficiale, anche se cortese, di Antonio, del giovinetto simbolo del sacerdozio stesso ebraico asmoneo, amato dal popolo che ben conosce il vizio pederastico romano e che non può far profanare il corpo sacerdotale verginale di un epishmos da un pagano: nella corte nessuno parla, ma il silenzio è più eloquente delle parole!
Erode comprende che è una tarachh è pronta, all’atto dell’invio di Aristobulo e che i ritratti inviati da Alessandra possano turbare i rapporti di amicizia tra lui e il triumviro, e possano procurargli ulteriormente l’odio del suo popolo, già a lui ostile.
Erode, perciò, secondo Flavio, agisce tempestivamente e risolve il problema, da una parte, promettendo alla nemica Alessandra di concedere al figlio la ieroosunh e, da un’altra impedendo la rivolta popolare senza inimicarsi Antonio, al quale scrive che per legge un sommo sacerdote deve rimanere per il il servizio a Gerusalemme: il civis dimostra di saper fare il re basileus tenendo in pugno la situazione, gestita con freddezza e razionalità e scaltrezza da eukairos opportunista, nonostante la decisa volontà di punire la suocera intrigante, rinviata ad altro momento.
In effetti, Erode ha fatto tutto secondo legge, dopo aver convocato il Sinedrio, che lo autorizza nelle sue azioni, evidenziando le colpe della regina: fa tacere le critiche stesse degli idumei ed accetta il consiglio di Mariamne di esaltare la sua famiglia, di perdonare la madre e dare la ieroosunh al fratello.
Ha bisogno di tempo, comunque, e della conferma dalla risposta di Antonio che, stando fermo ad Antiochia, riceve continue legazioni regie e suoi propri delegati, che riferiscono circa la sua costituzione della zona orientale affidata a nuovi re, che portano regali ed inviano truppe da far affluire lungo il confine sull’Eufrate.
E’ probabile che gli giungano corrieri con relazioni militari circa la campagna caucasica di Publio Canidio Crasso, un altro piceno, fortunato legatus come Ventidio Basso.
Il legatus, dopo la vittoria su Farnabazo re degli Iberi, col suo aiuto, attacca il re degli Albani Zobera e, sottomessa la zona, invia ambasciatori da Antonio per la ratifica della pace e per il tributo sia come denaro che come truppe ausiliarie (Cfr Dione Cassio, St.Rom., XLIX,22).
Il triumviro conosce da spie anche la situazione dell’Armenia e dei contrasti tra il suo re e quello della Media Atropatene, sovrani della confederazione parthica lasciati isolati senza il controllo del nuovo re dei Re, Fraate IV, impegnato ad imporre crudelmente il suo diritto di erede alla successione.
Il mondo barbarico conosce Roma repubblicana, ma dopo la morte di Cesare sono noti Cesare Ottaviano, dominatore in Occidente, ed Marco Antonio dominus orientale, le spie dei quali sono giunte in ogni corte e confondono i termini con una doppia propaganda in senso unitario: l’erede adottivo legittimo di Cesare è il signore dell’Occidente che vive a Roma; Cesarione figlio naturale legittimo di Cesare e di Cleopatra è il vero erede del defunto imperator a cui spetta di diritto il potere assoluto, di cui è patronus il triumvir amante della madre egizia!
Stando così le cose, anche alla corte del re dei re, essendo sorto un contrasto tra la nobiltà, spaventata dalla spietata e crudele strage di parenti fatta da Fraate, ci sono fughe di notabili verso l’accampamento romano più vicino, che poi sono dirottati verso la capitale dell Siria, da Antonio, il triumviro più vicino, che rappresenta Roma.
Infatti giungono ad Antiochia nobili Parthi, come Monese, che accusano il re di stragi di famigliari, specie dei fratellastri, nati dalla figlia di Antioco di Commagene, territorio che sta attraversando, e lo giudicano anosiootatos anthroopoon, il più spietato tra uomini.
Antonio, assistito da Cleopatra e dal suo consilium, dà incarichi diplomatici a Monese, il governo di tre città e promette di farlo re di Parthia. Questi, a sua volta, si propone come guida nell’impresa antiparthica, convincendo il triumviro della facilità della spedizione, e della conquista senza colpo ferire (ibidem, 24,2, akonitì senza alcuna fatica).
Antonio è dux prudens, ma impetuoso e facile all’emotività, se ha dalla sua parte il vento della fortuna, che alimenta l’orgoglio nobiliare di guidare un numeroso esercito: ancora di più si esalta, se crede di avere il diritto dalla sua parte col favore delle popolazioni che lo acclamano soothr, specie di fronte a Cleopatra e alla sua corte.
Non si è mai indagato sulla religio di Monese: saperlo potrebbe essere un indizio circa la lealtà del nobile partho. Nel caso che fosse giudeo, sarebbe stato anche methorios e trapeziths, di norma calcolatore ed infido eukairos /opportunista! Il suo successivo comportamento di riappacificazione col suo re, dopo l’ambasceria, potrebbe essere significativo!
Comunque già Fraate, convinto di aver fatto torto a Monese lo informa segretamente di assecondare ogni sua richiesta, purché ritorni presso di lui.
Antonio, avendo un buon servizio di spie, scopre la verità e non punisce Monese, anzi lo invia con altri messaggeri da Fraate per un accordo, offrendo a parola la pace, a condizione di riavere ta shmeia stratiootika le insegne di Crasso e i prigionieri, ma di fatto cerca di prendere tempo per migliorare i preparativi militari, completare le congiunzioni di reparti, sperando di trovare il re partho impreparato (ibidem,24.5).
Antonio, dunque, sta vivendo un momento di amore intenso come affermano, oltre a Flavio, Plutarco (Antonio 36) e Dione Cassio ( St.Rom., XLIX, 33,4).
Il primo informa che Antonio, dopo l’arrivo dell regina, condotta da Fonteio Capitone dall’ Egitto ad Antiochia, le fa dono di Fenicia, Celeseria, Cipro, di gran parte della Cilicia e di parte delle Giudea che produce balsamo e della regione dell’ Arabia Nabatea che guarda il mare e precisa circa la passione del triumviro: quel terribile male, l’amore per Cleopatra, che era rimasto sopito per molto tempo, come addormentato e domato per incanto dei migliori ragionamenti, di nuovo divampò e riprese vigore.
Il secondo dice: Antonio divenne sempre più schiavo dell’ amore e dello straordinario fascino di Cleopatra.
Pur in questa fortunata coincidenza il triumviro svolge, comunque, nonostante le critiche dei romani occidentali, il suo dovere di capo dell’Oriente e coordina i preparativi della spedizione contro Fraate con i suoi alleati, probabilmente chiamati o ad Antiochia o a Laodicea.
In questa situazione la lettera del re giudaico raggiunge Antonio ad Antiochia, dove risiede nel periodo Estivo.
Erode si scusa col triumviro, di cui conosce la lussuria sia con donne che con giovinetti (cfr. Plutarco, Antonio, 2,4,9 ed altri) dicendo che l’uscita dalla provincia di Aristobulo equivale ad una stasis in quanto i giudei sono inclini ai neooterosmoi.
Questa è la versione di Flavio (Ibidem 29-30 ): Erode, avuta questa lettera, non giudicò bene mandare Aristobulo, un giovinetto di sedici anni, bellissimo e nobile ad Antonio, il più potente tra i romani e sottoporre il ragazzo alla sua lussuria, specie che Antonio, a causa della sua grande potenza era sfrenato. E perciò gli rispose dicendo: se il giovane uscirà dalla provincia, ci sarà una grave sedizione popolare, datosi che i Giudei sono pronti a mutamenti di cose nuove.
Perciò Erode, risolta la questione, promettendo la carica ad Aristobulo, fatto passare del tempo, convoca il suo consilium principis ed accusa Alessandra di aver ordita una congiura contro di lui perché desiderosa di regno per sé e per il figlio e di aver fomentato una sedizione, chiedendo aiuto a Cleopatra, e subito dopo convoca il Sinedrio per mostrare le malefatte della regina asmonea.
In effetti Erode per ora scaltramente vuole solo umiliare la regina, a parole, e perdonarla, e farla professare, piangendo, pubblicamente di essere fedele suddita per aumentare il suo credito nei confronti degli asmonei e di tutti gli aramaici che, comunque, seguitano ad accusarlo come uomo di menzogna e philhllhn.
Flavio così scrive ( ibiden, 31-37): Essendosi così scusato con Antonio, stabilì fra sé e sé di non umiliare più Alessandra e il giovane. E poiché Mariamne continuamente lo assillava perché rendesse a suo fratello il principato del sacerdozio, ad Erode sembrò bene che poteva giovargli il fatto che, se il giovinetto avesse tale onore, non sarebbe potuto andare da Antonio. Convocati, dunque, gli amici, accusava Alessandra che di nascosto, aveva ordito insidie per il principato avendo tentato con Cleopatra di privarlo dello stato e che voleva far succedere il giovane Aristobulo al suo posto, per autorità di Antonio, e mostrava che la sua domanda non era giusta poiché privava del già posseduto onore la figlia: ella spingeva alla sedizione nel regno, mentre lui si era affaticato e messo in molti pericoli per averlo. Tuttavia, Erode aggiungeva che si era scordato dei mali ed era stato liberale verso di loro ed ora concedeva al giovane il sommo sacerdozio e che prima aveva ordinato Ananelo perché Aristobulo era troppo ragazzo. Detto questo, accortamente, per ingannare le donne e vista la presenza degli amici, Alessandra, lieta del non sperato successo, piangendo, lo ringraziò e disse: io ho sollecitato il sacerdozio perché temevo l’infamia, ma non ho desiderato il regno, né lo avrei accettato volentieri anche se mi fosse stato offerto perché io -lo confermo- ora sono molto onorata per il principato e per la tutela di te, per la cui virtù, la mia stirpe brilla per onori ed ora è vinta da te con benefici: accetto l’onore per mio figlio e per l’avvenire, ti sarò in ogni cosa soggetta.
E’ una vittoria di breve durata per Erode, che ha ottenuto il riconoscimento formale anche dagli Asmonei.
Erode, però, ha il sospetto/ upopsia che la regina seguiti nella sua politica di rovesciamento del suo potere, conoscendo la natura subdola asmonea, temendo la sua azione costantemente tesa alla tarachh, a causa dei consiglieri personali aramaici, nonostante le promesse di fedeltà.
In questa situazione, essendo Alessandra segregata e sorvegliata, nonostante la riconciliazione pubblica, la donna, data la sua nobiltà, non tollerava superbamente di essere sorvegliata, desiderando piuttosto patire ogni cosa che essere privata della fiducia e possedere un falso onore con servitù e paura.(Ibidem 44).
Erode comprende che la regina ha una relazione epistolare con Cleopatra e quindi intercetta le sue lettere, da cui è chiaro che Alessandra chiede aiuto all’amica egizia che le consiglia di fuggire di nascosto e di rifugiarsi presso di lei col figlio.
Alessandra incautamente prepara la fuga, senza accorgersi di essere spiata nella sua azione: fa preparare due casse da morto, dove ordina di porre lei e suo figlio e di imbarcarle su una nave. La cosa è fatta con molta segretezza, ma viene scoperta per la leggerezza di Esopo, un servo egizio, che informa Sabbione, un presunto congiurato, già partecipe della morte per veleno di Antipatro, padre di Erode (cfr. Antipatro, padre di Erode).
Questi, pur aramaico fedele alla regina, tradisce ed informa Erode della fuga, così da dimostrare la sua estraneità ai vecchi fatti dell’avvelenamento di Antipatro.
Il re, secondo Flavio (ibidem,48) lasciò che Alessandra facesse la cosa e la sorprese nella fuga, ma la perdonò malvolentieri perché pensava che Cleopatra non avrebbe cessato di fargli del male, trovando occasione contro di lui.
Erode per ora è magnanimo o perlomeno si dimostra clemente con la regina- che pur dovrebbe essere contenta di vedere effettivamente suo figlio vestire i panni sacerdotali e celebrare i riti- più per timore di Cleopatra e per ragioni politiche che per rispetto verso l’ingrata Alessandra!
Infatti la donna, avendo ricevuto messaggi da Cleopatra, resta in attesa, in uno stato di ostinata avversione, anche se invita il re nel suo palazzo a Gerico, sua residenza estiva, ereditata dai suoi antenati.
Sembra, comunque, che Erode decida di liberarsi del cognato sommo sacerdote, quando vede il delirio popolare nei confronti di Aristobulo celebrante la festa dei Tabernacoli, Sukkot, che cade in Tishri Settembre/ottobre.
La constatazione diretta dell’amore aramaico verso Aristobulo, congiunto alle mire di Cleopatra per la zona di Gerico e dintorni, già padrona per un editto di Antonio di zone della Nabatea e di tutte le città tra il fiume Eleutero e l’Egitto ad eccezione di Tiro e Sidone (cfr. Guerra giuda ca I, 18,5, 362 e Ant Giud., XV,95), determina la decisione nell’animo di Erode dell’eliminazione del fratello di sua moglie, nonostante il timore della protezione della regina egizia, di cui conosce bene la ferocia nello sterminare la sua famiglia – ha lasciato solo qualche secondario consanguineo!- e nell’aver sete del sangue degli estranei (Ibidem, 360).
Erode è convinto che il suo regno non è sicuro se ci sono asmonei maschi in Gerusalemme, che hanno un qualche potere. Perciò, dopo aver atteso il momento opportuno e dopo la celebrazione della festa dei Tabernacoli, fa morire Aristobulo mediante un incidente, durante una nuotata.
Flavio, dapprima, esamina il giovane celebrare il rito poi rileva il sorgere spontaneo del sentimento popolare verso il principe asmoneo, che riporta alla memoria il nonno Aristobulo II, ed infine evidenzia la rievocazione del patriottismo aramaico e le voci di augurio e di preghiera.
Lo storico così scrive (Ibidem 50-51): Venuta la festa delle primizie, (che noi celebriamo con molta…cura) Aristobulo era un giovane di 17 anni quando salì all’altare per compiere i sacrifici secondo la legge, indossava l’abito ornato dei sommi sacerdoti ed eseguiva i riti di culto, era di aspetto straordinariamente bello e più alto della maggior parte dei giovani della sua età, mostrava perciò tutta la nobiltà della sua stirpe. Sorse tra il popolo un sentimento spontaneo di amore verso di lui e venne in mente a tutti la memoria viva delle gesta compiute da suo nonno Aristobulo. Tutti poco a poco rivelarono i loro sentimenti di gioia e contemporaneamente di emotiva sofferenza, gridando formule di augurio con preghiere tanto che fu evidente l’affetto della folla e la manifestazione delle loro emozioni fu troppo calda di impulsi per il re.
Di fronte a tanta testimonianza di affetto verso la monarchia precedente, Erode comprende che in gioco il suo potere stesso e quello romano di Antonio e che deve agire tempestivamente per stroncare future insurrezioni popolari, anche se sa di dovere combattere una dura battaglia con le donne asmonee, madre e figlia, suocera e moglie.
Terminata la festa, la corte si sposta a Gerico, nel palazzo asmoneo dove Erode colma di premure il giovane e lo invita a bere vino, quasi a gara.
Dato il caldo, fatta una passeggiata, in un clima festoso, si entra nelle piscine, che sono nella zona, dove avviene la tragedia, capitata per volere di Erode.
Flavio così scrive: il luogo è naturalmente molto caldo e tutti i giovani si recarono in gruppo a fare una passeggiata; nella zona c’erano vasche da bagno, di cui alcune vicino al palazzo erano grandi, e così si rinfrescarono del calore del mezzogiorno. All’inizio osservavano servi ed amici di Erode, che nuotavano e la gioventù, stimolata dal re fu indotta raggiungerli. Quando sopraggiunse la notte ed Aristòbulo ancora nuotava, alcuni amici – ai quali era stato ordinato di comportarsi così- lo presero e lo tuffarono giù e lo trattennero nell’acqua, come per gioco, e non lo rilasciarono risalire fino a che non affogò.
Morto Aristobulo, il sacerdozio ritorna ad Ananelo, dopo poco meno di un anno.
Alessandra, inconsolabile nel dolore, dopo i solenni funerali indetti da Erode con la partecipazione di tutti, in quanto ogni famiglia si sente colpita da sventura come se fosse accaduta ad uno dei suoi membri e non ad un estraneo (Ant.giud., XV,57), sa contenere nobilmente il dolore e vive per vendicare il figlio.
Alessandra secondo Flavio (ibidem,58,59,60) da una parte si doleva perché sapeva la verità e dall’altra per paura che qualcosa di più grave la minacciasse. Spesso giunse alla conclusione di uccidersi con le proprie mani, ma era trattenuta nella speranza che, vivendo, avrebbe potuto vendicare il figlio, tradito in modo così vigliacco ed empio. Dunque, senza offrire indizio di sospetto, pensava che la morte del figlio gli offrisse una occasione propizia di vendetta e ciò la incoraggiava a vivere e a dissimulare coraggiosamente il proprio comportamento, senza dare sospetti.
Anche Erode finge di mascherare la necessitas della morte del giovane, che per lui è una salvezza: adotta tutte le forme dell’uomo addolorato, non responsabile affatto dell’incidente, ricorre alle lacrime e dimostra un vero turbamento di animo, quando rievoca la bellezza del giovane.
Nel funerale e nei preparativi per abbellire la tomba, Erode cerca di manifestare il suo dolore conformemente alla sua famiglia, tanto da consolarla.
Alessandra, però, pur notando le manifestazioni di dolore e i tentativi di partecipazione del re, non si quieta.
Anzi, secondo Flavio ( ibidem, 63) la memoria della propria sfortuna le recava una sofferenza così profonda da renderla più loquace e desiderosa di vendetta: scrisse, allora, una lettera a Cleopatra sul tradimento di Erode e sulla morte del figlio.
La regina è solidale con Alessandra non solo come donna e madre, ma ancora di più come sovrana, che non riconosce la legittimità regale di Erode e rimprovera Antonio di averlo fatto re di un paese ,al quale non ha alcun diritto di comandare (ibidem 63) aggiungendo che per di più si è macchiato di una bassezza verso un vero re.
Cleopatra da mesi vuole intervenire a favore dell’amica ed ora, trovata l’occasione, cerca di risolvere la questione ebraica a suo favore: una regina non ama il rapporto con un privato civis, un arrivista come Erode, e per di più vuole ripristinare i diritti lagidi su quelli seleucidi, ereditati ora dai romani.
Allora Antonio, che è a Laodicea, agli inizi del nuovo anno, dove sta raccogliendo milizie e denaro per la sua impresa, scrive ad Erode ingiungendogli di presentarsi davanti a lui per fare luce sulle accuse fatte da Alessandra (ibidem,64).
Cleopatra, che ha preso il caso a cuore, come se fosse personale, spinge Antonio a giudicare Erode.
Flavio usa un periodo ipotetico reale di I tipo con apodosi all’infinito e con protasi al perfetto per indicare che l’insidia non giustamente è stata fatta, se è stata commessa da lui stesso/ peprachthai gar ouk orthoos thn epiboulhn, ei di’autou ghgonen.
Erode teme l’accusa di Alessandra ed anche l’ostilità di Cleopatra, nonostante sia sicuro di poter giustificare la sua azione filoromana.
Non potendo sottrarsi all’ordine ricevuto, prepara il denaro da lui stesso monetato coi suoi beni preziosi e con quelli dei nemici uccisi (Cfr. Guerra giudaica I,338), scortato da milizie, che potrebbero essere utili per i bisogni militari di Antonio, si dirige a Laodicea.
Lascia la sua basileia e la corte ad un reggente, suo zio Giuseppe, marito di sua sorella Salome, a cui affida la cura degli affari del regno, nominato epitropon ths archhs kai toon ekei pragmatoon.
Alla partenza dà istruzioni segrete, essendo uomo molto geloso ed insicuro e preoccupato del suo avvenire e di quello di Mariamne (il cui ritratto è in mani del triumviro, noto amatore) e decide la morte della moglie, in caso di insuccesso e di un non ritorno.
Flavio così scrive: qualora gli capitasse qualcosa quando era da Antonio, provvedesse subito all’eliminazione della moglie e riporta le motivazioni con le parole stesse con un discorso indiretto che io volgo in diretto: sono molto innamorato della donna (ekhein philostorgoos pros thn gunaika ) e temo, anche da morto, che lei data la sua bellezza, possa essere carina e premurosa con un altro. Date tali istruzioni, Erode partì per incontrare Antonio.
Erode conosce bene la tetrapoli siriaca, cioè Antiochia e Apamea che sono nell’entroterra e Seleucia di Pieria e Laodicea a Mare, che sono città marittime, che fanno da centri portuali: non è pensabile un viaggio per mare; è più probabile via terra, anche se richiede più tempo – due settimane circa di andata e due di ritorno- perché porta anche militari utilizzabili per l’impresa parthica e denaro e viveri.
Lo storico mostra che, una volta partito il re, Giuseppe svolge il suo compito di epitropos, di amministratore dioikeths toon en thi basileiai pragmatoon, oltre che di comandante militare, che diligentemente relaziona alla regina (e alla madre).
Nel corso di tanti incontri Giuseppe parla dell’affetto eunoia di Erode e del suo grande amore philostorgia; l’uomo è intelligentemente scalzato e pressato da Alessandra, che cerca di sapere, e l’epitropos, in un acceso di zelo, rivela le istruzioni segrete, che, lette dalle due donne, sono considerate un segno di crudeltà.
Madre e figlia sono donne asmonee che odiano Erode e lo considerano indegno del trono, uno scaltro civis, nemmeno ebreo, ma idumeo-nabateo, reo di innumerevoli misfatti: capiscono che esse non saranno libere, neppure in caso di morte del re, ma avranno sempre il destino di una morte tirannica.
Alessandra e Mariamne non leggono il pensiero di Giuseppe per come è espresso, basato sul grande amore to philostorgon, ma rilevano solo to khalepon la parte finale terribile e sgradevole di una loro crudele morte.
Le parole di Flavio sono queste: Giuseppe come amministratore degli affari del regno incontrava più volte Mariamne per gli affari pubblici e per l’ossequio che doveva dimostrare come regina e più volte il discorso cadeva sul l’affetto di Erode e sul suo amore grande che provava per lei e siccome, come sono solite le donne, Mariamne ed ancora di più Alessandra, fingevano di non credere alle sue espressioni, Giuseppe volendo mostrare il suo zelo, rivelò i sentimenti del re e si spinse tanto oltre da parlare delle istruzioni ricevute per offrire una prova del fatto che Erode non poteva vivere senza di lei e che, se gli capitava qualche malvagio accidente, non avrebbe sopportato di essere separato da lei neanche da morto. Queste erano le argomentazioni di Giuseppe ma le donne com’è naturale, non erano impressionate dai termini di grande amore ma dall’ultima grave affermazione in quanto l’interpretarono come segno di crudeltà (si rilevi il poliptoto to khalepon e khalephn uponoian!).
Essendo questa la situazione, a Gerusalemme si sparge la voce, ad arte, pompata dalla fazione aramaica, inferocita per la ventilata spedizione di Antonio contro i Parthi che il triumviro abbia torturato e messo a morte Erode.
Flavio (Ibidem,71) dice: la voce, come era naturale, eccitò turbando tutti specie la gente del palazzo e in particolare le donne.
A corte scoppia il caos: nelle stanze degli erodiani si piange, in quelle asmonee, al pianto iniziale emotivo subentra la volontà di riprendere il potere, congiunta col ringraziamento alla pronoia divina che ha liberato dal tiranno e che ripristinerà i legittimi sovrani con gli stessi romani, che ora sembrano intenzionati a ridare il legittimo potere all’antica dinastia.
Dovunque nella Reggia e in città c’è confusione e si formano riunioni ed assemblee di popolo, incerto ancora sulla notizia, ma pronto per una sommossa.
Giuseppe nemmeno pensa di compiere quanto promesso ad Erode, e subito è convinto dalla regina a rifugiarsi con gli asmonei presso la legione romana di stanza a Gerusalemme, agli ordini del legatus Giulio che dovrebbe garantire la loro sicurezza in ogni tarachh ( E’ un cugino di Erode in quanto figlio di suo zio paterno Fallione, fratello di Antipatro, anche lui poliths Iulios!?).
Giuseppe dovrebbe essere theios un zio materno ( avunculus), un nabateo come Cipro, non paterno (patruus), un idumeo come Fallione – di cui abbiamo parlato in Antipatro, padre di Erode- un filoromano, che si sente tradito anche lui da Antonio per la ventilata morte del nipote e perciò riprende la sua naturale inclinazione aramaica e subito si mette a disposizione di Alessandra, rimanendo legato alla principesse asmonee, deciso a seguirne il destino, pur retrocesso e decaduto nella sua funzione.
La regina è convinta che così non dovrà patire tarachh dal popolo e che, specie se Antonio vede di persona Mariamne, il titolo regale sarà suo, senza subire prigionia, essendo di stirpe regale.
Così scrive Flavio: (72.73) Alessandra persuade Giuseppe a lasciare il palazzo e a rifugiarsi con loro sotto le insegne delle legione romana che all’epoca era accampata intorno alla città a protezione del regno sotto il comando di Iulios.
Non occorre fare niente perché la notizia è falsa!.
Arriva una lettera di Erode che rettifica ogni cosa, che stoppa ogni sommossa e ripristina la status di epitropos di Giuseppe, che con la forza riporta l’ordine in Gerusalemme, coadiuvato dal legatus romano.
La verità è un’altra: Antonio ha onorato in ogni modo Erode, ha potenziato con le parole la sua regalità, lo ha difeso da Cleopatra, ristabilendo l’amicizia e il cameratismo militare!.
Erode conosce il triumviro da anni, il suo carattere, i suoi vizi militari la sua avidità e i suoi sogni sublimi!
Il re giudaico conquista Antonio con le monete coniate da lui a Gerusalemme (Che fortuna poter trovare un giorno una di queste monete preziose!), di gran valore, perché di materiale prezioso, e con le argomentazioni politiche conformi alle disposizioni precedenti del senato romano e del triumviro orientale, accettate quattro anni prima anche da Ottaviano.
In odio all’ antiromano Antigono si votò l’elezione a re di Erode, firmando implicitamente la morte di ogni asmoneo, la cui vita sarebbe stata nelle mani di Erode!.
Antonio, uccidendo Antigono ha dato ad Antiochia per primo l’esempio: per regnare come basileus di nomina senatoria ed imperiale è necessario eliminare ogni maschio asmoneo, che ha titolo di maran dal re dei re!.
Antonio, perciò, non indaga sul crimen del re giudaico, intasca il denaro prezioso, accetta le truppe scelte ed invita a banchetto come ospite di rilievo Erode, mentre contemporaneamente liquida Lisania, imparentato con gli asmonei.
il triumviro ripete l’invito per più giorni davanti a Cleopatra che ascolta gli elogi rivolti al sovrano giudaico e che, non potendo intervenire, ai festini militari, nemmeno in privato, si disinteressa della questione, avendo avuto come compenso la Celesiria per la sua non interferenza negli affari.
Il triumviro, secondo Flavio,(ibidem,76) afferma: non è bene che un re sia citato in giudizio a rendere ragione del suo operato nel proprio regno, (altrimenti non sarebbe più re)/ ou …kaloos ekhein ..basilea peri katà thn arkhhn gegenhmenoon euthunas apaitein (outoo gar an oudé basileus eih).
Si rilevi l’uso di euthunas apaitein un sintagma giuridico per indicare che un re non deve essere citato in giudizio per rispondere di un reato, essendo al di sopra della legge, in quanto sovrano assoluto (Cfr Il re legge vivente,la legge re giusto ) e in specifico quello di Euthuna / un processo giudiziario per rendimento dei conti in senso più amministrativo che politico-militare.
Dopo aver mostrato la praticità del diritto romano, sembra che Flavio giustifichi anche il comportamento privato del triumviro (ed implicitamente di Ottaviano) che sentenzia: coloro che hanno dato un titolo di rango regale e lo ha dotato di potere gli devono lasciare anche la libertà di avvalersene/ ontas de thn timhn kai ths ecsousias katacsioodantas ean authi Khrhsthai.
Poi, Antonio rivolto a Cleopatra, che ha fatto pure lei stragi di parenti, sostiene che la stessa cosa a maggiore ragione, sarebbe stato conveniente per la regina egizia, cioè di non immischiarsi negli affari di governo che non la riguardano / to d’auto kai thi Kleopatrai mh polupragmonesthai ta peri tas archas ….sumpherein (il verbo polupragmoneoo vale come rimprovero e significa mi ingerisco in molte faccende e in cose che non mi riguardano, in quanto sono eccessivamente curiosa dei casi altrui!).
Erode non ritorna subito in Giudea, ma scorta Antonio nel tragitto che va da Antiochia verso l’Eufrate: il suo accompagnamento è come quello di Cleopatra e di altri re, che seguono il triumviro nella fase diciamo, ispettiva e di reclutamento del suo esercito.
Flavio scrive riprendendo il discorso dal progetto di fuga di Alessandra (ibidem 80): Il piano non era rimasto segreto perché, quando il re ritornò in Giudea, dopo aver in parte scortato Antonio nel cammino contro i parthi, sua sorella Salome e sua madre gli rivelarono subito quali fossero le intenzioni di Alessandra e degli amici di lei.
Mentre Antonio avanza verso l’Eufrate, seguito dai re amici, mette sotto accusa i dinasti locali e tetrarchi della Siria che secondo Flavio temono l’avidità di Cleopatra, ma in effetti sono incerti per la loro condotta filoparthica nel periodo 40-37 ed ora nel 36 si sentono in pericolo, essendo stati alleati con Antigono, in quanto corrono il rischio di eliminazione fisica o sostituzione.
Certamente hanno timore che Antonio e Cleopatra possano unirsi per annullare le costituzioni statali, fatte dagli arsacidi (in conformità con le vecchie disposizioni dei seleucidi e degli achemenidi) a favore delle antiche pretese dei lagidi, visto il connubio attuale tra il triumviro e la regina egizia.
Cleopatra secondo la propaganda successiva ottavianea non gode di buona fama per la sua natura avida, attestata da quasi tutti gli storici augustei e giunta fino a Flavio ( Ibidem, 89) che la ritiene bramosa delle cose altrui e capace di violare ogni legge per ottenere quello che vuole.
Gli storici conoscono i delitti di Cleopatra, necessari per sbarazzarsi dei fratelli e delle sorelle così da regnare indisturbata in modo assoluto, secondo le regole della monarchia orientale. Cleopatra è vista da Anneo Floro come un mostro (Epit. II, XXI)
Ha fatto uccidere, col veleno, suo fratello quindicenne Tolomeo Filopatore, subito al suo ritorno da Roma dopo la morte di Cesare avendo in braccio il piccolo Cesarione.
Grazie ad Antonio si è liberata di sua sorella Arsinoe, che pur si è ritirata e vive come sacerdotessa nel tempio dell’Artemision ad Efeso, – solo per il fatto che è ancora chiamata regina– secondo le fonti augustee che insistono nella critica alla regina accusata di violare tombe e templi per avere denaro.
Per Flavio (ibidem,90): nessun luogo sacro era da lei considerato così inviolabile da non poterne asportare qualche ornamento e nessun luogo secolare che non fosse soggetto ad indegnità di ogni genere purché potesse soddisfare l’ingiusta brama di donna viziosa. Insomma nulla bastava a questa donna stravagante e schiava dei propri appetiti tanto che tutto il mondo non era sufficiente a soddisfare le brame della sua immaginazione.
Flavio segue una fonte augustea e quindi chiude il discorso dicendo: quando attraversava la Siria non pensava ad altro che a possederla (ibidem,91).
Secondo noi, le richieste di Cleopatra ad Antonio sono secondo la politica lagide di rivendicazione della Celesiria e delle zone limitrofe sottratte da Antioco III a Tolomeo IV, nel 207.a.C., dopo la battaglia di Raphia, in conformità col piano della ierogamia e della impresa parthica, determinante per l’attuazione dei sogni di dominio universale secondo la paideia katholica alessandrina e la giustizia militaristica romana.
Erode lascia Antonio prima di Cleopatra e riparte per Gerusalemme facendo forse la stessa strada di Cleopatra, che un mese dopo, poco prima di giungere a Zeugma, volge verso sud e procedendo per ritornare in Egitto, fa una prima tappa ad Apamea e poi a Damasco e presumibilmente una terza a Gerusalemme per essere infine accompagnata sulla costa.
Infatti Flavio afferma (ibidem, 96): scortato Antonio fino all’Eufrate nella spedizione contro l’Armenia, Cleopatra fece ritorno e si fermò ad Apamea e a Damasco; andò poi in Giudea dove Erode la incontrò e le passò quelle parti dell’Arabia , che le erano state donate, ed anche le rendite della regione di Gerico. Questo paese produce balsamo che è il prodotto più prezioso e cresce soltanto là con alberi di palma numerosi e d eccellenti.
Dunque, appena Erode torna tra maggio e giugno a Gerusalemme sa dalla madre e dalla sorella del comportamento del suo epitropos e di Alessandra che l’ ha persuaso a fuggire presso il legatus romano e di un rapporto ritenuto da Salome troppo intimo di Giuseppe con Mariamne.
Mentre Cleopatra viaggia verso Damasco, Erode vuole sapere di più sulla situazione e sugli intrighi di Alessandra e sulle sue connessioni con la famiglia di Lisania, dati i rapporti di parentela.
Scopre sempre grazie a Salome che il marito ha avuto frequenti incontri con sua moglie per odio verso Mariamne che nei litigi è solita rinfacciare altezzosamente i modesti natali della sua famiglia (ibidem,82).
Erode è uomo in attesa, ancora dopo oltre un anno di matrimonio, di un figlio da parte di Mariamne, di cui è innamorato folle, preso da ardente amore: il re, comunque, si sa controllare e non fa azioni precipitose ma, spinto dal suo sentimento amoroso, incalza la moglie per chiarire la sua posizione circa la presunta relazione con lo zio epitropos.
Mariamne, secondo Flavio (ibidem, 83) negando ogni cosa con giuramento, a propria difesa disse quanto può dire chi non commise nulla di male; allora il re si convinse poco a poco, calmò la sua collera, vinto dalla tenerezza verso la moglie, si scusò per aver creduto quanto aveva udito. Anzi lui stesso di sua volontà per il comportamento corretto di lei mostrò gratitudine e le manifestò quanto grande fosse la sua passione per lei e quanto le fosse devoto. E infine, come è naturale fra chi si ama, cominciarono a piangere e ad abbracciarsi con intenso e passionale trasporto.
Nell’eccitazione Erode, travolto dalla passione, nella foga dello stimolo amoroso vanta il suo amore e stimola la donna a partecipare più intensamente all’atto d’amore.
Mariamne è lucida mentre Erode, sentimentale, è ardente e focoso: la moglie lo gela dicendo: non è l’atto di uno che ama comandare che, se ti fosse capitato qualcosa di grave per mano di Antonio, io sarei dovuta, pur innocente, essere messa a morte!.
Per Erode è una rivelazione che significa adulterio da parte della moglie ed ha una reazione propria di un uomo, che, preso da dolore immenso, non avendo più autocontrollo, risulta pazzo furioso.
Flavio dice (ibidem 87): le mani del re subito la lasciarono, incominciò a gridare e a strapparsi i capelli con le proprie mani, affermando che la sua comune intesa con Giuseppe era provata : lo zio mai avrebbe manifestato quanto gli era stato detto in privato se tra loro due non ci fosse stata una completa confidenza!
Erode vorrebbe uccidere Mariamne, ma si trattiene anche se gli costa reprimere l’impulso istintivo.
Comunque, comanda che sia ucciso suo zio, senza neanche vederlo, e che Alessandra sia incatenata e messa sotto custodia a causa dei suoi intrighi.
Dopo la morte di Giuseppe, Salome rimasta vedova, diventa sposa di Custobar, che non è certamente un amico!. Infatti è un aramaico, fortemente legato alla corona asmonea tanto da rischiare di tenere in vita, nascosti sotto la sua protezione, in Idumea i figli di Baba (Flavio Ant. giud.,XV,261), pur condannati da Erode, per dodici anni. Inoltre denuncia a Cleopatra che i territori di Idumea sono della famiglia lagide e perciò li può chiedere legittimamente ad Antonio, che, comunque, non acconsente alla richiesta
Si è verso la fine di luglio e Cleopatra sta per giungere a Gerusalemme ed è accolta da Erode e dalla sua corte, che è ancor piena di odio e di rancori tra le due stirpi per la prigionia di Alessandra -che probabilmente è tenuta sotto costante sorveglianza, ma lasciata libera- e per la morte di Giuseppe.
La presenza di Cleopatra in città dovrebbe essere stata breve: qualche settimana, in un periodo in cui, secondo Flavio, (Guer. Giud.I, 362) Erode con ricchi doni cercò di mitigare la sua inimicizia e fra l’altro ne prese in affitto per 200 talenti all’anno le terre che erano state strappate al suo regno e poi la scortò con ogni onore fino a Pelusio
Così afferma Flavio all’atto della scrittura del 74 d. C., ma venti anni dopo quando scrive Antichità Giudaica l’autore ebraico dapprima sembra voler fare credere ad una relazione sessuale tra il re e Cleopatra per il fatto che per natura lei era abituata a tale specie di piaceri senza ritegno ibidem 91, poi precisa che Cleopatra forse sentiva anche realmente in qualche misura passione per lui o cosa più probabile lei stava segretamente complottando che le si facesse una qualche violenza e avesse così il pretesto di tendere una trappola per concludere insomma lei dava l’impressione di essere sopraffatta dalla passione( ibidem 92) .
Infine lo storico, dopo aver spiegato il comportamento di Erode che la considera depravata con tutti e in quel particolare momento la vede spregevole per la lussuria che la spingeva così lontano, mostra il ragionamento del re che pensa che se lei avesse fatto delle proposte per prenderlo in trappola, egli avrebbe avuto motivo di recare danno a lei prima che lei lo recasse a lui.
In conclusione Erode, secondo Flavio, sceglie la strategia di eludere le sue profferte amorose e prendere consiglio dai suoi amici avendo in mente di ucciderla, mentre era in suo potere: avrebbe liberato dai guai tutti coloro per i quali lei era stata una depravata e verosimilmente lo sarebbe stato in futuro, ritenendo che questo sarebbe stato un regalo per Antonio perché neppure a lui sarebbe apparsa leale, se una necessità lo portasse ad aver bisogno del suo aiuto.
Il parere dei suoi consiglieri è di non seguire tale piano in quanto rilevano che non vale la pena di correre il pericolo più ovvio di un passo così grave e lo invitano a non compiere gesti impulsivi, dicendo che Antonio non avrebbe tollerato un’azione del genere anche se uno gli avesse posto davanti i vantaggi; il suo amore sarebbe divampato ancora più furioso, qualora avesse pensato che lei gli fosse sottratta con la violenza e l’inganno e nessuna scusa poteva rendere ragionevole il compiere un simile attentato contro la donna, che aveva la posizione più alta tra quelle del suo tempo; quanto al beneficio che ne derivava , seppure si potesse pensare che ci fosse, si doveva vedere con la noncurante ed indifferente attitudine di Antonio.
La conclusione del consiglio degli amici è la seguente: non era difficile prevedere come fatti del genere avrebbero condotto un’infinita catena di mali sul suo trono e sulla sua famiglia, pertanto non vi era alcun dubbio su ciò che doveva fare: trattenersi dai crimini, ai quali lei lo istigava e, in quella situazione, doveva comportarsi in maniera rispettabile (Ibidem,102).
Il discorso è tipico degli storici augustei che sono sulla scia di Erode, che a Rodi (Guer. Giud I,389). in effetti l’incontro è a Samo- giustifica la sua amicizia con Antonio quando, deposta la corona, chiede ad Ottaviano di nuovo di poter governare il regno, mostrando che lui avrebbe pensato ad una tale soluzione per liberare Antonio e il mondo romano da Cleopatra.
Non si sa quale sia la precisa fonte (Nicola di Damasco? o Dellio? o Velleio Patercolo?) Preferisco pensare a Dellio che in quei mesi segue Antonio in Parthia e che conosce bene l’animo del triumviro e della regina di Egitto, descritti poi, dopo il passaggio tra gli ottavianei, in termini negativi, pur avendo condiviso l’utopia antoniana. Si ricordi che Dellio è uno degli ultimi a passare da Antonio alla parte di Ottaviano, prima di Azio (Velleio Patercolo St.,II, 84; Dione Cassio ,St.Rom, L).
Il sogno antoniano, sublime, è quello dell’impero universale su basi divine, in relazione alla concezione faraonica di Cleopatra e di Cesarione, erede di Cesare e dei lagidi.
Cleopatra è una regina scaltra, che spera di fondare con Antonio una nuova dinastia, che ha in Cesarione, il piccolo Cesare il vero erede, che deve unificare l’imperium romano occidentale ed orientale, dopo che il triumviro di Oriente ha posto i confini all’Indo ad ovest e a nord al Caucaso e alla catena montagnosa del KaraKorum, cioè ha ricostruito i nuovi termini, in linea con la logica di Alessandro il grande.
Il sogno di Cleopatra è in Cesarione sovrano assoluto dell’impero romano con capitale Alessandria e come patronus Antonio cesariano scudiero, realizzatore dei piani orientali di Cesare.
Perciò quanto dice Flavio è storia del senno del poi: in quel particolare momento Antonio sta giungendo ai confini dell’Armenia e sta facendo la più imponente parata militare mai vista, convinto che il sogno cesariano può essere realizzato e che Cleopatra e lui, coppia divina, possono veramente governare il mondo. Forse allora quel sogno è condiviso anche dal suo favorito Dellio e da tanti altri romani suoi fautori!
Non è pensabile, nel delirio di potenza dei due amanti, che Antonio non controlli, con spie, il viaggio di ritorno della divina sposa, incinta, e che Cleopatra non sia informata del cammino del divino sposo: i due stanno visitando, da padroni, territori a loro, di nome, soggetti, pericolosi perché sconosciuti: ambedue devono, comunque essere diplomatici e politici con chi li ospita, per averne viveri.
Cleopatra, inoltre, non deve ingerirsi nelle faccende di Erode e disinteressarsi di Alessandra, pur amica; ed Antonio è ospite di Artavaste che propone l’invasione della Media e che, dovendo foraggiare il suo immenso esercito, preferisce dirottarlo nella direzione del nemico re medo, in pieno inverno, per il saccheggio.
Il triumviro abbocca perché è assicurato dal re che i Parthi temono la stagione invernale e all’epoca il re dei re ha convocato il medo Artavaste, per stringere un accordo, non ancora stipulato.
Perciò, chi, conoscendo Antonio e il suo sogno, mai potrebbe ardire di toccare una donna, come Cleopatra, una regina affascinante più che bella (Ottavia è più giovane e di molto superiore per bellezza!), ma intelligente e poliglotta, politica espertissima di raffinata cultura?
Chi, pazzo, correrebbe il pericolo di fare avances ad una tale donna, di troppo superiore come persona e come regina? chi potrebbe fare un complotto per ucciderla?
Erode, un idioths fatto re da Antonio, suo benefattore e patronus!?
No, di certo.
Cleopatra è incinta di almeno 6 mesi e di norma le donne evitano il maschio ed è ancora in viaggio, con un seguito di migliaia di cavalieri galati, di cortigiani e di Cesarione e di tanti addetti al principe ereditario romano-egizio!
Erode è follemente innamorato di Mariamne, che forse, a luglio, già è anche lei incinta di Alessandro, in un clima più disteso, dopo la fine del povero Giuseppe, a seguito delle feste per l’arrivo della regina di Egitto, che, memore dei consigli di Antonio, può incontrare Alessandra, libera, anche se sorvegliata!
Ad Antonio nel 36 nascono Antonia minore da Ottavia, a Roma, il 31 gennaio, e Tolomeo Filadelfo ad Alessandria da Cleopatra in ottobre; ad Erode, ai primi di Febbraio del 35, Mariamne partorisce, a Gerusalemme, il suo primo figlio!
Cleopatra ha una accoglienza trionfale: non ci possono essere né attentati popolari, né insidie né profferte amorose da parte di un piccolo re, in mezzo ad un mare di ancelle e di eunuchi, di cui è piena la corte, di soldati egizi e di romani, comandati da Iulios !
Dunque, la visita di Cleopatra ha solo valore di un interesse economico ed amministrativo: la regina cerca di estorcere più denaro possibile ad Erode e Malco, tramite i suoi dioichetai, impegnati nella transazione delle terre e nelle dichiarazioni di affittuario da parte di Erode, a cui conviene pagare 200 talenti lui e 200 Malco, piuttosto che consegnare in mani straniere i territori giudaici e nabatei, dati da Antonio alla regina.
Forse nel viaggio di ritorno, Erode accompagna Cleopatra, facendola scendere a Gerico e la ospita al palazzo asmoneo e le dà l’opportunità di vedere di persona la ricchezza e la bellezza del bacino del Giordano e del Mar Morto, propagandati per il balsamo, i fanghi curativi, le acque calde e le palme. Dopo averla scortata con onore fino al confine con l’Egitto, manda corrieri ad Antonio per notificare di aver compiuto il suo dovere di suddito.
Il triumviro, persuaso da Artavaste II, consultati i piani di Cesare, decide ora di seguirli, dopo aver attraversato l’Armenia e di congiungersi sull’altopiano di Erzer (attuale Erzurum) con le truppe di Publio Canidio e con quelle degli alleati per verificare effettivamente la grandezza del suo esercito, imponente, e per fare una grandiosa parata militare della potenza dell’impero romano tanto da sbalordire anche i popoli confinanti, i Battri ed Indi, e far tremare tutta l’Asia (Plutarco, Antonio, 37,4 ).
Il viaggio dell’esercito è ancora unitario in quanto secondo Dione Cassio (ibidem, 25,4), Plutarco( Antonio, 38,2) e Velleio Patercolo (St.II 82) il triumviro porta su trecento carri le macchine necessarie per gli assedi, fra le quali un ariete lungo ottanta piedi, sotto il comando di Oppio Staziano, che rallenta la marcia.
Antonio vuole assediare la capitale della Media,Praaspa (anche detta Fraata), dove risiedono i figli e le mogli del re, avendo fretta di prenderla.
Lo storico greco mostra che Antonio ora asseconda il re di Armenia, che lo ha persuaso a passare per il suo Regno e fare un tragitto di 8000 stadi circa 1480 km, per aiutarlo contro il suo omonimo re di Media Atropatene.
Plutarco nel mostrare la rassegna evidenzia l’apporto di Artavaste II (un contingente iniziale di 6000 cavalieri, – poi 16000 – e 7000 fanti ) ed infine elenca 60.000 legionari romani e 10.000 cavalieri iberici e celti, inquadrati coi romani mentre degli altri popoli rileva auxilia di 30.000 uomini, compresi i cavalieri e truppe leggere (ibidem, 3-4)
Un esercito così imponente mai è schierato da Roma in Oriente, sull’altopiano posto tra l’ Armenia e la Media!
Velleio Patercolo (St. II, 82) dice le stesse cose e parla di 13 legioni condotte attraverso l’Armenia e la Media per attaccare la Parthia!
Nel tragitto di attraversamento dell’Armenia, a marce forzate, durato molti giorni, in luoghi impervi e disagevoli, non è facile il vettovagliamento, nonostante i soccorsi inviati gratuitamente dal re, che vede le violenze dei militari verso il suo popolo,
Antonio non è attento al malumore delle popolazioni aramaiche e alla situazione difficile di Artavaste II – che ha permesso all’esercito romano il passaggio per odio verso il re di Media – e non ha neanche consiglieri aramaici di fiducia, che traducano bene i messaggi e tanto meno può fidarsi dei mercanti e trapeziti giudaici del suo seguito, anche loro aramaici infidi, che lo finanziano perché sono Methoroi, (cfr. Methorios) cioè uomini, ellenisti di doppio passaporto, che cercano il loro interesse finanziario, al confine tra due stati ed hanno banchi per il cambio di monete.
Perciò per il re armeno è conveniente allontanare l’esercito dalle sue terre. Inoltre non è illogico il sospetto di incontri segreti con emissari di Ottaviano, disposti a pagare il re, se tradisce Antonio!
Da qui il consiglio dell’armeno di saccheggiare la Media e punire il suo re, omonimo, a lui nemico: si sarebbe liberato dei romani e avrebbe sconfitto il re vicino, guadagnando territori per la corona.
Il vero errore strategico di Antonio è questo: a settembre/ottobre le regioni sono quasi sempre innevate e lui ancora a fine agosto deve assediare Praaspa, la capitale meda, dopo aver imposto ai soldati marce forzate per altri 10 giorni, dopo 8000 stadi già percorsi, non ben vettovagliati.
A lui sarebbe stato conveniente svernare comodamente in Armenia dividendo le spese tra i questori romani coi fondi dell’ erario e con l’aiuto finanziario dei re socii tra cui Cleopatra ed Erode) e dello stesso Artavaste, che avrebbe avuto il compito maggiore di rifornire i soldati accampati nei castra invernali (Cfr. Erode Basileus): a primavera la marcia verso la capitale meda sarebbe stata un trionfo, data la lentezza del reclutamento del parthi in quella stagione, non sempre mite e dopo il riposo dei soldati.
Gli storici ottavianei, che influenzano Plutarco e Dione Cassio, invece, rilevano che ci sia fretta in Antonio che, avendo desiderio passionale di Cleopatra, vuole svernare in Egitto.
Niente di più falso: Antonio è un dux cesariano -smodato forse nella ambizione nobiliare (cfr Floro, Epit.II,1O.2) – che pensa prima di tutto ai soldati e alla vittoria e agisce colcontributodei consiglieri romani del suo consilium!
E’ un giudizio estremamente negativo per un condottiero di esercito come Antonio, a volte impulsivo, ma di norma prudens, abile a sfruttare le situazioni, coadiuvato da altri duces del suo eccezionale consilium principis!
Antonio dimostra ai Parthi l’infinita superiorità strategico-militare, in ogni occasione: il suo esercito cede solo nella fase iniziale alla sorte (alla neve, al freddo, alla fame, alla sete), alle imboscate, al logoramento ai fianchi per mancanza della cavalleria, poi si compensa e si registra con la formazione quadrata di marcia e neppure è vinto dai tradimenti e dalle false indicazioni sia climatiche che locali, nonostante qualche episodio bellico negativo.
I romani sono vinti più da cause esterne che dai nemici!
Il dux è sempre vincitore negli scontri diretti, attirando il nemico secondo la logica militare e le tecniche strategiche, sicuro della sua forza, procede senza guardarsi le spalle senza controllare le fonti dei tanti consiglieri aramaici, che si propongono nella sfortunata ritirata e risulta ingenuo di fonte all’ambiguità straniera, linguistica.
Comunque, Antonio, dopo la decisione di aiutare Artavaste II contro l’altro Artavaste, rilevando due tempi diversi nella marcia dei suoi soldati, divide l’esercito in due colonne, l’una maggiore condotta da lui procede verso Nord-ovest e poi scende verso sud in direzione di Praaspa (cfr Plutarco ibidem, e Dione Cassio ibidem), mentre l’altra segue a distanza, perché trasporta, trascinando, le machinae per gli assedi, sotto il comando di Oppio Staziano, protetto dal re Polemone e da altre truppe ausiliarie.
I due corpi militari fanno due marce parallele, senza veri collegamenti, se non tramite corrieri, lenti necessariamente nella comunicazione in relazione alle diverse condizioni di cammino e alla speditezza di marcia del primo. Coi giorni, però, le distanze tra i due corpi aumentano e di questo approfitta il Medo Artavaste, che sorveglia la colonna, che procede lentamente per le asperità del terreno, per il peso delle machinae e per il freddo e per la mancanza di cibo.
ll re medo, senza neanche attendere l’aiuto di Fraate, che sta ancora convincendo ì capi del suo esercito ad allungare i tempi di milizia a causa deIla presenza dell’esercito invasore, attacca il corpo lento con le salmerie, annientando due legioni romane (Velleio Patercolo, II,82; Cassio Dione St Rom. XLIX, 25,2 ), impegnate coi carriaggi e colte di sorpresa dalla cavalleria e dagli arcieri, incapaci della minima resistenza in quelle condizioni.
Il re Artavaste II non è lontano dal luogo e potrebbe intervenire, invece, assiste alla pioggia di frecce, da cui è tempestato l’esercito romano, impegnato a trascinare carri e salmerie e machinae (Cassio Dione, ibidem, 25,5).
Il re, visto l’eccidio romano, preferisce tornare al suo paese, senza neanche avvertire Antonio.
Questi, avuta la notizia, lascia l’assedio di Praaspa, appena iniziato, cerca di aiutare i suoi col grosso dell’esercito, ma arriva tardi per constatare la morte dei legionari, l’incendio delle machinae e la prigionia di re Polemone preso e non ucciso a scopo di riscatto. Secondo Plutarco i barbari, inorgogliti per il successo, disprezzano ora i romani ed accerchiano perfino l’accampamento, convinti di poterlo al mattino depredare, e perciò aumentano di numero fino a 40.000 cavalieri.
Antonio, visto il concentramento dei Parthi e dei Medi, convoca i soldati per fare la situazione e per spronarli.
Inizialmente intende presentarsi con segni del lutto in memoria dei caduti, ma poi, col consenso dei legati, si presenta ai soldati, vestito della porpora propria del comandante e li esorta nobilmente al combattimento concludendo il discorso con dire che il cielo punisca lui e conceda salvezza e vittoria all’ esercito.
Lo storico greco, ammirato, così scrive: il giorno dopo i romani escono dai castra ed avanzano, dopo essersi meglio protetti e i Parthi che li assalivano, si imbatterono in una grossa sorpresa. Credevano infatti di andare a saccheggiare e fare bottino non a combattere, perciò avvolti in un nugolo di proiettili, in cospetto dei romani, forti, freschi e pieni di slancio, nuovamente persero il coraggio. Tuttavia, mentre i romani erano costretti a scendere dal pendio di alcune alture li assalirono e li bersagliarono di frecce. Allora tra i soldati romani quelli armati di grandi scudi, voltisi verso la fronte, chiusero all’interno, al riparo, gli armati alla leggera e piegatisi su un ginocchio, misero davanti a sé gli scudi sopra di loro e gli altri di seguito fecero lo stesso. I Parthi ritenendo che il piegare il ginocchio da parte dei romani significasse stanchezza e sfinimento, deposero gli archi ed afferrate le picche ingaggiarono il combattimento corpo a corpo. Allora i romani lanciando tutti insieme l’urlo di guerra, balzarono in piedi all’ improvviso e, colpendo con i giavellotti, che tenevano in mano, i primi tra i nemici, li uccisero e volsero in fuga tutti gli altri.
Di questa tecnica della testuggine, usata spesso in situazione estreme, dato il terreno accidentato e vista la pioggia delle frecce, nei casi in cui non è possibile l’impiego dei frombolieri balearici – parla diffusamente Dione Cassio, St Rom. XLIX ,30., come tecnica specifica romana
Antonio, allora, cerca di provocare a combattimento i Parthi che raramente si avventurano in imprese di attacco in quanto propendono per logorare l’esercito, quando è in marcia, attaccando con la cavalleria senza mai presentare un vero esercito di fanteria .
Antonio, quindi, riprende l’assedio di Praaspa, che risulta vano per il valore degli assediati e la grandezza delle mura, da una parte, per la mancanza dei mezzi di sfondamento e per la necessità di fare terrapieni con alberi da tagliare, da un’altra, considerata anche la fatica della ricerca di vettovaglie e il trasporto, pagato con molte morti.
In tale situazione si allenta la disciplina ed allora Antonio ricorre a alle decimazioni (Cassio Dione, Ibidem, 27; Plutarco, Antonio, 39).
Cassio Dione chiude il discorso: to te sumpan poliorkein dokoon ta toon poliorkoumenoon epaskhen / credeva di essere assediante ed invece pativa le sofferenze degli assediati.
Plutarco insiste nel mostrare il tentativo di Antonio di fare una battaglia campale e risolvere subito la guerra ma i Parthi, convinti ora della superiorità militare romana, fanno scorrerie veloci ed imprevedibili con la cavalleria leggera e con gli arcieri, impedendo, però, ai romani di schierare i frombolieri per loro nemici micidiali.
Nelle poche scaramucce il triumviro prevale facilmente ma non infligge una sconfitta con strage di nemici, che si sottraggono allo scontro diretto e sfruttano la conoscenza dei luoghi, subendo perdite molto limitate e nascondendosi in zone sicure (Plutarco, Ibidem,39).
Gli storici mostrano che Antonio comincia a temere la fame, i latrocini all’interno dei castra e la diserzione: Infatti Antonio prevedeva la fame in quanto non si poteva più andare a raccogliere vettovaglie senza avere molti morti e feriti (Plutarco,ibidem,40,39 ); per i ladri si stabilisce di affidarli ai centurioni e ai decurioni,che li puniscono all’istante; per le diserzioni basta la visione dei disertori crivellati da frecce dai Parthi, che dissuadono i malintenzionati romani dalla fuga.
Siccome la guerra è dura per i due eserciti, Fraate libera da questa situazione senza scampo Antonio perché da una parte teme la defezione dei suoi uomini che non sono abituati a combattere nella stagione invernale, in quanto sanno che, in zona, il clima si irrigidisce e che, dopo il 21 settembre/hdh tou aeros sunidtamenou metà phthinopoorinhn ishmerian (Plutarco, ibidem,40) iniziano le nevicate e da un’altra perché paventa danni per la città recati o dai romani o dagli alleati, per cui invia messaggeri per una trattativa, che sarebbe sfociata in una tregua /spondh.
Comunque, a detta di Dione Cassio, Ibidem27,4 il re riceve i messaggeri su un trono d’oro facendo risuonare la corda dell’arco inveisce contro i romani e alla fine : thn eirhnen, an ge parakhrema apostratopedeusoontai doosein upeskheto / prometteva che ,se avessero tolto subito l’assedio, avrebbe concesso la pace.
Al di là della ostentazione di potenza di Fraate IV nella trattativa, i Parthi hanno piena coscienza della superiorità tattico-strategica militare e disciplinare dell’esercito romano e perciò cercano un trattato di pace, prima dell’acuirsi della stagione invernale.
Antonio, dunque , nonostante tanti problemi logistici e qualche episodio bellico disastroso, ha imposto la potenza del militarismo romano, che ha impressionato con le manovre della fanteria capace di passare attraverso i territori indenne nonostante il netto predominio della cavalleria parthica, il clima, la fame e la non conoscenza dei luoghi.
Plutarco (Ibidem, 40 ) e Dione Cassio( Ibidem, L) spesso citano che contingenti parthici, ammirati, si affiancano ai legionari con gli archi, tenuti in mano, pendenti, per lodare il valore dei romani riconoscendone la superiore forza nell ‘arte della guerra e dichiarando lo stupore dello stesso loro re.
Ottaviano Augusto nel 20 a.C., pur dopo preparativi militari, si accorda con lo stesso Fraate IV e grazie alla diplomazia, senza fare alcuna parata militare, ottiene le insegne sottratte a Crasso e figli del re come ostaggi contro il parere della nobiltà partha: tanto rispetto si è meritato Antonio col suo esercito e con le sue vittorie sul campo!
Augusto impone anche nel trattato la clausola che ai romani spetta l’elezione del re della Armenia Maior, come riconoscimento del diritto romano sull‘intera area: nel 2 d.C. Gaio Cesare, inviato per sostenere Ariobarzane con una grande armata e con molti consiglieri militari, data la giovane età del principe, impone di nuovo tale diritto al trasgressore Fraate V, che si ritira dalla zona contesa (Cfr. Velleio Patercolo, St. II,102 1-3).
Gli effetti della guerra antoniana si vedono anche dopo quindici anni e anche dopo !
Perciò, Antonio, non può ritenere, come sostengono alcuni storici, di dover parlare di sconfitta e tanto meno di essere umile nei confronti dei Parthi (come pensa Floro che parla di immensa vanitas hominis che, per desiderio di titoli, ha vilipeso il nomen romano, senza un disegno e senza nemmeno l’ombra di una dichiarazione di guerra, come se anche la furberia rientrasse nell’ arte di un comandante, Epit.II,10,2).
Antonio, invece, inizia la ritirata, a causa della malasorte – anche Giulio Cesare sarebbe stato, in tale situazione, incapace di cambiare gli eventi col quel clima, in quei luoghi, dopo la defezione di Artavaste!-,con la volontà segreta di punire il traditore, che, comunque, viene trattato con benevolenza, come se nulla avesse fatto di contrario ai romani.
La concomitanza di fame, di sete, di malattie, di mancanza di viveri, la necessità di attraversare regioni sconosciute e di subire agguati dei nemici (cfr Plutarco, ibidem 46-47; Dione Cassio, Ibidem, 28), l’ insicurezza delle guide (sia quella del Mardo, che dell’ex legionario di Crasso, che di Mitridate, cugino di Monese), la non conoscenza della lingua aramaica, diversa perfino dall’armeno, che confonde le indicazioni, sono indizio non di una cattiva gestione dell’impresa ma di fatali coincidenze per un dux di norma fiducioso verso gli altri, magnanimo, tollerante, in sostanza, comunque, prudens.
Poi la provvidenziale mutata situazione politica, dopo la frattura fra il re medo e Fraate per la divisione delle spoglie romane in loro possesso, mette in evidenza l’animo invitto del dux romano, pronto a tornare in Armenia, là dove è stato costretto per salvare il salvabile a riverire Artavaste, a lisciarlo e a vederlo in relazione con i Parthi e con le spie di Ottaviano.
Il ritratto che ne fa Plutarco è di un grande dux, amato dai milites, di cui tesse un elogio dopo una battaglia persa, volendo mostrare l’adattamento della strategia di marcia a formazione quadrata come dimostrazione della capacità di cambiare in corsa le strategie, per proteggere non solo la retroguardia, ma anche i fianchi, grazie al rafforzamento dei lanciatori di giavellotti e di frombolieri.
Lo storico (ibidem,43,3-4) – oltre a mostrare la grande umanità e la dedizione cameratesca verso i soldati, a cui è vicino, specie ai feriti che chiamano il dux col titolo di imperator/comandante vincitore- aggiunge un elogio dei milites e del comandante, anche se sconfitto: nessun altro comandante di quei tempi è riuscito a raccogliere un esercito più brillante del suo, per coraggio, resistenza alle fatiche ed ardore giovanile. Il rispetto, che dimostravano verso il comandante, l’obbedienza e l’affetto e la concordia di tutti, illustri e sconosciuti, capi e soldati semplici, nel preferire la stima e il favore di Antonio alla salvezza della propria vita, non furono superati nemmeno dai romani di una volta!.
Dunque lo storico mostra poi le cause che determinano un sentimento così generale verso un uomo: La nobiltà della stirpe, la sua capacità oratoria, la semplicità, la liberalità, e la larghezza nel fare doni, l’inclinazione a scherzare e a conversare con tutti.
Ed infine conclude dicendo che in quella triste occasione partecipa alle pene e sofferenze degli infortunati fornendo ciò di cui ognuno ha bisogno, facendo sì che malati e feriti abbiano più animo dei sani.
Sembra che tutti gli storici, al di là delle lettura generale dell’impresa parthica antoniana, a seconda della propria angolazione di parte, abbiano, comunque, in comune un giudizio positivo sulla difficile conduzione della campagna.
Dai tanti e svariati giudizi risulta che il triumviro, comunque, sarebbe passato indenne, pur nel mare di imprevisti e la concentrata forza della sorte, se non avesse dovuto fare un intervento correttivo per evitare il peggio nell’ occasione di un’impresa inizialmente riuscita,- da lui accordata-al tribuno Flavio Gallo che, avendo chiesto molti veliti della retroguardia ed alcuni cavalieri dell’avanguardia, resiste con un’altra tattica ai nemici !
Il tribuno, secondo Plutarco (ibidem,42,4 ) dopo 4 giorni di scaramucce senza vinti e vincitori, nonostante il continuo ripiego dei cavalieri romani, al quinto giorno respinse i nemici che attaccavano, senza, però, ripiegare poco a poco, come si faceva prima, verso la fanteria e senza ritirarsi, ma rimanendo fermo, impegnandosi nella mischia in modo troppo audace: sa bene che così facendo può essere accerchiato|
I comandanti della retroguardia vedendolo ormai staccato dal resto dell’esercito, mandano a chiamarlo, ma Gallo non obbedisce, anzi apostrofa il questore Tizio che afferra le insegne e le volge indietro e lo rimprovera perché porta al massacro molti uomini valorosi, costringendo con male parole il questore a ritirarsi e obbligando i suoi a rimanere fermi.
Il tribuno è un valoroso che conosce i piani di Antonio e la sua volontà di trascinare i Parthi ad una battaglia campale!
Infatti, essendo, come previsto, preso alle spalle dai cavalieri parthi e medi, riuniti, chiamati i rinforzi, spera di essere liberato dal grosso dell’esercito e di fare una strage dei nemici, grazie all’urto di tutto l’esercito romano.
Invece accade che i capi della fanteria, tra cui era anche Canidio, che poteva moltissimo presso Antonio, commettessero allora un grave errore. Infatti, mentre era necessario andare in soccorso con l’intero esercito , mandarono invece pochi soldati per volta, inviandone di nuovo altri quando i precedenti erano sconfitti. Non si accorsero che sarebbe mancato poco alla completa sconfitta e disfatta di tutto l’esercito se Antonio in persona in tutta fretta non fosse accorso a far fronte con le truppe dell’avanguardia. Spingendo subito la terza legione in mezzo ai fuggitivi contro i nemici arrestò il loro ulteriore inseguimento (Plutarco,Ibidem,6,7,8).
Secondo Plutarco (Ibidem. Non c’è concordia nel numero dei morti tra gli storici !) morirono non meno di tremila romani e furono portati in tenda 5000 feriti, tra cui Gallo, che era stato crivellato da frecce.
Gli uomini, comunque, hanno fiducia somma in Antonio che, senza badare a fatica né a mancanza d’acqua, né a malattie, derivate da acqua inquinata o malsana, consapevole che all’ Arasse, termina l’inseguimento parthico, fa passare l’esercito lungo zone montane per evitare agguati, su consiglio di guide malfide.
Dopo cinque giorni da questa battaglia ,di cui abbiamo trattato, Antonio raggiunge finalmente l’Arasse, facendo fare marce forzate (specie quella -in cui, in una sola notte percorre 240 stadi oltre 44 km.- quando, oltre tutto, è attaccato all’improvviso da contingenti parthi!).
E pur entrato in Armenia, sorvegliato da un re infido, il triumviro deve contare morti perché molti si ammalano di idropisia e di dissenteria.
Ad Erzer, là dove ha fatto una trionfale parata, ora fa il computo generale della sua non fortunata impresa, una specie di consuntivo bellico : per Plutarco (ibidem,50) mancavano 20.000 fanti, 4000 cavalieri a non tutti uccisi dai nemici ma più di metà morti per le malattie. Avevano compiuto da Fraata (Praaspa per Dione Cassio) un cammino di 27 giorni avevano vinti in 18 battaglie i Parthi, ma le vittorie non avevano portati risultati decisivi e stabili perché si erano limitati ad inseguimenti brevi ed incompiuti.
Per Antonio, dux cesariano, abilitato a sconfiggere e ad essere sconfitto, ora è il momento peggiore, quello della simulazione di fronte al re responsabile della non riuscita dell’impresa, al fine però della vittoria finale.
Antonio, dunque, ha capito che l’armeno Artavaste ha impedito di portare a termine l‘impresa: i suoi 16 mila cavalieri sarebbero stati utili a tenere a bada i parthi che, se sconfitti, sarebbero ritirati definitivamente e non avrebbero seguitato a combattere contro il sistema loro solito , perché non ostacolati nella fuga e non inseguiti debitamente.
Il triumviro, intelligentemente, va contro i l suo consilium che vuole la punizione immediata del re (Plutarco, ibidem 50) e la rimanda a data successiva.
Nel frattempo non rinfaccia il tradimento, né abolisce le consuete dimostrazioni di cortesia e di riguardo verso di lui, ben sapendo di disporre di un esercito debole e di essere senza risorse
Anche Dione Cassio( ibidem, 31) dice: avrebbe voluto punirlo ma gli usava riguardo e lo blandiva, allo scopo di ricevere vettovaglie e denaro
Anche con questa strategia, seppure entro il territorio armeno, Antonio guida una ritirata ordinata, resa difficile dall’inverno, che è duro, e dalla neve che cade e si accumula sulle alture, per cui il dux è’ provato ed addolorato di perdere in questo ultimo tragitto altri 8000 uomini.
Plutarco dopo aver parlato degli ultimi morti, infatti, aggiunge : All’arrivo sulla costa fenicia, tra Berito e Sidone, nella località di Villaggio bianco, si mise ad attendere Cleopatra e poiché ella tardava era agitato e inquieto: subito cominciò a bere e ad ubriacarsi e non riusciva a star fermo a tavola, ma si alzava, mentre gli altri bevevano e correva spesso a vedere se arrivava.
Antonio ora, pur stando nel territorio romano, ha bisogno di tutto, di abiti, di viveri e del denaro contante per pagare i milites. Da qui la sua agitazione di animo, con ricorso all’ ubriacatura, abituale in casi difficili per uomini del sistema agricolo-militare.
Dione Cassio aggiunge : gli giunse del denaro anche da Cleopatra : così poté dare agli opliti cento dracme a testa e buona somma anche agli altri soldati, E poiché il denaro che gli era stato mandato non bastava provvide alle somme mancanti coi propri fondi assumendo i debito che si era assunto con Cleopatra.
Antonio ha al suo seguito trapezitai alessandrini, che pagano con denaro liquido o promettono di darlo appena arrivati in Egitto, se il dux firma cartulae di compromesso al fine di accedere ai depositi bancari in Alessandria, con cambiali, diremmo oggi noi ( cfr A Petrucci, Mensam exercere. Studio sull’impresa finanziaria romana Jovine 1991).
Dione Cassio così conclude A tale fine raccolse molto denaro dagli amici e dagli alleati, che controfirmano, garantendo il debito di Antonio.
Plutarco aggiunge: finalmente Cleopatra giunse, portando molte vesti e denaro per i soldati.
Non è pensabile che Erode ed Alessandra, vicini alla zona, non siano accorsi, se non di persona, almeno con delegati, che portano soccorsi immediati di viveri e di abiti e di trapezitai gerosolomitani con denaro liquido.
La notizia del ritorno di Antonio gira in tutta la Siria con voci contraddittorie circa l’esito finale della guerra, ma con la sicurezza del passaggio di un esercito in ripiegamento, con tutti gli acciacchi di una campagna militare.
Ottavia stessa a Roma, viene a sapere di un Antonio, aiutato da amici, alleati e Cleopatra, fermo con l’esercito in Fenicia. Non si conoscono le fonti da cui la moglie abbia avuto le informazioni sul marito.
Ottaviano, avendo moltissime spie nell’esercito stesso del rivale, avutene le relazioni segrete circa l’andamento della campagna e la situazione attuale di Antonio, accoglie le richieste della sorella seppure a malincuore: la moglie vuole ricongiungersi col marito e tentare di rappacificarsi, anche se lui sa che non è possibile, date le motivazioni politiche e il comune sogno di un ideale regno universale, basato su Cesarione, figlio legittimo di Cesare.
Il fratello protegge la sorella, madre di Antonia Maior e di Antonia minore, avute da Antonio, emblema delle donne romane, fedele anche se offesa nel suo onore muliebre, che vuole attendere il marito ad Atene nella loro casa e consegnare i regali di Ottaviano che desidera la pace.
Ottavia, secondo Plutarco, porta come munera/regali molte vesti per i soldati, molti animali da soma, denaro e doni per gli ufficiali e gli amici, che lo accompagnavano, e oltre a ciò 2.000 soldati scelti destinati alle coorti pretorie fornite di splendide armature.
Cosi scrive Plutarco in ibidem 53:Ottavia desiderava imbarcarsi per raggiungere Antonio e Cesare glielo concesse. …Giunta ad Atene, Ottavia ricevette una lettera da Antonio che ordinava di rimanere lì e la informava della spedizione.
Lo storico antico, come quelli contemporanei, ritiene che l’azione di Ottaviano non ha niente di fraterno, ma ha una motivazione politica e propagandistica per avere l’opinione pubblica a lui favorevole, in un momento, in cui il rivale si è alienato i propri concittadini sia per l’amore con la regina di Egitto che con la non riuscita impresa parthica, causa di dolore per i molte morti, compianti dalle famiglie romane.
Plutarco precisa che Ottaviano lo fece non per compiacerla, ma perché la sorella, offesa e trascurata da Antonio, gli offrisse un conveniente pretesto per la guerra / pros ton polemon aitian eupreph paraskhoi (Ibidem)
Ormai il triumviro occidentale è propenso per i preparativi di guerra.
Ottavia risponde ad Antonio dove debba inviare quanto dato dal fratello ed invia una lettera portata a mano al marito da Nigro, un suo amico, che aggiunge notevoli e meritate lodi di Ottavia, madre delle sue due figlie, una di tre anni ed una di un anno e mezzo, ed tutrice dei figli suoi e di Fulvia.
Così facendo, l’astuto Ottaviano, con l’ autorizzazione alla sorella, propaganda la sua immagine di vir della tradizione latina, un pater di grande animo, che non vuole guerra, ma cerca di riappacificare la moglie col perfido marito, perduto dietro sogni mitici, ammaliato dalla passione per Cleopatra sempre di più dipinta come nemica dei romani e mostro (fatale monstrum di Orazio, Carmina I,37 ), connotato da lussuria.
Secondo Plutarco solo ora la regina egizia prende in considerazione Ottavia: Cleopatra si accorse allora che Ottavia era divenuta una sua rivale /khoorousan authi e temette che se avesse aggiunto alla nobiltà del carattere e alla potenza di Cesare la possibilità di stare insieme ad Antonio a suo piacimento e di vezzeggiarlo, sarebbe diventata invincibile/amakhos e completamente padrona di suo marito.
A corte ad Alessandria, nell’estate del 35, quando Antonio intende partire per Antiochia, per poi muovere dalla Siria verso la Media nuovamente per un accordo, scortato da Quinto Dellio e da altri legati, Cleopatra ancora deve tornare in forma fisica, dopo il parto di Tolomeo Filadelfo, ora bimbo di 7/8 mesi, da allattare, mentre vede i ritratti di Ottavia, più bella di prima, dopo il parto di Antonia Minor, ora bimba di 18 mesi circa.
Per Plutarco e gli storici filottavianei Cleopatra è impegnata a circuire e ad ammaliare Antonio con tutte le moine, i vezzi, le finzioni tipiche delle donne , che vogliono l’esclusivo potere su di un uomo, assecondata dai suoi cortigiani, che favoriscono la sua azione di riconquista del proprio uomo. In ogni corte si parla di questa circuizione della regina verso il romano, che sta per partire per la nuova spedizione.
Non è improbabile che a Gerusalemme alla corte di Erode le donne asmonee, Alessandra e Mariamne siano dalla parte di Cleopatra mentre quelle idumee Cipro e Salome dalla parte della casta Ottavia, a cui fanno arrivare probabilmente lettere, essendo noto il rapporto epistolare tra Giulia Livilla, moglie diOttaviano e Salome.
Non si escludono nemmeno lettere di solidarietà femminile e consigli da parte di Alessandra, interessata a coltivare l’amicizia con la regina di Egitto: La corte erodiana ha, così, un altro motivo di litigio, data la divisione in ogni cosa.
Comunque, a corte, a Lochias, secondo Plutarco (ibidem 53,6-10): Allora finse di essere lei l’innamorata di Antonio e si sottopose ad una dieta per dimagrire/to soma leptais kathhirei diaitais; quando lui si avvicinava mostrava lo sguardo smarrito e quando si allontanava appariva afflitta e abbattuta. Faceva in modo che fosse vista spesso piangere ma subito si asciugava le lacrime e cercava di nasconderle, come per evitare che Antonio se ne accorgesse… Gli adulatori, adoperandosi a favore di Cleopatra, rimproveravano Antonio di essere duro e insensibile e di far morire una donna, che viveva unicamente per lui. Dicevano che Ottavia si era unita a lui per ragioni di stato, a causa di suo fratello e sfruttava il titolo di moglie /pragmatoon eneka dià ton adelphon sunelthein kai to ths gameths onoma karpousthai mentre Cleopatra, regina di tanti sudditi, veniva chiamata amata eroomenhn di Antonio, eppure non sfuggiva né sdegnava questa denominazione, purché le fosse possibile vederlo e vivere con lui: non sarebbe sopravvissuta lontana da Lui!.
Dellio e Planco sono tra gli adulatori che favoriscono la decisione di Antonio di rimandare alla prossima stagione, cioè all’inizio della primavera del 34 gli affari col re Armeno e con quello Medo, sebbene si dicesse che i Parthi erano in rivoluzione ( Plutarco,ibidem, 11).
Il disegno antoniano è di ritornare quanto prima in Media secondo Plutarco (ibidem), per stabilire un’alleanza col re, che gli ha fatto proposte, essendo ora in disaccordo con Fraate, per prendere come sposa per uno dei figli che aveva avuto da Cleopatra, una delle figlie di Artavaste, che era ancora piccola .
Antonio da Antiochia ritorna ad Alessandria non rammollito, né intenerito da Cleopatra, ma vi torna per svernare , accontentando la regina che sembrava rinunciare alla vita, e per prepararsi non solo alla spedizione contro l’armeno Artavaste ma anche per la guerra contro Ottaviano, contro cui oppone il figlio stesso di Cesare, Tolomeo Cesarione, riconosciuto da tutti i romani presenti a corte similis patris, in un’adozione collettiva.
Agli inizi della primavera invia il suo favorito Dellio per chiedere la mano della figlia per darla in sposa ad Alessandro suo figlio (Dione Cassio 39), mentre lui giunto a Nicopoli di Pompeo, al confine tra il Ponto e l’Armenia minor, convoca il re Artavaste II per consigliarsi per una nuova guerra contro i Parthi.
Si sa da Dione Cassio (Ibidem) che il re non viene perché sospetta insidia/epiboulh, ed allora gli invia di nuovo Dellio con un messaggio mentre lui marcia verso la capitale armena.
Antonio cerca in tutti i modi di attirarlo presso di sé : Dione Cassio (ibidem 39,4-5) scrive: Così dopo molte fatiche attraverso i consigli che gli faceva dare dagli alleati, con la paura che gli infondeva con l’esercito e comportandosi in tutto con lui, nelle lettere e nelle azioni da vero amico, lo persuase a venire nel suo accampamento. Qui lo fece arrestare senza però, tenerlo legato, almeno in principio.
Antonio ha così vendicato Oppio Staziano e la retroguardia, massacrata dai parthi sotto gli occhi del re armeno, indifferente!
In seguito porta il re sotto le mura di Artaxata per convincere gli armeni a pagare un tributo per la sua salvezza e per la salvezza del regno (ibidem)
Siccome i khrusophulakes / i custodi dell’oro non lo ascoltano e i soldati eleggono Artaxe il figlio maggiore come loro re, Antonio fa legare Artavaste con catene di argento (quelle di ferro non sono adatte per un re!)
Dunque, Antonio conquista l’Armenia ed altre regioni limitrofe, alcune con le buone ed altre con la forza, sconfiggendo Artaxe, che si rifugia presso i Parthi.
La presenza del triumviro nella zona armena scompagina le alleanze col re dei Parthi, determinando uno scontro tra i maggiori re della confederazione, che si ribellano al re dei re, che non è stato moderato nella divisione delle spoglie romane e non ha rispettato i meriti di Artavaste di Media, maggiore alleato .
Questi, rotti i rapporti diplomatici con Fraate ed avendo già avuto rapporti con Dellio, ora stringe nuove relazioni con Antonio stesso, a cui rinvia le insegne catturate in battaglia a Staziano (Dione Cassio, Ibidem,44,2): il Medo, infatti, sospetta e teme di essere privato del regno. Perciò mandò a chiamare Antonio promettendogli di combattere a suo fianco col proprio esercito (Plutarco, ibidem).
La stessa cosa conferma Plutarco: intanto tra il re dei medi e il partho Fraate sorse una contesa, che cominciò, a quanto raccontano, a proposito delle spoglie dei romani.
Antonio -lo sappiamo anche da Dione Cassio – è entusiasta della cosa perché ha su un piatto d’oro l’offerta della potente cavalleria meda e, dopo aver mandato Dellio, stringe diplomaticamente i rapporti col re medo, che concede la figlia come moglie di Alessandro.
Ci sono molti altri atti diplomatici di Antonio in questa fase come risulta anche a R. Syme (La rivoluzione romana, Einaudi 2014) ed altri storici contemporanei, che noi, comunque, non prendiamo in considerazione in quanto vediamo i fatti in relazione allo scontro in Oriente tra barbaries aramaica ed ellenismo romano.
Antonio, data un’impostazione costituzionale romano-ellenistica all’Armenia, lasciata sotto il comando di Publio Canidio, torna in Egitto, volendo fare il trionfo ad Alessandria, dove invia grande bottino insieme al re armeno con tutta la sua famiglia, in una volontà di opposizione alla tradizione, che vuole Roma centro dei festeggiamenti di un trionfo: è una provocazione ad Ottaviano, che è già sul piede di guerra, e al senato diviso tra i cesariani antoniani ed ottavianei.
Eppure il trionfo ad Alessandria è approvato dal suo consilium principis, compreso Gneo Domizio Enobarbo, che mai riverisce Cleopatra e l’apostrofa col nome, solo, di Cleopatra, senza il formalismo vigente a corte, secondo i canoni della Basileia ellenistica.
Il trionfo alessandrino, secondo Flavio, Dione Cassio e Plutarco, è un momento magico della carriera del triumviro, il suo culmine, il vertice della sua attività politica.
Sembra che nel primo giorno Antonio (Dione Cassio ibidem ,40) fa il suo trionfo su Artavaste di Armenia: mandò avanti verso Alessandria, come in una processione trionfale, la famiglia reale con tutti i prigionieri, poi venne anche lui col cocchio. Fece dono di tutto a Cleopatra e le presentò il re e i suoi familiari legati con catene d’oro. Cleopatra stava in mezzo al suo popolo su un palco d’argento, seduta su un seggio dorato. I prigionieri né la supplicarono, né le rivolsero parole di ossequio, benché si fosse cercato di costringerli con la forza e facendo anche balenare delle speranze: La chiamarono col solo nome mostrando in questo modo coraggio, ma pagando amaramente per il loro comportamento
Negli altri due giorni Antonio risulta teatrale, arrogante ed odiosamente ostile ai romani, riunendo il popolo nel ginnasio come un gimnasiarca ( cfr Paideia e Gimnasiarca).
Plutarco (Ibidem, 54,6) dice: Dopo aver fatto riempire di folla il ginnasio e collocare due palchi d’oro, uno per sé, uno per Cleopatra e gli altri più bassi per i loro figli, prima di tutto proclamò Cleopatra regina d’Egitto, di Cipro, di Libia e di Celesiria. Con lei avrebbe diviso il potere Cesarione, che si diceva figlio del primo Cesare, il quale aveva lasciato Cleopatra incinta.
Leggermente diverso è il racconto di DioneCassio che dice: Antonio diede un banchetto pubblico agli abitanti di Alessandria fece sedere accanto a sé nell’ assemblea del popolo Cleopatra e i suoi figli e nel discorso che vi tenne ordinò di chiamare Cleopatra regina delle regine e Tolomeo, che chiamavano Cesarione, avesse il titolo di Re dei re. Procedendo poi ad un’altra distribuzione di province diede loro l’Egitto e Cipro e disse che Cleopatra era veramente moglie di Cesare e che Tolomeo era suo figlio.
Lo storico dell’epoca severiana risente delle diatribe accese degli storici dell’epoca augustea sulla legittimità di Ottaviano o di Cesarione circa l’eredità cesariana. Da qui il commento della fonte filoattavianea, con cui Dione Cassio chiude: voleva far credere di fare ciò in omaggio a Cesare; in realtà intendeva in tale modo screditare Ottaviano facendolo apparire come un figlio adottivo, non come figlio legittimo di Cesare. Questi doni egli fece a Cleopatra e a Tolomeo.
Sembra poi che nell’ultimo giorno di trionfo, Antonio con l’elezione dei figli di Cleopatra a re di territori non ancora entrati sotto l’impero romano, abbia voluto mostrare quale sia il suo disegno politico ai romani presenti, come se già fosse completamente realizzato: è una celebrazione ideale con apoteosi della sua politica militaristica tanto da risultare rappresentazione teatrale dei figli come re delle varie parti del mondo, vestiti con gli abiti esotici dei loro popoli.
Questa è descrizione di Plutarco (ibidem,54,7-8-9): Antonio, avendo dato il titolo di re dei re-Basileus basileoon-ai figli suoi e di Cleopatra ,ad Alessandro assegnò l’Armenia, la Media e l’impero dei Parti, una volta sottomessi; a Tolomeo la Fenicia la Siria e la Cilicia, E nello stesso tempo presentò al popolo i suoi figli, Alessandro vestito come i Medi, con la tiara e il cappello puntuto detto Cidari, Tolomeo con sandali, clamide e cappello a tesa larga, ornato di Diadema; quest’ultimo era l’abbigliamento dei successori di Alessandro Magno, quello invece dei Medi e degli Armeni. Dopo che i bambini ebbero abbracciato i genitori , furono attorniati dalle relative guardie del corpo di Armeni l’uno e di Macedoni l’altro.
In questo trionfo Cleopatra –secondo Plutarco-, sia in quella occasione che nelle altre, in cui usciva in pubblico, si vestiva del manto sacro di Iside e dava udienza come nuova Iside.
Ad Alessandria alessandrini, egizi, giudei, greci e stranieri, acclamano la coppia divina e augurano buona sorte, ma già Ottaviano, a Roma, comincia i preparativi di guerra e la sua campagna di propaganda contro Antonio, degenere romano, marito infedele, dioicheths corrotto, magistrato reo di sperperare i beni pubblici, come se fossero proprietà privata, uomo impazzito per amore ed ammaliato dal mostro Cleopatra.