Lavorare, lavorare, lavorare/ preferisco il rumore del mare

 

 

 

Lavorare, lavorare, lavorare

preferisco il  rumore del Mare

 

Non è  propriamente un distico di  D. Campana ( 1885-1932), ma un’interpolazione con sostituzione di termine, posto in altra sede, per un adattamento culturale.

Il distico  deriva dalla seguente poesia, la diciottesima di Taccuini, Abbozzi e Carte  varie  ( Cfr. D. Campana, Canti Orfici ed altri scritti, introduzione di C. Bo, Firenze, 1941):

Fabbricare, fabbricare, fabbricare

Preferisco il rumore del mare

Che dice fabbricare fare e disfare

Fare e disfare è tutto un lavorare

Ecco quel che so fare.

In quegli anni, tra il 1911-3, in cui   conobbe ed amò la scrittrice Sibilla Aleramo (1876-1960) il poeta aveva lavorato moltissimo e per vivere  nei suoi frequenti espatri, aveva fatto il fabbro, il suonatore di triangolo nella banda della marina argentina, manovale, stalliere, pompiere  e venditore di stelle filanti  ad Odessa.

Il rumore del mare evocava al poeta il fare e disfare, che diventavano espressione della sua vita errabonda, di una fabbrica, in cui, però, evidenziava il lavoro di costruzione e di demolizione, infruttuoso, pazzesco.

Nespolo, interpolando, ha costruito due versi, campaniani, per un suo preciso messaggio.

La  nuova “poesia”,  ricodificata, inserita nel sistema industriale,  deve essere attentamente letta per capire il messaggio dell’artista, ma anche per rilevare il senso di un’opera d’arte di uno scultore, che l’ ha voluta scegliere come manifesto culturale contemporaneo  per un lungomare, quale quello di S. Benedetto del Tronto.

Ad una prima lettura appare chiaro il significato  di  preferisco, essenziale per la comprensione dei due versi: porto avanti, antepongo ad altro (da prae-fero)

Perciò : A  lavorare, lavorare, lavorare, antepongo il rumore del mare.

Inoltre l’anafora di Lavorare (la triplice ripetizione del termine) sottende uno stato di disagio, di peso, di monotonia, a seguito della necessità  quotidiana  del dovere professionale, fardello continuo di ogni vivente in una società industrializzata e rimanda nella indefinitezza , propria dell’infinito, ad una stanchezza e spossatezza morale indistinta.

Infine il rumore del mare  esprime la continuità dello sciabordare del mare, che mormora ripetitivamente, in modo rasserenante e quietante, sottendendo un messaggio di stabilità e di riposo, anche se congiunto con quello di distruzione (traccia del verso di Campana)

Ne consegue che superficialmente si può concludere sul piano denotativo: al lavoro ossessivo, imposto, io, uomo preferisco il rumore  continuato e ritmato del mare: alla condanna del lavoro, generica, corrisponde contrastivamente la volontà dell’individuo che preferisce emotivamente il rumore del mare, sentito ora positivamente

La scelta  tra la produzione industriale, ritmata e scandita dall’alternarsi delle liquide l e r  di lavorare,e l’attività sonora del mare, espressa col rumore (che rientra nell’area semantica dell’industria ) è segno della coscienza del disagio umano, di fronte all’anonimato industriale, richiamato proprio dall ‘insistenza della r, che, ridondante ed allitterante, accomuna i due stichoi.

Il piano espressivo cela una complessa opposizione semantica, basata sull’equivocità della positività del lavoro umano e sulla negatività del rumore del mare come fastidio, nella sua monotona ripetizione di battito dell’onda sulla  battigia, che vengono rovesciati dall’autore, che, propenso all’ozio,  sente come piacere il mormorio rumoroso del mare e come dolore l’assillo del lavoro,.

L’io è segno di una emotiva partecipazione al rumore naturale eterno, di una coscienza dell’assillo lavorativo quotidiano e di  una conseguente scelta personale.

Il rumore del mare, come sensazione più auditiva che visiva, sottende tutta l’area semantica dei suoni marini, che vanno dal fragore al sussurro, dal sibilo al mormorio, connessi con l’operatività marina e delle acque e dei pescatori.

Il distico  risulta  strutturato ed impostato contrastivamente in senso antitetico,   impreziosito da  un gioco analogico sinestesico, che si risolve nella personale  preferenza di vivere l’incanto di una vigile attenzione al mare, alla sua armonia, al suo profumo, al suo perenne lavorio, come evasione momentanea dall’urgenza lavorativa industriale.

Il significato complessivo, dunque, per il poeta é: io, uomo ,che sono assillato dal lavoro quotidiano, preferisco la canzone rumorosa ed assillante del mare a quella della fabbrica  , termine, assente,  sotteso nella ripetizione iniziale.

Il merito dell’artista consiste nell’aver saputo interpretare versi così sfumati di significati e di averli mediati per la città di S. Benedetto del Tronto, riprodotta nei suoi colori tradizionali, come località dove il canto, dolcemente rumoroso del mare veramente ritempra, rasserena e  pacifica l’animo di chi è stanco dal lavoro  continuo, impellente: una promozione turistica maggiore non poteva essere inventata neppure dal più geniale propagandista.

Nespolo ha tradotto il pensiero altamente poetico  con i suoi mezzi espressivi, con semplicità, come per non corrompere la potenza evocatrice della parola, annullando quasi la sua abilità artistica.

Ha sfruttato la sua capacità di giocare coi colori, da bambino: ha fatto un climax ascendente cromatico  nella  nuova composizione dei versi liberati dalla regola metrica e disposti ora in sei versicoli, ha sfumato i colori dell’azzurro dal primo lavorare, celestino, al bleu cupo di del mare per chiudere col rosso dei tre piedi metallici, che richiama cromaticamente  la barra rossa, che intervalla ogni versicolo.

Ugo Nespolo(1941-vivente, artista noto in zona per Lo Sberleffo, per il Palio della Giostra di Foligno  e del Torneo cavalleresco della Quintana di Ascoli Piceno ) già solo per questa geniale trascodificazione è scultore  grande, meritevole di plauso.