Ponzio Pilato con Seiano e senza Seiano

La storia  di una inimicizia è … l’ historia di un’amicizia!

Professore, ora che abbiamo ripreso la nostra conversazione abituale, desidero  avere  spiegazione ulteriore su Ponzio Pilato  e le possibili relazioni prefettizie annuali scritte,  inviate a Tiberio e al senato  pe comprendere  come il prefetto  – con Seiano e senza Seiano – possa, nel corso della sua missione prefettizia in Iudaea,  rimanere fedele  al proprio partito, pur essendo tragicamente cambiata la situazione romana con la morte del suo capo, proprio quando si vedono i segni della reazione tiberiana!

Marco, tu vuoi sapere, in effetti, se cambia il modo di governare di Pilato, dopo la  morte del pretoriano il 18 ottobre del 31d.C. e dopo l’evento del regnum di un Maran (basileus/re) aramaico in Iudaea, una regione romana: tu sei curioso  di conoscere le possibili  relazioni a Tiberio, cioè gli  scritti apocrifi su Ponzio Pilato e la loro attendibilità! .

Io non credo di poter soddisfare la tua curiositas  perché non ci sono, allo stato attuale delle conoscenze, scriptiones, redazioni  scritte stabilite in una precisa epoca, con scripta certi, ma codici sospetti, tramandati in diversi tempi, tratti anche da differenti autori, poi assemblati in modo da essere etichettati come tacitiani o svetoniani o flaviani,  utilizzabili per fini da determinare.

Gli atti di Pilato, certificati  sono quelli da me  indicati in Ponzio Pilato e i Governatori di Siria (Pomponio Flacco e Lucio Vitellio), se le fonti, autentiche, non sono state  toccate  da manipolatori,  desiderosi di contestualizzare la vicenda umana del Christos  in epoca tiberiana e di giustificare  quanto stabilito in Concilia/Sunodoi cristiani del IV, quando la datazione Orientale è diversa ancora da quella Occidentale! Posso solo dire che, se c’è qualcosa, quel poco è supposizione in relazione ad una tradizione del II secolo, di Taziano nel Diatesseron – una sintesi dei quattro vangeli di un apologista che vagamente mostra vita e morte per crocifissione  di un giudeo Galileo, che ha patito sotto Pilato ed è risorto dai morti  – e del  Vangelo di Nicodemo- apocrifo di un anonimo probabilmente  degli inizi del IV,  che contiene anche la Sentenza del procuratore e  la Discesa agli inferi di Christos –  cose tutte riciclate e riconfluenti  negli scritti dei cappadoci (Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo),  nel IV secolo ed infine accolte  nella tradizione cristiana  bizantina e medievale!.

Sono, quindi, professore,  notizie non certe e  in codici  di difficile datazione, vista la storia imperiale secolare e le due lingue di trasmissione ufficiale, considerata la caduta dell’impero occidentale e la  sussistenza di quello orientale bizantino, di lingua greca, fornito di scriptoria  più adeguati per la trasmissione dei codici rispetto a quelli occidentali in mani barbariche. Perciò, professore, credo che l’ avvenimento della  morte di Seiano,  collegato alla prefettura di Ponzio Pilato – essendo un fatto  di poca importanza nella stessa storia imperiale, seppure rilevante in quella tiberiana  della domus giulio-claudia –   diventi in epoca teodosiana effettivamente necessario  e risulti  ricerca storica per la fissazione degli enunciati  dogmatici trinitari stessi,  sulla famiglia giulio-Claudia, sull’età tiberiana e sul mandato di Ponzio Pilato e sulla  morte del pretoriano, coincisa con l’inizio del Malkuth del Christos!.

Vedo, Marco,  che ragioni davvero, nonostante il tuo credo, di un cristiano che crede pur quando ragiona!  Sto scherzando bonariamente, mentre rilevo che hai ben compreso che la fine di Seiano necessariamente influenza il mandato del praefectus di Giudea, turbato anche  dal successivo evento messianico, perché cambiano i  suoi rapporti con gli altri governatori che devono dimostrare la loro  fedeltà esclusiva all’imperatore e al senato, per mostrare la loro estraneità alla congiura del pretoriano, disgiungendosi dalle direttive seianee antigiudaiche. La morte di Seiano, Marco,  cambia  ogni cosa in Italia e  in  Roma – a cominciare dal ritorno nella capitale degli ebrei,  che risultano subito  numerosissimi, circa un decennio dopo, (cfr. Svetonio, Claudio XXV, Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantis, Roma expulit/ cacciò i giudei, che continuamente erano in tumulto per la propaganda di Cresto –del Messia buono?-)  –  in un momento di ripristino  di costumi arcaici latini ed  italici e di condanna dei culti  druidici in Occidente – durante e dopo l’impresa britannica-  ed anche in Oriente, di quelli giudaici.   Nelle province, poi, rimangono invariati solo i vertici  prefettizi,  che sono confermati, mentre  sono eliminati  solo momentaneamente i pubblicani esattori del fisco imperiale, ritenuti inaffidabili da un Tiberio,  intento ai processi  romani contro i seianei, apparentemente disinteressato  alla politica e in Occidente, anche dopo le sconfitte di  L. Apronio  ad opera di Frisi e in Oriente dopo la riconquista dell’Armenia da parte di Artabano III. Insomma la fine del pretoriano risulta un capovolgimento grandioso di politica in tutto l’impero romano  e coincide con la Venuta del Signore Christos in un piccolo territorio,  in un’area periferica  ciseufrasica, insignificante, ma importante per la grandiosa attività del gazophulakion templare e per la funzione etnocentrica del Tempio di Gerusalemme!. E’, comunque, un evento di portata eccezionale, forse, allora, ingigantito dalla fama, perché inatteso ed imprevisto, poi, con gli anni  ridimensionato e quasi dimenticato con le nuove dinastie imperiali e con i tanti fatti accaduti nella stessa zona –  il bellum iudaicum, distruzione del Tempio del 70 e la galuth/dispersione  ebraica del 135 d.C.-  fino all’ epoca costantiniana e a quella teodosiana,  le quali sanciscono la vittoria del Dio ebraico- cristiano, trinitario (Padre -Figlio-Spirito santo)!

Io so, professore,  che per lei,  storico laico e non cristiano, ha immenso valore la neoteropoiia caligoliana con ektheosis e non ha  significato alcuno, perché  muthos, la venuta di Cristo, un rivoltoso aramaico  crocifisso, ma, per me, cristiano, la venuta del Messia sulla terra, annunciata dai profeti e proclamata dal precursore Giovanni Battista  è  un grande avvenimento tanto che  la nascita di Cristo, uomo-dio, figlio del padre, concepito dallo Spirito santo,  grazie ad una vergine,   divide la storia,  e la sua morte con patimento sotto Tiberio  è esempio di vita  per ogni credente, riscattato col suo sangue dal peccato di Adamo ed avviato alla salvezza eterna, in quanto battezzato e seguace delle orme del Soothr/ del salvatore, risuscitato dai morti! lo  accetto lo studio della storia-pur sbagliata – divisa in Ante Christum natum e post Christum natum, – anche se so che questa divisione  avviene nel VI secolo d. C. con Dionigi il Piccolo (che la fa partire dall’anno zero senza conteggiarlo – non esistendo allora lo zero – ed elimina la datazione per Olimpiade  777/6 a.C., quella  Ab urbe condita 753 a.C., e quella,  a cominciare dall’inizio del regno di Diocleziano  284 d.C., allora vigente )- e rilevo, secondo la nostra tradizione,  un Cristo vivente  in me stesso, conformato  alla volontà  di Dio padre, che,  inviando nella pienezza dei tempi, suo figlio, ha redento l’uomo, avendo scelto l’età migliore augusteo- tiberiana, espressione somma  della iustitia  romana e  stabilito il governatore di Iudaea  Ponzio Pilato, ab aeterno,  come   giudice   che –  pur lavandosi le mani- condanna,  a morte, Gesù, anche se proclamato giusto,  ed inconsapevolmente realizza il piano divino storico  di redenzione,  facendo  ricadere il suo sangue sul popolo giudaico e sulla casta sacerdotale, colpevole di un deicidio, e non sulla Romanitas!. So bene che, come  cristiano, valuto secondo  fides  e non posso come fidelis,  razionalizzare e fare storia con lei, ma ho desiderio di leggere e studiare, seguendo la sua visione razionale, terrena  ed umana della storia!

Marco,  devi fare subito  chiarezza in te  e fare una scelta tra fides e ratio, tra muthos e  Historia!

Comprendo, professore, che ho bisogno  di fare questo, ma ora  sono in questa particolare situazione di incertezza e di dubbio: la  sua  doppia visione della figura di Gesù (una  aramaica, conclusasi con la galuth adrianea ed una greco-ellenistica, vittoriosa)  e forse il suo rilievo, pur  giusto dei due Regni, distinti, quello dei Cieli  secondo  Giacomo il fratello di Gesù e i suoi fedeli,  finiti tragicamente nel 135, e quello di  Dio, costituitosi nel II secolo d.C. , in epoca antonina, ad Alessandria, mi sembrano logici, ma non mi convincono!.

Eppure  lei  ben rileva come  in Alessandria  in epoca antonina  la presenza  di  un’ ecclesia  con didaskaleion autorizzi una nuova impostazione unitaria cristiana!. 

Ciò avviene  sulla base  di una ricostruzione di vangeli  sinottici – iniziata dopo la distruzione del Tempio gerosolomitano, con revisione di tutto il  materiale  orale e scrittorio aramaico e greco, tra il 73 d.C. e  il 135 d.C.- per cui è possibile la  proposta  di un altro Christos  che si fonde con un’altra figura di Messia efesino, giovannea, sotto Antonino il Pio  e si  determina  la nascita della religio cristiana sulla base di lettura  veterotestamentaria  di Filone – secondo ermeneutica alessandrina – e del pensiero  del Neoplatonismo,  in  opposizione allo gnosticismo,  in cui  predomina un’altra figura  del Christos, non più eroico martus del giudaismo, ma simbolo universale di amore e di pace, non più  un rivoltoso  Mastro/Qainita,  ma un maestro  di giustizia, connotato da cultura aramaica e da principi  filosofici platonico-stoici!.  

Lei, rilevando  i  segni di una religio composita, inizialmente non unitaria, contradditoria, connessa con quella  antiochena, con  quella efesina  e con altre, eretiche, sparse  in diverse sedi dell’ impero – che  seguono vari indirizzi  in relazione al pensiero di  Paolo e di altri come  Barnaba, Apollo alessandrino – pur non accettando la lezione della tradizione apostolica e quella degli apologisti e dei padri della chiesa, mi orienta verso altre soluzioni, mostrandomi  più la grandezza della cultura greco-romano ellenistica che quella cristiana, in un momento storico, in cui  c’è il  tentativo di unificazione e di koinonia dell’impero romano, che fa gradualmente di tanti popoli uno solo popolo,  assicurando pax ed iustitia, nonostante la peste antonina  e le tante vicissitudini umane e terrene di una costruzione imperiale  grandiosa, ma pur sempre di uno stato umano!

Io sono preso e turbato da tutto questo nuovo mondo ideologico  storico, che sconvolge quanto ho finora considerato un  bene culturale e un bene  reale per il mio vivere quotidiano e dei miei figli!.  Mi trovo, dunque, professore, ad un bivio in quanto  ho problemi di accettazione della mia stessa tradizione culturale  ed  ora,  in questo  lavoro, su Ponzio Pilato,  sento di dover confessare i miei  dubbi e mi devo scusare  con lei,  mio maestro, in quanto capisco che lei ha una visione storica razionale, impossibile da conciliare con quella irrazionale religiosa e riconosco la sua visione  più alta e filosoficamente più  complessa poiché mi mostra un’ età come quella augustea e  tiberiana, senza aloni e senza pregiudizi, simile ad  ogni altra storia  imperfetta,  anche perché è un momento tipico di passaggio tra lo statuto della res publica  e quello del  principato  ad opera di un eques, come Ottaviano,  sostanzialmente scaltro attore, grande politico ed  eccezionale amministratore che, grazie ai suoi meriti  di dux vincitore nella guerra civile contro Antonio,  è salutato Augustus/Sebastos  avendo  potere  tribunizio e proconsolare  da un senato, che  lascia delegittimare le cariche consolari e pretorie, autorizzando la nascita di una basileia universale divina anche in Occidente, tra infiniti contrasti,  contraddizioni e congiure.

Lei mi svela, così, un’altra storia diversa da  quella del muthos cristiano, della nascita di un Christos/Chrhstos  tra canti angelici e tra pastori e magi che portano doni, in un mondo di pace, in un momento di fratellanza universale, voluto da Dio  e scelto per la venuta sulla Terra del suo unico figlio! lo vedo ben altra realtà storica umana e terrena!

Marco, mi dici tutto questo, riassumendo perfettamente il mio pensiero, con la volontà di seguitare insieme il lavoro o per  chiudere qui, con un rifiuto,  la nostra comune ricerca storica, anche se cerchiamo di essere leali con noi stessi, realisticamente efficienti, concreti e razionali?!

No, professore, io voglio capire la storia Tiberiana, il periodo  reale di vita e di morte del nostro Gesù! Desidero seguitare  e lavorare con lei  perché ora non so conciliare il cristianesimo  col regno di Tiberio – che noi cristiani consideriamo momento utile ai fini della nostra salvezza! Noi riteniamo  che la morte del Signore sia necessaria ai fini dell’oikonomia tou theou, per il bene dell’uomo, e  voglio capire  come e quando e perché  inizia il muthos cristiano della deificazione del Christos: la figura di un giudeo  di Galilea, aramaico, meshiah, kain, kanah, maran- che nasce, però, non a Roma, ma  in ambiente alessandrino, fondatore di religio,  rimasto più o meno nascosta nell’ impero  fino al IV, per avere, poi,  una sua costituzione  anche romana come  ecclesia  antiocheno- alessandrina, costantinopolitano/romana, connessa con quella originaria  gerosolomitana!.

Marco, ti ringrazio per la tua fedeltà,  e per la sagacia con cui hai sintetizzato il mio  razionale pensiero, opposto a quello mitico cristiano!

Io, professore,  ringrazio lei,  che segue la sua strada storica  e che in situazione storica, mi mostra  la morte di Seiano nel suo  reale valore  nella storia romana  e mi permette di dare un giudizio su  Pilato e su Christos stesso, che  risulta solo  un galileo che fa una stasis rivolta contro Roma, perché aramaico  di cultura / musar mesopotamica, collegato coi fratelli transeufrasici, punito perché  proclamatosi maran/re  di Iudaea-, con l’aiuto di  sovrani di una confederazione di stati antiromani, capeggiati  da Artabano III re dei re, costretto ad arrendersi  all’esercito di Lucio Vitellio, che, dopo il trattato di Zeugma,  stipulato col re arsacide,  ha assediato Gerusalemme, che arresasi, lo consegna ai Romani e a Pilato, reintegrato nelle sue funzioni prefettizie, dall’esercito vincitore.

Io, cristiano,  avendo letto la Morte di un Dio in italiano e in inglese  (The death of a God), tradotto da Sue Eendermans,   sono debitore a lei di avermi fatto una lezione su Pilato seianeo, un praefectus, eques e pretoriano tiberiano, inflessibile,  che, dopo la morte del  Signore e l’eccidio dei samaritani, è indagato e processato anche lui a Roma ed inviato in esilio, dopo la morte di Tiberio,  da Caligola,  neos  sebastos/ nuovo augusto, il vero portatore nel mondo romano di un kronikos bios/ vita saturnia, perfetta, un’età dell’oro!   

Bene, Marco.

Ti aggiungo che Eusebio, storico del  cristianesimo nel IV secolo, –  Cfr. Lo “storico” cristiano – considera divino Costantino e XIII apostolos,-avendo vaga coscienza dell’epoca tiberiana  e quindi dei  fatti prima e dopo la morte di Seiano-  e ha interesse solo a mostrare  che Gesù, nato sotto Augusto, muore, patendo, sotto Pilato, in epoca tiberiana. cfr. Lo “Storico” Cristiano   in  www.angelofilipponi.com

Marco, sono passati quasi trecento anni dalla morte di Cristo al momento della fondazione di Costantinopoli, la nuova Roma, la capitale dell’impero e sede nuova del patriarca cristiano, collegato più con i patriarchi orientali di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme che con quello romano occidentale!

Ti notifico, poi- cfr. Amici cristiani perché diciamo Credo? ebook Narcissus 2015-che solo nel 381d.C. nel concilio di Costantinopoli c’è l’aggiunta storica in lingua greca su Gesù, crocifisso, che patì sotto Ponzio Pilato!. Di questo abbiamo parlato in altre sedi -cfr. Ambrogio e la celebrazione del Natale– ; ora, comunque,  dobbiamo riprendere il lavoro sul periodo tiberiano,  e fissare l’attenzione sugli anni, che precedono  la morte del capo pretoriano e quelli che seguono,  come appendice della scoperta di un tradimento nei confronti dell’ imperatore, che, in un certo senso, l’ha permesso ed autorizzato  con la sua graduale  rinuncia a regnare e col suo ritiro dal negotium, rimanendo in otium  a Capri, avendo, di fatto, abbandonato il governo dell’ impero ad altre mani, considerate degne di fiducia, quelle di Seiano (e quelle di Claudio)!.

Professore, lei  mi stupisce e sorprende coinvolgendo  nella congiura anche Claudio, il fratello di Germanico e di Livilla?

Si. Marco!  Claudio è la figura  nascosta sotto il potere di Seiano, quasi un delegato segreto di un Tiberio, che  rinuncia,  dopo la morte del figlio Druso Minore,  a regnare, quando è vicino alla settantina, ed ha qualche acciacco fisico- di cui non vuole curarsi perché non ha fiducia nei medici ed è persona facile a cambiare di umore, incupita ed incattivita!

La volontà di rinuncia, anche io l’ ho potuta capire, professore, leggendo A Roma con la madre, fino al 26  e La tragedia di Agrippina e dei suoi figli in Caligola il sublime (Cattedrale, 2008 )-, e rivedendo  attentamente, su sua indicazione, Tacito, Annales, IV, fragmentum V, VI e XI! Lei, dunque, mette  sotto accusa anche Claudio, l’imbelle figlio di Antonia, ridicolo scherzo della natura per la madre stessa, e lo considera letterato ambizioso  ed arrivista, disprezzato dalla sua stessa famiglia più per la sua conformazione fisica, che per il suo animus?

Per me, Claudio,  disprezzato dalla madre, dalla nonna  e da Augusto più per il corpus che per la mens, considerato segnato da imbecillitas da Tiberio, è personaggio da osservare attentamente nei comportamenti e leggere le sue reali azioni, specie nel periodo dominato da Seiano che, coi pretoriani, terrorizza l’ambiente romano, avendo instaurato un clima  di odio, di parte!.

Dica, allora, professore,  cosa succede a Roma e  nell’impero romano  a  me  che leggo, ancora,  gli avvenimenti  degli anni tiberiani 14- 25 e i successivi fino alla  morte di Seiano, in  chiave mitica cristiana?

Marco,  riprendiamo  il nostro lavoro e cerchiamo di approfondire  gli  11 anni  circa, in sospeso, centrando la nostra indagine  più che  sulla  fine di Seiano, su cui abbiamo fatto indagine altrove  in Jehoshua o Jesous ? in Giudaismo romano II e in articoli  del sito-   sul rapporto tra i pretoriani e Seiano, tra il senato  cliens e il pretoriano  al momento  del trasferimento di Tiberio a Capri- cosa anch’essa esaminata in Caligola il sublime-   e  fissiamo, quindi,  la nostra indagine  sugli anni precedenti  e successivi la  morte del prefetto del  pretorio, che è basilare per il nostro studio su Ponzio Pilato.

Dunque, professore, in questo modo mettiamo in osservazione quasi tutto il  periodo di 23 anni, tanto da poter avere possibilità di un’altra lettura dell’epoca stessa tiberiana, considerata, però, in funzione della lettura di  quella caligoliana!?

Marco, mi sembra  che tu abbia qualche dubbio ancora e che stia equivocando storicamente forse perché pensi che in Oriente si abbia la stessa coscienza storica occidentale!. Sapessi, Marco, come si conosce male la storia romana occidentale da parte di  Eusebio (perfino di Giuliano l’apostata!) –  e dei Cappadoci! Non so,  Marco, comunque, esattamente  cosa risulterà da questa indagine comparata, essendo incerto,  data l’ambiguità del testo tacitiano, specie  per le lacune del quinto libro  e i primi capitoli dell’attuale VI libro e dell’incipit stesso del XI  libro di  Annales  – cfr. Annales, a cura di Azelia Arici, Utet,1969 –  da me  esaminati e studiati  per l’individuazione  esatta di Il Buco storico www.angelofilipponi.com (cfr. Taciti Annales, Teste établi et traduit par H. GOELZER,1923).

So solo che dalla lettura tacitiana viene fuori  un Tiberio  molto provato dalla morte di Druso – nonostante la valutazione storica di indifferenza, di apatia e di anaffettività  di un pater familias (cfr. F. Arnaldi, Le idee politiche  morali e religiose di Tacito, Roma 1921 e C. Marchesi, Tacito, Messina 1924)- da quella del nipotino Germanico  Gemello e  da quella di Lucilio Longo – ex console del 7 d.C., un caro amico, l’unico sempre presente nella sua vita! – ed amareggiato  dalle manovre della madre, congiunta con quelle di Livilla, sua nuora  (Tacito, Annales, IV, 15) – pressato da Seiano, che lo incita  a ritirarsi dal Negotium  e da Antonia, che, invece, gli ricorda il dovere, aristocratico, di regnare  per la difesa dei suoi stessi nipoti! L’imperatore, ancora stordito dalle disgrazie, che  va girando per le ville  campane alla ricerca di un rifugio, dove vivere in otium, è figura tragica, letteraria, retorica!

Ti è chiaro questo aspetto della vita di Tiberio? Ti  è chiaro il concetto di negotium come attività politica in Roma  e di otium come riposo dallo stress del comando e della politica imperiale, come un andare in pensione, lontano da ogni cura/preoccupazione degli affari di famiglia  e di stato,  di persona decisa a vivere privatamente per godersi la quiete della natura  per dare sfogo ai suoi reconditi piaceri, gusti, ed anche ai  vizi e passioni senili, in una libertà sfrenata bambinesca, in relazione al proprio stato finanziario -economico, essendo il dominatore del mondo, l’unico pastore del gregge umano?  Hai, davvero, compreso il telos tiberiano di sistemare, pur restando in ombra,  nel modo migliore possibile, l’impero immenso romano,  affidandolo ad Elio  Seiano, l’uomo migliore, scelto come sua immagine, in quanto  parente, il più affidabile  fra tutti, come amministratore, reggente politico e militare, l’unico degno della stirpe augusta claudia, capace di essere patronus, in attesa della maggiore età di Tiberio Gemello, abile ad eseguire fedelmente i suoi mandata di distruzione della domus Iulia  e della stirpe giudaica, filogiulia, avente nel suo seno molti elementi Iulii ?!

Professore, al di là se ho chiaro o meno i problemi da lei posti, a  seguito della  morte di Druso, su cui abbiamo  trattato a fondo, la fonte tacitiana, a mio parere, comunque, dipende da autori a  noi ignoti, e sembra condizionata ora da Flavio ora da altri scrittori a noi sconosciuti, forse dallo stesso  Lucio Vitellio,  mentre  quella di Cassio Dione  è troppo lontana, anche quando segue  Velleio Patercolo e  non è attendibile perché, avendo come idolo  Augusto, lo ritiene basilare per la costruzione della Basileia dei Severi. Comunque – anche se non capisco tutto e non so operare sulle fonti e sui testi, per lei  tramandati con precisi scopi – il  significato di negotium l’ho avuto sempre chiaro fin dalle prime lezioni, che mi ha fatto!. Non occorre che mi rifaccia l’etimo di nec otium come negazione di otium -non attività politica – e quindi come pratica e lavoro politico per il benessere pubblico, in quanto di tratta di attività  propria  di  vir  minister/ diakonos /servo del popolo, da cui riceve, oltre che  dal sovrano,  mandato di realizzare i propri sogni! Ho, dubbi, invece,  sul silenzio  dell’ imperatore  per la  morte del  figlio  e circa il  successivo telos tiberiano, oltre al mandatum al pretoriano che, con la sua azione di repressione selvaggia e di feroce persecuzione  ai giuli e  ai giudei  mette la sua faccia  crudele per coprire quella del buon pastore del gregge dell’imperatore divino ed aristocratico, già mostrata nel corso della persecuzione romana giudaica

Marco, forse qualcosa -se non  tutto-  si chiarisce  se, lavorando insieme,  eliminiamo gli equivoci  di comunicazione, nei cinque anni  imperiali “caprini”- trascorsi  dall’imperatore in solitudine,  dorati e passionali-  tra Tiberio  dominus  assente e il suo apparente  fedele cane, ministro  onnipotente, venerato come divino anche lui,  di nome, passivo  esecutore di ordini e pubblico ufficiale, sempre in missione segreta!

 Bene. Procediamo, allora, e  rileviamo il comportamento dell’imperatore, senex, nauseato dalla politica e soprattutto dalla corte, ora divisa nel 25 d. C. tra fautori dei claudi e  fautori dei  giuli, essendo ormai la casa dei cesari /caesarum domus scissa in due partes, che fanno capo l’una  a Seiano, suo factotum, con l’augusta  Livia e Livilla, i  pretoriani e gli amici, militari e giuristi, oltre al mago personale Trasillo, – unico goes non cacciato nel 19 d.C. perché vir scienziato/ anhr spoudaios kai sophos–   l’altra ad Antonia Minore con Agrippina maior, i suoi figli e il codazzo di ex legati di Germanico, e la maggior parte del popolo romano!.

C’è una frattura incolmabile tra le partes aristocratiche, ambedue divine, in lotta, da un lato, e,  tra il senato e  il popolo,  da un altro!. Tutti sono sudditi che assistono, impotenti  alla esecuzione dei comandi imperiali, non palesi,  e  riversano odio verso i pretoriani e il loro capo, autore di misfatti sui giudei e sui Giulii innocenti, annientati dai Claudi!.

Tiberio, durante quei lunghi mesi, di lutto, è diventato, nonostante la dignitosa iniziale presenza al senato per la normale amministrazione, insofferente  davanti all‘augusta Livia, madre provvidente, ma  sempre invadente e schiacciante, data la sua venerabilità per il popolo  e per l’esercito, in quanto simbolo dell’imperiumaugusteo, ora anche innervosito dalle accuse velate di Antonia minore – donna da lui stimata inviolabile nella persona, quasi vestale,  e per la nobiltà e per l’integrità di vita e per la amministrazione dell’oikos antoniano e in Roma e nelle province, vedova  di suo fratello morto, – di non difendere  i figli  di Germanico, eredi legittimi al trono, dalle insidie/insidiae/diabolai  di Seiano, considerato  da tutti quasi un parente dell’imperatore, fedele esecutore di ordini.

Seiano! un parente?

Si! Un parente! Marco.

Dal 20 d.C. si ha una coniunctio familiaris tramite legami di Seiano con Claudio, che è nipote dell’imperatore, in quanto la figlia del pretoriano e di Apicata  è  promessa sposa a Druso- giovinetto sfortunato, destinato a morire soffocato da una pera che tirava in alto e riprendeva a bocca aperta, a Pompei!-  figlio di Plauzia Urgulanilla e di Claudio, pater familias della domus Claudia,  fratello di Livilla e del defunto Germanico! Ricorda,  Marco, che Claudio è il capo della domus Claudia dal momento in cui nel 4 d.C.  suo fratello Germanico passa per adozione alla familia Giulia Augusta e diventa Gaio Giulio Cesare e sposa Agrippina Maior, figlia di Giulia Maior!  Sappi che, per Antonia,  questa coniunctio familiaris, seppure collaterale,  è già un male, in quanto  la donna considera Tiberio,  già politico riluttante,  vecchio, non più vigoroso e potente, come prima, ed ha scarsa considerazione  per il figlio, uomo non certamente degno della  stirpe, in apparenza, date certe deformità, facilmente condizionabile, quasi  sempre scemo e nebuloso, privo di affetti ed insensibile, incomunicabile, in preda a  continue agitazioni, ad uno  sfarfallio di mani, con difficoltà ambulatorie,  anche se  geniale- troppo geniale- in alcuni campi!

Claudio, rappresentante di Tiberio, per la madre,  è un pericolo ulteriore per la famiglia giulia! Marco, al di là dei giudizio negativo della madre sul fisico – portentum eum hominis  nec absolutum  a natura sed tantum incohatum/ una caricatura di uomo non finita ma soltanto abbozzata -e sulla stoltezza del figlio tanto che diceva a chi si comportava stoltamente, ridendo:  sei più stupido di  suo figlio  Claudio/stultiorem …suo filio Claudio !-

Claudio è, comunque,  capo della domus,  utile ai fini di Seiano e di Tiberio. Per il pretoriano la figura di Claudio, come consuocero  può giovargli nel corso delle accuse dei giuli, anche se conosce  il giudizio stesso di  Augusto – che, d’altra parte, soffriva a vedere un tale nipote disabile, e quindi  neanche  prendeva in considerazione Claudio per la successione, nelle sue lettere alla moglie Livia, riportate da Svetonio (Claudio,IV), – convinto che  abbia  l’auctoritas propria di elemento  della famiglia imperiale.

La stessa cosa aveva fatto Tiberio  che, però,  lo aveva designato, comunque,   a celebrare  l’elogio funebre del  fratello  Germanico – incaricandolo  di accogliere la famiglia di Agrippina, che tornava dalla Siria,  con Druso Minore suo figlio,  a  Terracina, per scortarne le ceneri fino alla tomba di Augusto -. A trenta anni  circa, Claudio appare, dopo la morte  di Germanico, l’elemento maschile, predominante del ramo familiare di Druso Maggiore, nonostante l’aspetto fisico, la stranezza comportamentale e l’allineamento filoseianeo, opposto a quello della  madre, sostenitrice del ramo Giulio, adottivo,  della sua familia, designato da Augusto  all ‘impero!

Ora, poi, come  consuocero nominale  di Seiano, Claudio,  dato il fisico da malato, considerata la  presunta instabilità mentale/imbecillitas, non  potendo imporsi sull’aitante pretoriano, lo  segue, essendo lui  patronus  degli equites, come se fosse un suo  uomo ombra – e non un suo superiore!-, infastidendo  probabilmente lo stesso Druso  minore,  console per la seconda volta e poi  reggente  in Roma,  designato futuro successore al trono, facendo innervosire  anche la madre Antonia.

Sappi, Marco, che,  inoltre , morto Druso, Claudio è incaricato di fare anche l’elogio  funebre del cugino, figlio di Tiberio, marito di sua sorella Livilla!.

Ti aggiungo che dalla mia angolazione risulta che la domus Iulia essendo privilegiata rispetto a quella claudia, in questo periodo,  sembra  destinata alla successione, secondo il volere di Augusto,  e cheTiberio apparentemente ha intenzione di far iniziare la carriera politica in anticipo, presentandoli ufficialmente in senato,  prima Nerone Cesare, primogenito di Germanico,  poi  Druso Cesare, secondogenito, avendo affiancato, però,  a Seiano, suo nipote Claudio, essendo lui vir,  come  guida  indiretta, claudia,  del corpus pretoriano.

Professore, la figura di Claudio (la cui imbecillitas rilevata da Tiberio ha valore solo  come debolezza fisica nelle gambe, specie nella ginocchia  e nelle mani, e genericamente per lo stato di  corpus,  vires  e  valetudo / salute del nipote,  -cfr.  Ritratto di Svetonio, Claudio, XXX- non tanto per l’animus  o la mens)  era inadeguata  a contenere l’audacia di Livilla e di Seiano, ambiziosa coppia,  desiderosa di essere riconosciuta  legittima dall’imperatore, già convinta di potere dominare Roma e l’impero, in assenza di Tiberio!. Claudio, educato da servi e legato alle donne -Svetonio, Claudio, XXXIV libidinis in feminas profusissimae, marum omnino expers/ !- è uomo che si è conformato alla  logica servile e femminile, senza, però, esserne succube, anzi  ha capacità di demandare  il comando, come  tutti i membri della famiglia  claudia, abili a far partecipare  gli altri e a coinvolgerli!

Certamente, nella sua vita, ci sono eccessi e stranezze,  riconosciuti come incredibili anche dagli scrittori che, a stento,  tramandano le notizie circa il carattere e il comportamento di Claudio, che autorizza la negatività di giudizio da una parte  e  che, da un’altra,  risulta persona di ristabilizzazione e di restaurazione  dei valori repubblicani,  in momenti storici di gravissimo pericolo,  ancora di più  per uno già menomato fisicamente, titubante ed incerto per la mancanza di fermezza, in situazione concreta, in quanto privo di una visione sistemica generale a causa di tanti poteri decentrati, burocratici, a seguito del fallimento dell’opera  del nipote, sebbene sublime e geniale accentratore  politico!.

Certo, Marco, nulla avrebbe potuto Claudio, – uomo  deriso all’epoca tiberiana e caligoliana, se si fosse  opposto alla violenza  pretoriana!  solo durante il suo regno,  accettato  ed alonato dai letterati del regime, agisce in autonomia, confortato dall’aiuto di altri, forse ben scelti,  e mostra il suo reale valore di uomo non come letterato, ma, da  pratico, anche se  poi viene  di nuovo dileggiato con maggiore violenza, offeso nella sua persona  dopo la pubblicazione comica e satirica dell’Apokolokuntosis di Seneca-  da lui esiliato in Corsica-  che ne fa un’ apotheosis  al contrario, mostrando un imperatore morto avvelenato dalla moglie Agrippina  con un fungo, come condannato a stare in una zuccagiocare eternamente a dadi! Claudio è visto  fin dalla scena iniziale del suo arrivo in cielo, al cospetto di Heracles che lo interroga e di  Augusto, che non  riconosce come suo  familiaris   un  omone claudicante, handicappato che balbetta, che scuote continuamente la testa!  La condanna finale  del povero Claudio, servo dei servi e delle donne, avviene in un processo – ludus, il cui verdetto di inzucchefazione è indegna letteraria vendetta di Seneca  verso  chi ha ampliato l’area senatoria, dando possibilità ad Ispanici e a galli di sedere nel supremo consesso romano ed ha pacificato il mondo dopo Caligola ed ha ingrandito l’imperium romano, burocraticizzato  in ogni singola parte!

Certamente, Claudio diede eccessivo rilievo a Polibio  minister a studiis– aiutante negli studi  e nella scrittura, a Narcisso  suo segretario ab epistulis,  a Pallante – a rationibus–  suo intendente e a tanti altri  che, certamente, approfittano  della sua  meteooria, ma sono uomini  addetti alla sua cura, schiavi  liberati da sua madre Antonia, fedelissimi,  strapagati,  svolgenti funzioni da burocrati ministeriali, liberti che lo fanno svagare giocando a dadi, tra le pause di lavoro, uomini utili per lo svolgimento di processi, che lui curava scupolosamente, uomini che  procurano  amanti  e mogli ad un geniale letterato, libidinoso, insicuro nella sua  accertata disabilità, con l’intento segreto di distrarlo e di trarne qualche beneficio, al momento opportuno! Certamente, Claudio non è sovrano assoluto  come voleva essere Caligola, ma svolge una politica di gabinetto ministeriale, essendo capace di creare consensus  in un gruppo dirigente ristretto,  abile , comunque,  a dare un’ unitaria direttiva all’impero, approfittando perfino dei tanti contrasti interni  dei ministri, ambiziosi,  che seguono obbedienti ai  loro specifici mandati come  se fossero legati   di un  dux supremo, che ha trasferito l’ordine militare nel servitium amministrativo, economico-finanziario e politico.

Così il pur disabile Claudio riuscì ad amministrare  bene il suo regno migliorando l’economia  provinciale  e  provvedendo al benessere di Roma e dell’Italia,  ai bisogni locali  dando rilievo agli equites e ai liberti  e fece perfino la conquista della  Britannia, dopo aver pacificato  l’Oriente e  mobilitato l’occidente- specie la  Gallia , dopo la definitiva  soppressione dell’elemento  dei Druidi, un particolare sacerdozio  che con le sue teorie e riti religiosi congiungeva la Britannia alla Gallia  –  per la sua impresa militare a cui volle perfino partecipare fisicamente  per sei mesi,  dopo lo stanziamento a Lugdunum, sua patria!

Certo, nella sua  vita i tanti  eccessi narrati dagli storici  mostrano l’incredibilità  con inverosimilità dei fatti accaduti  specie circa il tradimento di Messalina,  e circa la scelta  della  nuova imperatrice, dopo l’uccisione della moglie infedele ninfomane, capace di farsi firmare anche l’autorizzazione  all’adulterio con Mnestre, obbligato a sottostare  alle sue voglie sessuali con un decreto imperiale!.

Tacito stesso  ritiene incredibile l’episodio romano di Messalina che si sposa  con  il  console designato Silio  a Roma quando il marito imperatore è ad Ostia con le due sue amanti  Calpurnia e Cleopatra, che, tra i giochi sessuali, rivelano il tradimento, in atto, della coniuge! L’ autore si vergogna, considerando la cosa ridicola, anche se Claudio è  il bersaglio di comici, di letterati e della critica storica , tutti allineati  con il giudizio stesso negativo della madre Antonia e dello stesso Augusto, di Tiberio e di  Livilla e di Gaio Caligola, come uomo non  in grado di svolgere nessun  incarico di governo e tanto meno il mandatum tiberiano di controllo del pretoriano!

Così avevano detto e pensato di Claudio,   Augusto, Tiberio e  Caligola e  così poi la storia ha deciso ma … la verità storica è diversa  se esaminiamo quanto scrivono Tacito e Svetonio e Cassio Dione , congiuntamente ad altri, rilevando la diversità di fonti  e i tempi di scrittura.

Tacito  confessa: parrà-  lo riconosco-quasi una favola che vi sia stata da parte di qualche mortale  tanta tranquilla impudenza in una città, dove si sapeva tutto e non si taceva nulla, tanto meno il caso di un console designato,  il quale  venga congiunto in matrimonio  con la moglie dell’imperatore, in un giorno prestabilito, davanti a  testimoni pronti  a suggellare l’atto, quasi unione legittima, volta a procreare discendenza;  e ch’ella  ascoltasse le parole degli auguri e si ponesse in capo il flammeo e sacrificasse agli dei e  che sedesse a banchettare  in mezzo ai convitati tra baci ed amplessi,  e finalmente trascorresse la notte in coniugale  abbandono.  Eppure nulla è stato inventato a fine di sbalordire, io riferisco quello che  ho udito dai vecchi e che essi hanno scritto/Haud sum ignarus  fabulosum visum iri tantum ullis  mortalium securitatis  fuisse in civitate  omnium gnara et nihil  reticente, nedum consulem designatum cum uxore principis,  praedicta die, adhibitis qui obsignarent, velut suscipiendorum liberorum causa, convenisse, atque illam  audisse auspicum verba, subisse flammeum, sacrificasse apud deos discubitum inter convivas, oscula complexus, noctem denique actam licentia coniugali. Sed nihil compositum miraculi causa, verum audita scriptaque senioribus trado.- Annales, XI  27,1-.

Anche  Svetonio – Claudio XXIX-  confessa: ma ciò che passa ogni possibilità di essere creduta  è che gli fecero firmare personalmente il contratto di matrimonio tra Messalina e il suo amante Silio, facendogli credere  che era una finzione per trasferire su di un altro il pericolo che alcuni prodigi annunciavano contro di lui/Nam illud omnem fidem excesserit quod nuptiis, qua Messalina cum adultero Silio fecerat tabellas dotis et ipse consignaverit quasi de industria simularentur ad avertendum trasferendumque periculum, quod imminere ipsi  per quaedam ostenta portenderetur.

Professore, dunque, su Claudio bisogna rivedere le fonti  prima  di valutarlo, specie l’ XI  libro di Annales e alcune parti di Svetonio che sembrano andare di pari passo per fare alcune  comuni  affermazioni circa l ‘editto per i senatori galli e per quello sul culto ebraico per gli alessandrini,  oltre che per altri motivi utili per i Cristiani in epoche successive. Sembra, inoltre, che si  voglia convalidare quanto detto, secondo alcuni,  circa la condanna di Valerio  Asiaticoconsiderato un uccisore di Caligola (cfr. incipit del testo dell’XI libro),  secondo altri per conservare le parole e il decreto di Claudio sui senatori gallici  e il censimento della Gallia, secondo altri, per mostrare la continuità della  politica imperiale in Occidente contro i Frisi, e quella  in Oriente contro Vardane, figlio di Artabano III,  mentre, secondo altri, per mostrare come Claudio fosse uomo dipendente dalle donne e dai servi:  altri, invece, ritengono il testo sia tramandato  per lasciare  tracce dei ludi secolari nel 47 e per evidenziare il ripopolamento ebraico di Roma!. ogni critico dice la sua, non essendo sicuro neppure il testo, essendo ignota la data di manipolazione!

Marco, una cosa è certa!  Noi abbiamo il testo tramandato dell’XI libro  che non è  lectio unica  nei codici (Mediceo II – Laur.68,2=M- e Leidense  -BPL. 16B= L-) anche se la maggior parte dei  critici si rifà all’editio princeps di Vindelino da Spira, Venezia 1470!.

Al di là dei tanti problemi storici  su Claudio, per ora, a  noi interessa  rilevare che il  bambino, svantaggiato, è stato  bollato dalla storia che  segue  specialmente Svetonio: rimasto orfano di padre fin da bambino e durante il periodo dell’infanzia  e della sua adolescenza fu afflitto da parecchie e persistenti malattie/variis et tenacibus morbis (Claudio, II) , indebolito di corpo e di mente/animo simul et corpore hebetato,  tanto  che non fu ritenuto capace di nessun incarico né pubblico né privato  nemmeno con l’avanzare dell’età e perciò  rimasto sotto tutela anche dopo aver raggiunto la maggiore età, quando fu  affidato alla  guida di un precettore da lui stesso  giudicato inadeguato e  barbaro, severo ispettore delle stalle.

Claudio, insomma, fin  dal primo periodo di vita ebbe  un particolare trattamento speciale per la sua  salute malferma, per la sua andatura da autistico e  veniva portato  spesso in lettiga nei rari casi in cui usciva in quanto la familia tendeva  a nasconderlo, come per proteggerlo da sguardi indiscreti popolari tanto da essere considerato erede dalla successione  di terzo grado e da avere un lascito basso dal testamento di Augusto e da quello di Tiberio.

L’imperatore Tiberio, allora, professore, affiancandolo a Seiano  ne è cosciente, come ogni altro membro della famiglia!.

Certamente!  Tiberio lo sceglie perché  ne ha l’appoggio  sicuro, utile per la difesa  di fronte alle accuse dell’elemento popolare e militare, già ostile a Seiano! Marco, è qui, l’equivoco.  Per me  questo è il momento che  insospettisce  Antonia e  la rende nemica del figlio,  che fino ad allora  la donna aveva considerato un essere indifeso, uno  da proteggere perché figlio nato male – oggi diremmo   autistico, un  asperger  geniale, ma sempre  uno  diversamente abile, con una sindrome di apatia / mancanza di sensibilità  epidermica sensoriale e di sentimenti, congiunta a disturbi  neurologici di disprassia, insomma  un elemento dissimile da ogni altro della sua nobile famiglia, con forte, maniacale istinto eterosessuale!. Claudio appare ad una madre attenta come Antonia – aiutata e confortate da regine già madri e da liberte istruite, seguita da medici alessandrini – come figlio speciale che ha interessi e comportamenti stereotipati, limitati e ripetitivi  – battere o sfarfallare  le mani in continuazione-con  alterazione e   compromissione della qualità di comunicazione – e verbale e non verbale – e della interazione sociale, per cui vien valutato  da bambino,  da adolescente e da adulto, come soggetto  non affidabile per nessuna mansione e tantomeno di rappresentanza e di attività politica  perché non del tutto autonomo  e perché non vede e non sente l’altro, che pur chiama ed è affettuoso a seconda del grado di parentela e di amicizia – né lo saluta, né desidera avere relazione alcuna, ma tende a  tenersi lontano da chiunque,  non avendo vera coscienza del suo interlocutore, forse neanche di se stesso.

E’ la definizione  di un autistico, asperger, perché ha, comunque, doti nascoste  e qualità eccezionali  comprovate e notate da  Augusto- inspiegabili all’epoca-.

In una lettera alla moglie  -Svetonio, Claudio IV,- Augusto si vergogna  di un tale nipote e non volendolo vedere nel corso delle  feste latine né al monte Albano né a Roma, comunque, si dice  preoccupato che non mangi da solo col suo Sulpicio ed Atenodoro –  due assistenti?- essendo   desideroso che abbia accanto persone da imitare (vorrei che scegliesse  con maggior cura e minore avventatezza  qualche amico, di cui imitare il contegno il gestire  e il modo di camminare: povero ragazzo sfortunato /Misellus atuxes!.Nam en tois spoudaiois, ubi non aberravit animus, satis apparet h ths psuxhs  autou eugeneia/ infatti nelle cose serie, quando il suo animo non è smarrito, mostra la sufficiente  sanità della sua anima! ibidem) e soprattutto è meravigliato della  capacità di recitare  versi  a memoria in uno che normalmente balbetta, non riuscendo a capire come qui tam asaphoos loquatur qui possit cum declamat saphoos dicere quae dicenda sunt/uno  che parla in modo così confuso, possa così ben declamarepeream nisi, mea Livia, admiror /possa morire, mia Livia, se non l’ammiro!

Professore, Augusto sottende forse  che a Claudio sia affiancato  Erode Agrippa il coetaneo figlio di Berenice, moglie di Aristobulo figlio di Erode il grande, ragazzo vivente a corte,  desiderando per il nipote la compagnia di un figlio di re, sano, data l ‘amicizia tra la principessa ebraica ed Antonia, vedove entrambe, allattanti i figli, contemporaneamente, tanto che i due in seguito  si definiscono fratelli di latte!

Marco, è possibile! Antonia ha al suo servizio tanti servi e come dame di compagnia tante amiche regine orientali tra cui Berenice, figlia di Salome, sorella  di Erode.

Grazie per la precisazione, ma come lei può arrivare a  pensare ad un reale  rapporto tra un handicappato e un pretoriano capace di dominare e Roma e l’impero? Per lei Claudio  può davvero essere un collaboratore  di Seiano, astuto, pur nella sua figura dimessa, problematica più nel fisico che  nella mente,  ambizioso nonostante l’imbecillitas,  pronto  anche  a  tradire  il benefattore  e cognato,  capace di recitare  la parte del finto tonto, per anni?

Marco, storicamente al di là della tradizione  fabulistica  di Claudio impaurito  e nascosto  dietro la tenda dell’ Ermeo, c’ è  un imperatore per elezione  militare  dietro esborso di danaro ,  che ha un principato di quasi 14 anni  non indegni di memoria! La figura di uno destinato all’impero  non è  quella  che gli storici successivi  hanno tramandato!

Si legga Svetonio- Claudio, VI- che scrive: in due occasioni fece due ambasciate  come patronus degli equites  al senato:  una. nel 14 d.C. alla morte di Augusto quando chiese di portare a spalla il corpo di Augusto nel funerale /deoptandum corpus Augusti Romam umeris suis, e la  seconda, dopo la morte di Seiano, per esprimere le proprie felicitazioni e quelle  degli equites  per la  fine del pretoriano/iterum cum oppressum Seianum apud eosdem gratularetur.

Marco, nonostante la  sua  meteooria/oblivio/ dimenticanza  con distrazione ed ablepsia/inconsiderantia/cieca storditaggine  (Svetonio, Claudio, XXXIX) e nonostante  le derisioni dei nobili parenti, che seguono l’esempio  denigratorio della sua  stessa madre e di tutta la  famiglia giulio-claudia, Claudio rimane accanto alla sorella e a Seiano per molti anni in una posizione non certamente disprezzata, sotto Tiberio.

Sembra un dato di fatto! Al momento opportuno, infatti, se ne dissocia insieme agli equites, che erano stati i più accaniti  sostenitori di Seiano!

Professore,  mi sembra, comunque, poco  proponibile,  che   Claudio sia  vir  intermedio tra Seiano e Tiberio   abile a  svolgere un apparente controllo  come elemento giulio-claudio al potere del pretoriano,  anche se posso accettare la  sua funzione di un familiaris claudio!.

Marco, Svetonio  (Claudio XXXVIII) parla di  Claudio che da imperatore  rivela lui stesso la  sua  astuzia per fare carriera:  non cercò nemmeno di sorvolare sulla sua balordaggine  e in alcuni suoi discorsi di nessuna importanza attestò di averla simulata sotto Caligola  perché altrimenti non  sarebbe riuscito a scampare e a coronare le proprie ambizioni/  Ac ne stultitiam quidem suam reticuit, simulatque a se ex industria, sub Gaio, quod aliter evasurus perventurusque ad susceptam stationem non fuerit, quibusdam orationculis  testatus est.

Dunque,  Marco, se lo fece con Caligola perché non lo avrebbe potuto fare con Seiano e con Tiberio? Non vedo motivo per cui  non lo avrebbe potuto fare! Era facile per lui la pars dello stupidus, davanti a tutti all’epoca ,  anche davanti a Livilla e allo stesso Tiberio, che – senza prendere  in considerazione la richiesta di ricostruzione  della casa, fatta tramite i senatori-  gliela fa ricostruire pagando di tasca propria, risarcendo il nipote personalmente,  rifiutando l’intervento pubblico.  Per Tiberio,   che gli lascia in eredità due milioni di sesterzi – Augusto solo 800.000!- , dopo averlo raccomandato agli eserciti  al  senato e  al popolo romano  insieme agli altri parenti ibidem,VI- ,  conviene agire in questo modo  perché Claudio è sempre un familiaris claudio,  da difendere da chi lo bersaglia di scherni  e da chi impedisce di accomodarsi a pranzo in caso di ritardo  e che obbliga lui, disabile, a  fare il giro della stanza, o  da chi  lo colpisce con noccioli di datteri e di olive,  quando si addormenta (ibidem, VII)! Claudio è vir della stirpe dei Cesari!

Il fatto, Marco, che una madre amorevole  come Antonia,- che per  quel  figlio neanche vuole più sposarsi –  passi  ad un odio così profondo verso un povero uomo, stupidus,  con problemi psico-fisici e fisici- tipici FORSE della sindrome autistica,-  insieme a Livia,  è sospetto!.

Sono convinto che tutte le affermazioni negative sul futuro imperatore sorsero  dalle voci servili degli schiavi, che  facevano servitium  speciale a quel deforme  bambino, poi adolescente  e infine uomo, nato nella domus Giulio-claudia,   a seguito anche delle disperate esclamazioni della  madre  Antonia e  della nonna Livia,  che specialmente pro despectissimo semper  habui, non monere, nisi acerbo et brevi scripto aut per intermissos solita /  era solita  considerare – Claudio- sempre con profondo disprezzo  e non gli parlava mai, se non con brevi messaggi e per mezzo di intermediari. 

Marco, non credo che  tu,  ingegnere, sappia tradurre bene  aliquem pro despectissmo semper habere!   Segui la mia traduzione e poi il mio ragionamento! La frase significa  considerare uno  come persona  molto spregevole, tanto da doverne parlare sempre  con massimo disprezzo!. 

Chiaro!. Pur conoscendo la tua bravura di traduttore,  ho voluto tradurtela per meglio farti  capire la rabbia con indignazione  di madre e nonna contro quel deficiente figlio e nipote fautore, astuto,  di un nemico della famiglia!

Per Svetonio   Antonia, mater, e Livia avia, considerano il pater familias  legittimo della  domus claudia,  da  cui Antonia stessa dipende,  inetto e scemo e delegittimano la sua funzione  a svolgere il compito familiare  e lo denigrano solo per il difetto fisico, di cui si vergognano, come capita a molte mamme e nonne di bambini non conformi al loro pensiero di bellezza!

Secondo me, Marco  le due donne, al di là del  sentimento personale e della reazione psichica individuale,  che possono avere istintivamente nei confronti di un disabile  ritengono Claudio vir  traditore  in quanto avvalora  ogni azione del pretoriano  (e  di Livilla, sua amante), che, nel giro di un  triennio, apparentemente, su ordine di Tiberio,  neutralizza e poi annienta la famiglia giulia –  prima Agrippina e Nerone Cesare e poi Druso- ed infine attenta anche alla vita di  Gaio Cesare Caligola  tramite le accuse di Sestio Paconiano – uomo audace e malefico  sempre intento   a scrutare i segreti di tutti e  scelto da Seiano per aiutarlo a preparare la rovina di Gaio Cesare  –Tacito, Annales, VI, 3-  

Professore, secondo lei, quindi, col consenso di Claudio c’è lo sterminio della familia Giulia?   perciò per lei la sequela di  denigrazioni sul conto di Claudio  è successiva alla condanna del figlio  da parte della madre stessa  che  lo diffama  per non essersi opposto ed anzi aver acconsentito  alla politica della coppia malefica -Seiano e Livilla-  di distruzione della  stessa famiglia Giulia!.

Marco, la  denuncia di  Giunio Rustico, designato da Cesare  a redigere gli atti  del senato e quindi ritenuto responsabile  dei suoi pensieri segreti, è di supporto a tale ipotesi:  costui, spinto da una  volontà fatale – prima non aveva mai dato prova di coraggio!- o forse per un calcolo errato che gli faceva dimenticare i pericoli imminenti  per paura di altri non certi, si mette  dalla parte degli indecisi ed esorta i consoli a  non incominciare il dibattito – contro Agrippina e Nerone-  dicendo che in pochi istanti  si capovolgono situazioni  della massima importanza: una volta o l’altra il vecchio avrebbe  potuto pentirsi  di aver spento la stirpe di Germanico. (ibidem,V,4,1)!.

Una tale notizia  sottende una possibilità di ravvedimento da parte di Tiberio o di qualcuno della cerchia di Seiano! Tutti sperano che Tiberio si accorga del comportamento di Livilla e del suo amante, che attirano anche l‘imbecille Claudio – non si può definire come e con quali forme o astuzie !-  affamato di sesso, finto tonto, inaffidabile in tutto,  per il loro skopos imperiale!?. Infatti non si oppone alla  coppia  il figlio – che sembra perfino maggiormente congiungersi col potente pretoriano, divorziando da Urgulanilla, per sposarne la sorella, Elia Petina  –  ma sua madre Antonia,  che  vede anzi il figlio apparentarsi  ancora di più con Elio Seiano, che lo vuole cognato, dopo il divorzio nel 28 con la figlia  di Plauzio  Silvano, figlio  di Urgulania, amica e confidente di Livia, proprio quando si rinnovano le accuse contro Agrippina e i suoi figli!.

Dovette  essere  un atto inconcepibile l ‘accusa di adulterio  ad Urgulanilla col rifiuto di paternità di Claudio nei confronti di Claudia,  figlia appena  nata,  lasciata nuda sulla porta dei Plautii!

Non solo Seiano lo attira  dalla sua parte,  ma anche la sorella,  che lo spinge alla  parentela col suo amante, allora  dominus in Roma.  Eppure lei,  che  aveva ambizioni imperiali e che, avendo sentito da un indovino che profetizzava che Claudio  sarebbe diventato un giorno imperatore,  deplorò (detestata est)  apertamente ed ad alta voce che potesse toccare al popolo romano una sorte  così malvagia ed iniqua!:  Livilla pensava che lei sola e il suo amante fossero degni della corona imperiale  e non Claudio  sulla cui spalla, invece,  sotto il regno di Caligola,  davvero si posò  un’aquila, dopo un breve volo intorno alla  testa di lui, console, collega del principe-nipote! Ibidem VII.

Per Antonia il divorzio da Urgulanilla di Claudio è  traumatico anche perché deve modificare i rapporti con Urgulania, la nonna, amica di Livia e con altre famiglie romane! Quel figlio amatissimo, infelice,   bisognoso di  cure ed attenzioni speciali dalla nascita  a Lione il 1 agosto del 10 a.C. un anno prima della morte del  marito Druso maggiore, diventa per lei un incubo! Claudio, assistito, amato,  protetto, divenuto unico scopo di vita  tanto da  non volersi più  sposare, nonostante le richieste di tanti pretendenti  ora, che deve essere il fulcro della  famiglia, pater familias, si è lasciato corrompere dal potere della sorella e del pretoriano che si vanta di essere il re dell’universo rispetto all’imperatore re di un isolotto! Per quel figlio subiva  umiliazioni a Roma  specie se lo confrontava col comportamento dignitoso  del  fratello Germanico e delle celebrazioni magnifiche  in suo onore  nel ricordo del giorno della toga virile /togae virili die,  quando fu portato  in Campidoglio, in lettiga, verso mezzanotte, senza nessuna cerimonia solenne/circa mediam noctem, sine sollemni officio, lettiga  in Capitolium latus est!

Il giorno della  stessa assunzione del titolo di pater familias, connessa con l’assunzione della toga virile, per lei,  mater vedova,  fu una vergogna ed umiliazione  perché non fu una solennità pubblica, propagandata, ma una privata  e segreta cerimonia familiare, indegna di ogni domus nobile romana!

Dal tradimento, secondo me,  possono derivare le frasi cattive proprie di una donna indignata  contro il figlio anaffettivo, apatico,  meteoorikos, bestiale  e bavoso  per la  libido adolescenziale incontrollata, malfermo sulle ginocchia, facile a cadere di faccia,  incapace  perfino di  proteggersi il volto, inabile alla difesa della famiglia!.

Quindi, professore, lei si spiega così la scarsa stima  e   considerazione della madre e quella  della famiglia – compreso Augusto, Tiberio e Caligola-  verso l’ atuchhs   Claudio, un omone   alto, massiccio, pauroso, subdolo, anche lui opportunista,  comunque,  capace  di  passare indenne nel periodo tragico per la sua famiglia,  sotto Seiano, difendendosi con la sua  stessa inadeguatezza fisica, risibile,  proprio di un uomo indegno di essere nemmeno calcolato!

Professore, ho letto Robert Graves  Io, Claudio,  una biografia  del 1934, in cui l’autore  fingendo di riprendere il  De meo principato, opera non  pervenutaci,  ricostruisce vita e  regno di Claudio (41-54)!  Cosa ne pensa?

 Io Claudio è un magnifico affresco  familiare, gentilizio,  contestuale -e romano e provinciale- in relazione alla lungimiranza e grandezza di un imperatore, saggio amministratore,  accorto riformatore del sistema  burocratico erariale e fiscale, già vigente e con Tiberio e con Caligola,  moderato pacificatore di ogni contesa ideologica e religiosa, come  pontefice massimo, vero  Augustus/ sebastos  del principato universale giulio-claudio. Solo un grande storico poteva fare una così accurata  ricostruzione storica e socio-economica tanto da  leggere davvero  la pax  religiosa, compromessa dal giudaismo messianico,  partendo dalla figura stessa di Claudio, un diversamente abile, geniale vir civilis / politikos, non certamente indegno della domus giulio-Claudia!

Eppure nessuno della sua famiglia -neppure Tiberio e Caligola- apprezza Claudio, non  considerato  politico vir civilis – forse per le lettere di Augusto che lo vede   timidus ac diffidens   Svetonio-, ibidem XL – lo descrive sempre immerso in studi, uomo non privo  di facundia,  nè di dottrina,  anzi dedito  con grande passione  agli studi liberali/ neque infacundo  neque indocto, immo etiam pertinaciter  liberalibus studiis  deditus, dedito  fin dall’adolescenza, su consiglio di Tito Livio e di  Sulpicio Flavo  a scrivere historia,  comunque, ritenuto indegno di fare  una carriera politica e tanto meno  degno di  succedere all’impero. Ancora di più  nuocciono a Claudio  i comportamenti ostili e le frasi della madre e della nonna che favoriscono la disistima popolare e quella militare.

Eppure Claudio scrisse due libri sulla dittatura di Cesare  e smise perché non erano di attualità e perciò scrisse 42 libri sulla fine delle guerre civili, seppure corretto dalla Nonna e dalla madre, interessate al buon nome familiare,  convinto di non poter dire la verità sull’epoca passata/ neque sibi de superioribus  tradendi potestatem relictam correptamque saepe a matre et ab avia – Ibidem XLI- !  Scrisse poi una historia De suo principato  in otto libri  ed una Difesa di Cicerone contro i libri di Asinio Gallo e un volume  sulla fonetica inventando tre nuove  lettere, fatte usare durante il suo regno nelle scuole!

Oltre alle 54  opere, in latino, il giovane Claudio, è abilissimo nella lettura, nel commento e  nella recita di  Versi di Omero, ben fissati nella memoria, in Greco, lingua che conosce perfettamente, in cui scrive  e  Storia degli Etruschi/ Tirrenika -20 libri-  in onore dei Plauzi e  di Urgulania, ma anche della famiglia Claudia,  ritenuta di origine  non sabina  ma etrusca,   ed una Storia dei Cartaginesi/ Punika (8 libri per Svetonio e un libro per Cassio Dione St rom. LX,  in quanto aggiunse  un libro,  dopo aver tradotto ad Alessandria 2 libri di Punika  di autore ignoto greco).

Un uomo  che, nel suo scriptorium pieno di schiavi  e liberti eruditi che fanno ricerca come Polibio, poi suo ministro,  scrive oltre 82  libri in latino e in greco, Marco, non può essere lo stupidus,  dileggiato da tutti  familiares, amici e popolo ed  esercito, anche  se certamente aveva  gravi limiti fisici, manie  libertine  smodate, comportamenti imprevedibili e pazzeschi, davvero incredibili da non ricordare neppure persone fatte uccidere come la moglie Messalina, spesso sollecitata a venire a pranzo, o a vezzeggiare la moglie Agrippina come se fosse una bambina,  pur avendola scelta per la sua eccezionale bravura di amante,  a letto!- Come non deridere il suo correre traballando  vergognosamente intorno al lago– grosso modo intorno all’attuale Colosseo! – per  il suo fanciullesco ammirare le naumachie tra Rodiesi e  Siciliani, implorante impegno nel combattimento  ai marinai, minacciati di sterminio col ferro o col fuoco, che già lo avevano salutato:  Ave, Caesar, morituri te salutant!  Ibidem XXXI.

Professore, qualunque sia  stata la pars  di Claudio alla congiura di Seiano,  ritengo che l’imperatore Tiberio abbia considerato  il povero nipote  come elemento inoffensivo,  imbecille in ogni senso, non solo fisico, un omone dominato da servi e da donne, un familiaris  zotico  apolitico, comunque,  familiaris da non toccare, qualunque azione facesse  -XXIX-!

Marco Svetonio, dopo averlo commiserato, per il fisico, bolla Claudio con lo stesso giudizio tiberiano sulle capacità di  politikos/vir civilis : rimasto orfano di padre fin da bambino e durante il periodo dell’infanzia  e della sua adolescenza fu afflitto da parecchie e persistenti malattie /variis et tenacibus morbis( Claudio, II) , indebolito di corpo e di mente/animo simul et corpore hebetato,  tanto  che non fu ritenuto capace di nessun incarico né pubblico né privato  nemmeno con l’avanzare dell’età e perciò  rimasto sotto tutela anche dopo aver  raggiunto la maggiore età quando fu  affidato alla  guida di un precettore da lui stesso  giudicato inadeguato e  barbaro,  severo ispettore delle stalle. Ed anche se non  gli mancò né l’autorità né la dignità di portamento  sia che  fosse in piedi che seduto e principalmente quando riposava. Era infatti di corporatura  alta  non magra, aveva bei capelli bianchi , il collo robusto e una figura prestante; ma quando camminava le ginocchia  malferme speso gli si piegavano sotto ed egli si prestava  a molte critiche di quando scherzava e quando  era serio. Era indecente nel riso,  bestiale nell’ira  con la schiuma  alla bocca e le narici umide, ed inoltre gli si impastava la lingua  e tentennava  sempre la testa  e questo tremolio si accentuava  al più piccolo atto.

Tiberio, come già  Augusto -che  ne rilevava, in lingua greca, la buona indole morale /H ths psuchhs autou eugeneia (Ibidem, IV) lo gratifica concedendo consularia ornamenta  senza  fargli fare alcun cursus honorum, pur inviando  50 monete d’oro per Saturnalia ed Sigillaria cioè per le feste  dei Saturnali – simili a quelle natalizie  tra il 18 e il 26 dicembre, periodo  in cui si invertivano i ruoli di  padroni e servi  e si scambiavano doni – così da dare opportunità di onore al  povero Claudio  che aveva il suo momento di gloria, in pubblico,  tra il popolo in festa.

Comunque, in Roma resta confinato in hortis., in poderi familiari suburbani, lontano da sguardi indiscreti  oppure è lasciato in otium in Campania/ In Campaniae secessu  dove  ha rapporti con persone abiette ed è considerato  ubriacone  e  giocatore.

Bene  credo di avere capito   abbastanza sul rapporto tra Seiano e  Claudio e quello tra Claudio e  Tiberio, ma ora  ho interesse  a conoscere, sulla base dello studio fatto  sulla prima prefettura  di Ponzio Pilato con Seiano,  e su quello  della  seconda  senza Seiano,  la situazione romana,  italica e provinciale,   e verificare, dall’angolazione di Antonia e da quella di Tiberio,  le vicende  delle due partes  contrapposte. Certo,  la  parentela  di Claudio col pretoriano, , per me, è  stata  una sorpresa nella vicenda del tradimento seianeo e della reazione successiva  tiberiana, come anche lo stesso Malkuth, inserito tra la Pasqua del 32 e  quella del 36-!.   Ed, inoltre, la sua ricerca dei codici e delle fonti,  per me utile ai fini della conoscenza unitaria  del principato di Tiberio, senza la frammentazione degli storici,  è ora un nuovo tassello per la totale comprensione del periodo Tiberiano

Sono contento che  il mio lavoro produca frutto e che tu abbia compreso come Tacito  abbia rilevato dalla debilitazione  fisica di Tiberio, dopo la morte del figlio, la necessitas di  puntare sulla coppia Seiano -Claudio, quando invece  prima , nel biennio 21-22, aveva dato dignità a Druso minore e a Claudio, incaricati di accogliere a Terracina le ceneri e la famiglia di Agrippina che tornava da Antiochia e che era sbarcata a Brindisi e da lì accompagnata dal pianto funebre delle plebi apulo- sannito-campane fino all’ arrivo al tempio di Zeus Anxur!

Sembra quasi che, dopo la morte del figlio, sostituisca Seiano con Druso e lo equipari a Claudio per la parentela!. Lo scrittore  evidenzia allora un crollo fisico di Tiberio, -che rimaneva, comunque, nonostante l’età,  un uomo  aitante  nella figura, data la struttura fisica  possente  delle spalle e del tronco,  considerate le gambe lunghe e potenti, dato il volto  maschio, austero, circondato da una capigliatura biondiccia, seppure diradata sulla parte superiore della testa,  tanto da essere ancora  chiamato dai giudei  il leone (ari-h- aleph/resh/ iod-he),  e da essere  amato dalle donne, anche se persona   di carattere  burbero, poco comunicativo e socievole, data l’infanzia raminga  col padre e con la madre, in fuga, da Roma, perché antoniano!-.

Marco, nonostante gli sforzi di Tacito per invecchiare il sovrano e in un certo senso scusarlo  con la malattia senile, le altre  fonti storiche, comunque,  forse influenzate da Velleio Patercolo – un suo militare, legato al suo dux-  dànno un ritratto diverso da quello tacitiano,  che è rimasto  tipico nelle favole di Leone prepotente di Fedro e nei racconti di  Flavio,  che riporta la frase ileone è morto, in aramaico,  detta da Marsia, un liberto di Erode  Agrippa, allora  in prigione, il 16 marzo del 37,  legato ad un centurione,  per volontà dell’imperatore – Ant Giud.,  XVIII, 218-.

La descrizione di Tiberio,  in epoca antonina, però,  come uomo che  si vergogna  del suo aspetto fisico e, perciò desideroso di isolarsi  e di occultare,  con la distanza, la sua crudeltà e i suoi vizi, comunque, rivelati dai fatti ,  è negativa perché ai  posteri  viene tramandata una figura  brutta, quasi  repellente  se si aggiungono poi i particolari vizi, vergognosi,  del periodo caprino:  Aveva  statura alta, un corpo grande e curvo, testa calva, volto sparso da ulcere  e quasi sempre cosparso di impiastriAnnales IV, 37,2.

Non è questo certamente  il vero  ritratto di Tiberio neanche da vecchio! L’ autore antonino vede le macchie, prodotte dal  sole, su un uomo di carnagione chiara,  che rovinano il volto pallido,  impiastricciato di Tiberio,  ne rileva  la sua andatura cascante  e curva e  non mostra  la forza  leonina di un  imperatore che, pur malato, a  Capri,  a 78 anni,  si alza e  scaglia una lancia contro un cinghiale.- non si sa se lo  uccide-  dando dimostrazione alla corte della sua efficienza fisica, anche dopo una serie di collassi nel corso degli ultimi 15 mesi  di vita, in un  disdegno di ogni cura dei medici !.

Tiberio è conscio di essere un leone vecchio, costretto a subire le vendette dei suoi nemici, le  cornate dei tori che vendicano vecchie offese  ed anche la coppia di calci di asini, ostili! Per il popolo, però, l’imperatore è un  Leo ancora  nel 25  e Seiano,  caso mai, è  asinus che può ingannare nella caccia gli ignoti, comportandosi da iactator ma  è  deriso da chi lo conosce.  Fedro, Favole,  I,40!

Il popolo   a  Roma  senza Tiberio, che è  in giro tra le ville campane e talora, fermo alla villa di Lucullo,  si  comporta come le rane nel pantano  davanti al re travicello, destinato a tramutarsi  in  idra, dopo la preghiera a Zeus,  che divora  quelle incaute ed impaurite  da proelia taurorum, cioè dagli scontri  tra   i capi Giuli e quelli  seianei Claudi!

La fonte giudaica tramanda una figura  di Tiberio  come uomo forte ed austero, pazientissimo e clemente,  temibilissimo nei momenti di  ira, mentre quella latina di Svetonio e quelle greche  oscillano tra  la rappresentazione potente  di un Tiberio  giovane   militare eccellente,  un  dux prudens,  cunctator,  moderato nel  mettere insieme  festinatio e lentitudo  – finché Augusto  dominato dalla moglie  Livia,   sua madre – che pur gli preferiva il fratello Druso- e dai suoi stretti collaboratori, considera importante la sua candidatura seppure  non primaria, alla successione, utile, comunque, come patronus per i figli di Agrippa, dopo la morte del  padre e poi, ancora  di più a seguito del  matrimonio con Giulia, vedova, nel 11 a.C.  come loro patrigno,-   e quella di uomo rancoroso, duro, inflessibile,  incline a ritirarsi, in caso di competizione,  lui aristocratico, capace di fare  un passo indietro, contro l’invadenza di altri, populares, pretendenti.

Quindi,  professore la figura  di  Tiberio  non è univoca nel corso del suo regno, come non lo era stata anche prima sotto Ottaviano Augusto?

Marco,  la vita di Tiberio è segnata da vari momenti dolorosi e negativi  ed è stata dura  sotto Ottaviano Augusto, che lo considera  elemento di seconda fascia, sempre di rincalzo rispetto ai Giuli e anche durante il suo regno, è piena di tragedie  e quindi, come ogni uomo, a seconda dei periodi, ha una sua reale figura  e un suo aspetto differente a seconda delle situazioni e degli episodi  in una continua trasformazione. Insomma, Tiberio,  appare uomo che passa manzonianamente  dall’altare  alla polvere  perché dopo  aver raggiunto il massimo grado di potere, secondo Velleio, si ritira per un settennio, dignitosamente, lasciando Giulia, alla morte del loro  figlio bambino,  ai suoi tradimenti  con molti amanti, tra cui  Antonio Iullo,  a  seguito della scelta di Augusto,  dei figli di Agrippa alla successione, per non intralciare i disegnati  dell’imperatore, giovani inesperti, circondati da  generali /duces eghmones, arrivisti/ eukairoi!.

Eppure,  già due volte console e col potere di tribunicia potestas e di imperium proconsulare maius, con dignità, in silenzio, rimane come privato civis  a Rodi, imitando l’esempio dello stesso  Agrippa ed ha il coraggio di lasciare sua moglie, viziosa, anelante ad una dignità propria  imperiale  (cfr. Caligola il sublime, Cattedrale, 2008).

Morti i giovani immaturi, figli di Giulia – Gaio Cesare e Lucio Cesare neoi dioskouroi –  richiamato da Augusto, è acclamato universalmente  di nuovo salvatore dell’impero a guidare gli eserciti, sconfitti,  in Germania, con Senzio Saturnino ed altri.

Ad Augusto,  che pur riconosce le doti militari  e quelle  amministrative e politiche, la figura di Tiberio  Claudio, figlio di un aristocratico  vecchio nemico, pur adottato come giulio,  rimane sempre esponente di un ramo secondario dinastico perché privilegia prima Agrippa Postumo – un giovane altezzoso  solo della  sua erculea forza, smodato in tutto e di scarsa intelligenza,- poi, il figlio di suo fratello  Druso maggiore, giovane militare accorto, prudente e di vivace intelligenza, Germanico, marito di Agrippina Maior  figlia di Giulia, sua ex moglie,  con la clausola  di  fondare una dinastia sulla domus  di  suo fratello e non su quella di suo figlio Druso minore!.

Un’altra cocente delusione!

Preso il potere,  alla morte di Augusto, scoppiate  rivolte in Germania e in Pannonia  per le pretese di liquidazione e della lunghezza della ferma militare delle truppe,  non accontentate da lui,  le doma  dando rilievo giusto al nipote,- adottato ora come figlio Giulio  secondo l’ordine di Augusto,- che  consegue grandi risultati militari in Germania, vendicando la sconfitta di Varo  e lo gratifica onorandolo con il trionfo, celebrato nel  17 d.C.,   lodando con ovatio suo figlio, che ha represso le legioni pannoniche con l’aiuto di  Seiano e di suo zio Giunio Bleso. Morto, malauguratamente Germanico ad Antiochia  nel 19, per avvelenamento, ad  opera di  Gaio Pisone,  accusato  velatamente  dalla moglie e dagli amici, pur subendo contumelie di vario genere  e critiche come reo della morte del figlio adottivo, pur avendo processato il suo avvelenatore  e condannato, con qualche indecisione, – data l’amicizia  precedente con lui e con la moglie Plancina – avendo forse troppo goduto della sua  apparente fortuna  negli anni successivi il ritorno delle ceneri del nipote, portate a Roma dalla  Campania,  sotto scorta da suo figlio e da Claudio- il fratello-(essendo  lui e sua  madre assenti, bersagliati, comunque,  entrambi dal popolo, come nemici dei loro parenti), Tiberio rimane aristocraticamente nel suo ruolo di austero imperator,  apparentemente insensibile. Essere accusato di veneficio è  per lui un altro momento traumatico! Eppure, neppure allora, con tale espressione distaccata, riesce a d avere tranquillità   nei   due o tre anni felici, in cui la sua domus prospera anche per la nascita di due Gemelli (Tiberio iunior e Germanico II) da Druso, suo figlio e da Livilla, sorella di Germanico, quando  sembra cullare il desiderio di creare una propria dinastia, pur rimanendo ligio al dettato augusteo, che impone la precedenza della linea familiare del nipote!.

Non si era sopita la tempesta di critiche per la morte di Germanico, quando Tiberio deve piangere per la morte di suo figlio, che sembra una vendetta giulia  contro l’imperatore, in quanto già erano attivi i contrasti tra le due  partes. Tiberio, avendo sperimentato quanto  sia stato duro il processo per la morte  di Germanico, anche dopo il suicidio di Gneo Pisone, non intenta un processo per la morte dl figlio, che pur lo affligge e debilita,  anche se la sua faccia austera non fa trapelare niente, neanche in senato, dove sbriga la normale pratica funzionale, tanto che  Svetonio può dire che non amò né il figlio naturale né quello adottivo e  gli rimprovera lo svago  del negotium. Eppure è ancora bersagliato dalle contumelie  dei  giuli-  specie i militari e i popolari-  che esigono anche il processo  per la morte di Druso minore!

Professore, la ringrazio per la sintesi storica,  connessa con la  tragedia di Druso Minore, ma, nel suo parlare, lei usa  contumelia con qualche specifico significatoIo lo traduco solo come offesa. Prima di riprendere il nostro discorso, mi può spiegare esattamente il suo  reale valore?

Marco,  contumelia ha due radici, che hanno una famiglia lessicale doppia con area semantica duplice, che, comunque, dilatandosi ampliamente, alla fine,  si riuniscono  per dare un significato univoco generale di disprezzo con oltraggio. Infatti dalla prima- da comtemnere – più antica- deriva il valore di  guardare  con indifferenza e con disistima  fino a giungere al disprezzo– che sottende infamia, talora, in caso di persona  incline a libidine – tanto da  dare  l’idea  generale di  offesa infamante; dalla seconda, più recente, di contumeliare /contumeliari, deriva il valore di oltraggiare con sotteso il significato  di  offese nell’onore,  ingiurie, insolenze e  forme di diffamazione. Se pensi che  il termine è usuale per Tacito e per  Svetonio, uomini vissuti in epoca flavia ed antonina, comprendi come la casata giulia sia messa alla berlina, specie dopo la sistemazione urbana di Nerone  con la sua Domus aurea e le zone sottostanti il colle Oppio,  poi  distrutte dalla  famiglia flavia, nonostante l’armoniosità,  grandiosità  e  perfezione dell’ingegneria  claudia,  per dare nuovo aspetto all’Urbe con la costruzione del Colosseo – l’anfiteatro Flavio sorge esattamente dove era il Colosso Neroniano!-  e puoi capire la diffamazione capillare con le  tessere delle  spintrie tiberiane, distribuite ai populares e ai  milites  per l’accesso al Lupanare!. Se poi pensi alla voluta  sovrapposizione di edifici traianei ed adrianei sulla devastata domus aurea,  ti puoi rendere conto  del grado diffamatorio non solo linguistico, ma anche  architettonico, delle nuove  domus imperiali, ambiziose  nel rivaleggiare con la  domus fondante il Principato stesso!.  Marco, posso, ora  riprendere il discorso?! Soddisfatto?!.

Certo, professore.

Tiberio, Marco, è  innervosito, dunque, dalle critiche di Antonia, iniziate col mancato processo su Druso,  avvelenato,  e sull’avvelenatore, che circola per Roma, impunito  e nemmeno ricercato,  con accuse velate al capo pretoriano, che, da confidente e da amico lo incita ad allontanarsi da Roma, avendo già un piano per dominare incontrastato sul senato e sulla famiglia Iulia e Claudia.

Antonia, in effetti, accusa, pur velatamente, proprio quel Seiano che è insostituibile amico e protettore,  che appare uomo moderato e  affezionato a lui, ai figli di Druso,  e alla domus sua e di Livilla, di cui è patronus!.

Ora nel 25  d.C.,  professore, l’imperatore subisce ancora di più  i rimproveri della  cognata anche quando  non ha accettato la proposta del pretoriano  di sposare la vedova di suo figlio, morto due anni prima, senza troncare i rapporti amichevoli col  parente pretoriano, desideroso di tenerselo accanto!.

Antonia  rimprovera  l’imperatore, lamentandosi- altro significato sotteso a contumelia–  di permettere a Seiano di  predisporre  un pretoriano di guardia, addetto apparentemente alla sorveglianza della sua domus, -che lei rifiuta,  perché spia  nella casa di  Germanico- rilevando l’invadenza  dei pretoriani nella sfera privata!

Il pretoriano scriba,   secondo Tacito, in effetti  è  un miles con capacità scrittorie,  abile a scrivere, capace di  annotare tutto ciò che capita  in  famiglia,  come su  un diario,  vigile a sorvegliare  i messaggi in arrivo,  a fermare i corrieri in partenza,  a bloccare  non solo  le visite  di amici – come G.  Silio e Tizio Sabino, ambedue amici  stretti di Germanico, romani  degni di onore per le loro imprese militari, specie il primo,  contro Sacroviro, oltre che di Poppeo Sabino, poi governatore di Macedonia- ma anche di amiche di famiglia  come Sosia  e Claudia Pulcra, oltre i nomina dei clientes  della familia e perfino  di seguire ogni membro della domus per la città, mentre  svolge gli atti in pubblico e in segreto (Tacito Annales, IV, 67,4).

Può essere Ponzio Pilato il miles scriba?

Marco, come puoi pensarlo? come fai a  dirlo? che basi hai? Scherzi?  Tra i pretoriani ci sono uomini  di varia specializzazione tecnica, dalle spie/Katoscopoi  ai magistri – che sono  decurioni, centurioni, tribuni e legati,  graduati che sanno leggere e scrivere ed hanno una cultura, a seguito di  una frequenza scolastica, avuta al loro paese di origine o a Roma stessa – che sono uomini di estrazione patrizia ed equestre  – tra cui rarissimi libertini- che guadagnano più del doppio di un normale miles delle legioni stanziate ai confini  dell’impero romano, e che rischiano continuamente la vita ed hanno una ferma di 26 anni e quindi invidiano la vita romana, tranquilla, privilegiata del Pretoriano. Marco, non sappiamo neanche se Ponzio Pilato sia un pretoriano e tu lo vuoi identificare con uno che,  come scriba,  spia la casata giulia di Antonia?! Non sai quanti storici considerano Ponzio Pilato  homo pileatus, – cioè uno schiavo  imberrettato di  Pileus, messo in vendita dal padrone, che non garantisce  per lui  e quindi, senza qualifica alcuna- oppure  un domesticus  che porta il pileus, un berretto conico di pilos/ feltro, con lunghe strisce  coprenti le orecchie,  nei conviti o nelle feste, come i saturnalia, in servitium, come segno  distintivo di schiavitù?.

Lei dà altra lettura  di Pilatus,  mi sembra,  e quindi non può accettare questa  servile di un Pontius, che è domus  di origine equestre? Certo Marco,  un ventennio dopo, ci sono libertini come Felice,  che hanno incarichi prefettizi,  sotto Claudio, non sotto Tiberio!

Tiberio, all’epoca, dà  grande  rilievo agli equites tra i pretoriani  –  che poi saranno limitati nei loro compiti ed  esautorati da Caligola, che li declassa fino a sostituirli con i Germani, poco prima della data fissata di partenza  per Alessandria, in un progressivo ridimensionamento, subito dopo l’uccisione di  Macrone, – illuso di poter fare quello che aveva fatto  il collega Seiano con Tiberio- e di Trasilla, sua moglie, amante del giovane imperatore, complice del marito!.  Con Claudio i libertini, ex pileatiservi ad pileum vocati (Svetonio Tiberio, 1,2) fanno carriera, come i fratelli di Cenide  cfr. Cenide  e Vespasiano  www.angelofilipponi.com

Ho letto l’articolo ed ho visto i rapporti di Vespasiano, eques sabino di Vicus Phalaricae, amante di Cenide,  fautore  acceso di Caligola! E’ di questo periodo – mi scusi, professore, se salto di palo in frasca, obbligandola a  salti storici! – il ritorno di Pilato un eques , un praefectus,  a Roma, seguito poi, a breve distanza  da quello di Vitellio?  Avviene prima o dopo la morte di Macrone ?

Ritengo, Marco,  che  l’arrivo di Pilato, a Pozzuoli, sia dopo il 18 marzo del 37 d.C., momento dell’arrivo a Roma del nuovo giovane Augusto, in primavera, essendo partito dalla Iudaea quando Vitellio entra per la seconda volta in Gerusalemme,  mentre quella dell’ex governatore siriaco,  potrebbe essere  avvenuta nell’ autunno  o poco prima della morte di Macrone, agli inizi del 38, dovendo il governatore sbrigare le pratiche  di congedo dai segretari provinciali e lasciare le carte in ordine per il nuovo governatore, ancora da nominare, considerata anche la lentezza dei preparativi per la partenza di uno – forse l’ unico fino ad  allora  procuratore romano,  amato e festeggiato nella zona siriaca e specie  giudaica per averla pacificata con l’annientamento del fenomeno messianico – cosa che molto dispiace ai Flavi-!.

Infatti Flavio,  unica fonte,  dice:  Vitellio, allora mandò Marcello suo amico  ad amministrare la Giudea  ed ordinò a  Pilato di fare ritorno a  Roma  per rendere conto all’imperatore  delle accuse fattegli dai samaritani  Così Pilato,  dopo aver passato dieci anni  in Giudea, si affrettò a Roma, obbedendo agli ordini di Vitellio,  a cui non si poteva sottrarrePrima di giungere a Roma, comunque, Tiberio era morto- Ant. giud., XVIII,89-.

Tacito, invece, ci informa su Vitellio, già  giunto a Roma, da tempo,  e lo giudica anche  per la sua attività politica successiva, come iniziatore della proskunesis all’imperatore di un cittadino romano,- cosa fino ad allora non usuale-   eo de homine  haud sum ignarus  sinistram in urbe famam pleraque  foeda memorari; ceterum regendis provinciis prisca  virtute egit:  unde regressus et formidine  C. Caesarisfamiliaritate Claudii turpe in servitium mutatus exemplar apud posteros  adulatorii  dedecoris habetur, cesseruntque  prima postremis, et bona iuventae senectus flagitiosa obliteravit/Non ignoro che quest’uomo  aveva cattivo nome in Roma  e che di lui  si ricordano azioni  molte e disonoranti. Eppure nel governo delle  province si comportò con onestà, degna degli antichi,  tornato poi  di là e divenuto vile cortigiano per paura di Gaio Cesare  e per la famigliarità con Claudio, è rimasto esempio ai posteri  di vergognosa adulazione. I suoi inizi sono stati smentiti dalla  sua  fine  e una vecchiaia  obbrobriosa ha cancellato le virtù della  giovinezza (Annales, VI,32.3/4).

Perciò, Marco,  a te  tirare una possibile conclusione!

Per me, professore,  Pilato come sottoposto  al governatore  di Siria, non potendo nemmeno scappare presso i parthi, ora vincolati dal trattato di Zeugma- come avevano fatto  fino ad allora  i cives della zona, sull’ esempio di Labienus parthicus dux,  inquisiti da Roma, o come fece Rubrio Fabato nel 33,  scappato ai pretoriani per fuggire presso i parthi  a chiedere pietà, non avendo più speranza nelle sorti romane –  è sostituito con un amico di Vitellio, tal Marcello,  non ben identificato –  a meno che non si pensi ad un liberto della famiglia dei  Claudii  Marcelli! – senza un decreto senatoriale! Poi, è inviato in fretta a Roma, come reo di vessazioni contro i provinciali samaritaniPerciò,  probabilmente il suo arrivo  risulta  tra  maggio-giugno, mentre  Vitellio potrebbe essere arrivato o  in autunno o  a primavera dell’anno successivo!.

Bene, Marco, condivido, e ti  aggiungo che Vitellio, potrebbe, -conoscendo il 16 marzo 37,  data di morte del vecchio imperatore e la nomina a Roma del 18 marzo con acclamazione  a Caligola di Neos Sebastos,  essersi fermato mesi ancora in Siria, ad Antiochia,  dove era tornato da Gerusalemme   per le pratiche questorie necessarie  al completamento burocratico delle  operazioni di gestione di  fine mandato.

Pensa che potrebbe,  oltre alla possibilità di svernare a Dafne, essere partito  dopo la fine del periodo di non navigazione  invernale, oppure  aver svernato in un’isola dell’Egeo,  ed essere ripartito, senza fretta, nel periodo iniziale dell’era saturnia dell’inizio del principato, eccezionalmente felice,  caligoliano (Incipit di Legatio ad Gaium). Sorpreso, poi, dalla notizia della malattia di Caligola,  incerto  circa le  voci di nomina imperiale  di Drusilla  e di Lepido,  arrivato a Roma agli inizi del 38, dopo aver inviato vari messaggi con le indicazioni delle sue soste, certamente sorvegliate, si presenta  all’imperatore, guarito,  già deciso a cambiare le sorti del suo principato!  Il suo arrivo in un tale momento è  terribile! il suo ritorno è un incubo! Unica salvezza essere cortigiano orientale, creare la moda della  proskunesis a Roma, in Italia e in Occidente! Un imperator romanus , un nikeths,   si mostra simile ad un rex  postulante! Una vergogna per un civis, per un senatore, un dux  trionfatore sui Parthi!

Lasciamo da parte Pilato e Vitellio e la loro situazione in epoca caligoliana, riprendiamo il nostro discorso  sui pretoriani, sotto Tiberio, sul loro potere e su quello di Seiano che osa chiedere la mano della vedova, ex moglie del figlio dell’imperatore, nonostante la vigilanza di Antonia sul suo comportamento quotidiano e l’ostilità del partito giulio.

E’ uno scontro tra due  forme di spionaggio,  uno pubblico ed uno privato, tra quello pretoriano e quello dei liberti di Antonia?

Certo, Marco,  Antonia  è  scaltra ed  abile ad investigare, a ricercare e a spiare i documenti stessi imperiali, ben sapendo che la presenza a Roma di Tiberio è  per lei e i suoi,  garanzia di diritto, temendo  che il pretoriano possa riuscire a portarlo fuori di Roma e farlo cessare da una concreta attività politica. Peccato  che Tacito non  abbia lasciato niente del processo a Livilla!

Per lei, nonna,  è vitale  evitare  che l’imperatore lasci Roma sotto il comando di Seiano, essendo le forze dei claudi, sostenute dai pretoriani di molto superiori a quelle dei giuli, destinati allo sterminio! Neanche l’appello ai vecchi militari- allora  comandanti di legioni, in Tracia, in  Germania, in Spagna, lontani da Roma- al senato (ormai quasi totalmente  cliens del pretoriano)  e al popolo – facilmente addomesticabile da demagoghi  seianei – sarebbe stato sufficiente alla loro salvezza di Giuli!.

Professore, non è il caso di mostrare il  reale clima di quei due  anni successivi la morte del figlio, non accertata, per una migliore comprensione della situazione di guerra civile imminente!

Marco, il 24 e il 25 secondo gli storici sono anni dominati da Seiano, che, avendo riunito nei castra praetoria  i milites, li ha ormai conquistati con ogni mezzo (cfr. Caligola il sublime, cit)- chi in un modo chi in un altro – e che risulta esecutore  fedele degli ordini di Tiberio , che appare il vero  committente,  deciso a stroncare  gli amici di Germanico –  Gaio Silio e la moglie- ,  fare cessare  le nuove guerre servili in Italia,  suscitate da T. Curtisio, ma anche a far processare Vibio Sereno, accusato dal figlio  omonimo, con la collaborazione di due suoi amici  Gneo Lentulo e Seio Tuberone, mentre viene intensificata  la guerra contro Tacfarinate, seppure già sotto controllo del  re Antioco figlio di Selene Cleopatra , oltre a processare  Cremuzio Cordo per una nuova ed inaudita  imputazione/ novo ac tunc primum audito crimine – Annales IV,34- che cioè un intellettuale  ha lodato G. Cassio come l’ultimo dei Romani.

 Per Tacito,  repubblicano, è un vero delitto di lesa maestà!

Oltre a questo contesto,  Marco, mi preme, farti comprendere l’animo di Tiberio, uomo sospettoso certamente,  melanconico, impenetrabile, circa  la questione della  divinizzazione dell’ imperatore romano e di Roma, che, comunque, è ben rilevato da Tacito,  in precise occasioni. Me le mostra professore?

Una è durante il processo di Vozieno Montano, che è da collegare con la risposta, moderata , intelligente e tipica di un uomo prudente, riflessivo e  politico, a Seiano, sul rifiuto di dargli  la nuora  in sposa, pur volendo mantenersene la fedeltà e l’amicizia. Dunque, Tiberio mostrando  la  solita fermezza//constantiam meam per non aver  opposto  un rifiuto alle città di Asia, richiedenti il permesso di costruzione di un tempio in suo onore,  ne spiega il motivo  in relazione ad un’altra  richiesta simile, di ambasciatori della Spagna ulteriore, desiderosi  di innalzare un tempio alla madre e a lui, seguendo l’esempio orientale: Vi farò, dunque, conoscere  le ragioni del mio precedente  silenzio e nello tempo stesso la mia decisione per l’avvenire.- Ibidem 37.2- ,

Ascolta bene, Marco! Tiberio, dopo aver detto che lui segue l’esempio di Augusto, che  non impedì di edificare  un tempio a Pergamo, dedicato a lui e a Roma,  aggiunge: io, che mi faccio una legge  di rispettare ogni azione ed ogni parola di lui /qui omni facta dictaque  eius vice legis observem- ibidem- ne ho seguito l’esempio,  perciò accetto il culto della mia persona  con l’aggiunta della venerazione del senato/placitum iam exemplum promptius secutus sum, quia cultui meo  veneratio senatus adiungebatur  – ibidem-

L’imperatore, poi, dice:   mi sia,  comunque, perdonato l’averlo fatto una volta,  in quanto il lasciarmi adorare in effigie  come un dio, in tutte le province, sarebbe atto  di vanità e di orgoglio /effigie numinum sacra(ri) ambitiosum, superbum ed aggiunge : et vanescet Augusti honor,  si promiscis adulationibus  vulgatur /e lo stesso onore di Augusto risulterà cosa vana, se lo si fa con adulazioni indiscriminate!

Tiberio, perciò,  afferma: ego me, patres conscripti,  mortalem esse, et hominum officia  fungi datisque habere si locum principem impleam, et vos testor, et meminisse  posteros volo/ o senatori, io non sono che un mortale;  i doveri che assolvo sono quelli di un uomo e  a me basta tenere il posto più alto: voi me ne siete testimoni ed io voglio che me lo ricordino i posteri, i quali renderanno alla mia memoria  un onore più che sufficiente,  se mi giudicheranno degno dei miei avi, sollecito delle  vostre  fortune,  forte nei pericoli, impavido contro le offese, quando è in gioco il bene dello stato. -ibidem 38 1-

Il discorso, per me proprio della scuola analogista, opposto a quello anomalista di Caligola  (Pseudo Longino  Del Sublime, a cura di Francesco Donadi, Bur 1991)-ibidem  2-3  è il seguente: Haec mihi in animis  vestris templa, hae pulcherrimae effigies et mansurae; nam quae saxo struuntur, si iudicium posterorum in odium vertit, pro sepulchris spernuntur /questi i miei templi nelle vostre anime; queste le statue  più belle  destinate anche a durare. Infatti quelle di marmo, se la stima di posteri si converte in odio,  sono guardate con disprezzo come sepolture. La conclusione  è questa:    Proinde  socios cives et deos ipsos et deas precor, hos ut mihi ad finem usque  vitae quietam et intellegentem  humani divinique  iuris duint, illos ut, quando concessero cum laude et bonis recordationibus facta atque famam nominis mei prosequantur/perciò prego gli alleati,  i cittadini e gli dei stessi e le dee  che  questi mi concedano fino al termine  della vita  uno spirito sereno e la capacità di interpretare le leggi divine ed umane, e  che quelli, quando avrò lasciato la terra,  accompagnino  con lodi e con parole di riconoscenza il ricordo delle mie azioni e la fama del mio nome. 

Professore, devo fare una domanda lessicale- mi sembra strano duint!- ed una ideologica, forse non compatibile con la  visione di un aristocratico, desideroso di memoria  eterna umana!?

Marco, per quanto riguarda il lemma  duint sappi che è  una forma  arcaica di do, das, congiuntivo presente coniugato come sim, forse usato da Tacito per evidenziare un’area sacra, vista da un’angolazione tragico-comica (propria di Nevio  più che di Plauto e Lucilio!), un vizio arcaicizzante degli scrittori antonini!; per quanto riguarda  la divinizzazione,  tema a me caro per la figura di Gesù Christos,  Tiberio pagano, materialista,  naturalista, astrologo  è uomo cosciente di sé mortale,  effimero!  e, quindi, la probabile ironia di Tacito ci appare  inadatta  freddura e non  posta al momento giusto!. Comunque, l’imperatore  privatamente  in discorsi con amici disapprova quel genere di culto verso la sua persona anche quando ha ricevuto  ed accettato il titolo di Augustus, pur disdegnando  il titolo di pater patriae, rifiutato varie volte.

Dunque, professore,  il fatto che Tiberio non vuole avere  il culto divino della  sua  persona,-  criticato da molti che pur  leggevano come  indice di modestia  ed altri di diffidenza,  altri di bassezza di animo-  è segno  di un uomo che ha fatto storia  e che vuole essere ricordato come vir degno della tradizione  familiare,  secondo il costume  quiritario romano,  non  quello greco-ellenistico degli eroi mitizzati e divinizzati come Heracles/ Ercole e  Dionusos/Libero.

Infatti Tacito  non distingue tra culto  greco, che crea il mito di Ercole e Libero e  quello latino che ha come eroe mitizzato Quirino, e non mostra le  diverse  forme occidentali e  latine  di muthos rispetto a  quelle greche   anche se tutti i culti in genere arrivano alla divinizzazione, che è in relazione  in Roma, alla concessione  fatta da  Ottaviano, quando già è Augustus, ai Tarraconesi   templum ut in  colonia Tarraconensi strueretur Augusto,  petentibus Hispanis  permissum, datumque in omnes provincias  exemplum/chiedendo gli spagnoli  il permesso di erigere  un Tempio ad Augusto  nella  colonia di Tarragona  fu loro  consentito  e si creò così un precedente esemplare per tutte le  province  ibidem I, 78 – Tacito ha una concezione già domizianea di culto imperiale – cfr K. Von Fritz, Taciti Agricola, Domitian and the problem of the Principate, 1967-

Tiberio aristocratico celia su Augusto eques– se le parole riportate da Tacito sono queste-: Melius Augustum  speraverit, riferendosi  al fatto che molti  fra i mortali ambirono  agli onori più alti / optumos  quippe mortalium qui altissima cupere!.  

Tiberio  ritiene che ognuno deve guadagnarsi col lavoro un favorevole ricordo di sé: i principi tengono già tutti gli altri beni ed uno solo devono cercare di  guadagnarsi  insaziabilmente : un favorevole ricordo di sé,   in quanto, col disprezzo della gloria, si disprezzano anche le virtù/unum insatiabiliter parandum, prosperam sui memoriam; nam contemptu famae contemnvirtutesibidem, IV,38,4-.

Dunque, professore, Tiberio ha una concezione del potere in senso umano quiritario patrizio, di una di sovranità venerabile per la  continuità di sangue aristocratico  claudio,  superiore rispetto a quello giulio mitico ellenistico?.

In questo  Filone, infatti, concorda e  non con quello giulio  Caligoliano, esemplare per Domiziano per Commodo e per Caracalla -cfr. The death of a God www.angelofilipponi.com ! –

Vedo che mi segui!. Ti aggiungo che nella risposta a Seiano è ancora più evidente questo aspetto. Esamina tu stesso dalla fonte tacitiana. Tiberio sa bene – anche tramite Antonia che teme il coniugium  per la dichiarata volontà del pretoriano di punire iniquas  Agrippinae offensiones idque liberorum causa/ i risentimenti non giusti di Agrippina e ciò a causa dei figli– che la lettera, inviata da Seiano, è scritta  da retori  della casa giulia, sotto il magistero interessato di Livilla, sua nuora, per cui  l’imperatore richiede tempo  per uno studio e riflessione!.

Infatti  Tacito  dice  che era, allora,  uso anche se  l’imperatore era presente, presentare la richiesta per scritto /moris quippe  tum erat quamquam presentem scripto adire e che c’era, anche se con qualche ritardo, una  risposta imperiale.

Prima di mostrarti, comunque,  il testo della lettera ti aggiungo che   i pretoriani   già  facevano i i turni per irretire in discorsi  sediziosi il giovane Druso Cesare  e lo contrapponevano  al fratello maggiore Nerone Cesare, facendogli balenare la speranza del principato (Tacito, Annales,IV,60)  per  rovinarli entrambi ed inoltre che controllavano i loro amici e fautori  giulii, avendo fatto il processo già a Silio e fatto condannare-anche se già suicida-  lui  e la moglie inviata in esilio  con i beni confiscati a Sosia  al 50% , per intercessione di  Emilio Lepido, comandante militare  capacem sed aspernantem/ capace ma noncurante  – ibidem I,13,2 -.

Eppure per avere la condanna di Silio  bisognò fare ricorso all’aiuto del console Varrone e ad un intervento dell’imperatore  – Tacito  Ibidem IV,  19, 2-  Cesare si oppose  dicendo che era costume dei magistrati  citare in giudizio  cittadini privati e  che non si doveva sminuire  l’autorità del console, –  le  cui cure provvedono  alla  salvezza dello stato.-… Sosia era accusata di essere complice del marito  che  aveva  di nascosto e lungamente tenuto  mano a Sacroviro, nella guerra germanica, di aver macchiato con l’avidità la sua vittoria. Certamente  né l’uno né l’altra  potevano liberarsi da accuse di concussione: ma tutto il processo si volse sull’imputazione di lesa maestà (cuncta quaestione  maiestatis exercita)-ibidem-

Professore, erano tempi in cui la delazione era quotidiana e le condanne erano di lesa maestà, ma c’era qualcuno che riusciva a salvarsi rimanendo  moralmente pulito, in un tale clima di odio?

Marco, si . Ti cito  proprio  Emilio Lepido, ex proconsole di Asia , morto per cause naturali, forse, -sembra nel 33 d.C,, che fa proposte contrarie all’imperatore e a  Seiano impunemente, convinto di far assegnare del 50%,  non secondo legge- metà agli accusatori e metà ai figli-  ma un quarto agli accusatori ed il resto ai figli – come poi  faceva suo figlio nei confronti di Caligola, che giudicava degno di esilio Avillio Flacco,  secondo Filone  – imponendo  coraggiosamente  un intervento correttivo di pena – in quanto  giudicato  gravem et sapientem virum/uomo saggio ed autorevole, capace di emendare molte decisioni adulatorie di altri,  conservando la sua influenza e favore presso l’imperatore,  senza  dover usare la circospezione!.

Tacito, allora, si pone il problema tipico del  periodo domizianeo, se forse anche la propensione dei principi verso gli uni, la loro avversione verso altri non dipendano come tutto il resto dal volere del  fato e dalla sorte del nascere, oppure se una parte  sia lasciata alla nostra accortezza  e se tra la spavalderia che conduce alla rovina e il servilismo  che disonora si possa seguire una strada  che non sia né abietta né pericolosa.- ibidem-!

In tempi di dittatura e sovranità assoluta, Marco,  il dubbio di Tacito su una via intermedia tra  morire e  parlare apertamente per un uomo parrasiasths /libero di parola  è  una forma  retorica perché è difficile rimanere  autorevole quando parlare può significare morte anche se  il personale  consilium è tipico di chi ha avuto  buona sors nascendi  e  propizio fatum.-ibidem 20.3-.  Sola Antonia, essendo privilegiata da nascita e dal destino di essere la madre di Livilla, cognata dell’ imperatore, coerede dei beni imperiali augustei,  donna capace di gestire un impero commerciale e finanziario mondiale coi suoi segretari personali, coi suoi trapeziti alessandrini, coi  suoi liberti latini  con le sue relazioni coi legati di tutto l‘imperium romano ed occidentale ed orientale,  risulta intoccabile punto di aggregazione e di riferimento di ogni opposizione al regime stesso ed  anche alla forza armata di Seiano!

Antonia, come l’augusta Livia, risulta  davvero inviolabile per Tiberio ma sembra che non fu per Caligola theos!-cfr. Caligola il sublime cit- ma non Agrippina e i suoi figli vulnerabili per il loro stesso nomen oltre che per la loro coscienza di superiorità rispetto a tutti gli altri in quanto  sicuri di essere  stirpe divina Augusta! Lo stesso Claudio  dovette fare il deficiente e legarsi al carro di Seiano lasciando la moglie  Urgulanilla   e  sposarne la sorella  Elia Petina, inimicandosi la madre e la vecchia nonna, prossima a morte.

Professore, lei mi vuole comunicare che sotto Tiberio non erano sicuri, data l’equivocità di condotta dell’imperatore stesso,  dissimulatore,  nemmeno i membri della famiglia di Augusto, come non lo erano stati già Germanico e Druso minore, suo figlio?!

La domina Antonia  lamenta velatamente consapevole che Tiberio mal dissimula la letizia per la morte di Germanico/Germanici mortem male dissimulavit – III,2,2 ( nonostante abbia fatto  ogni  legittimo dovere  funebre ed abbia fatto scortare le ceneri ed Agrippina provenienti dall’Apulia,   da Terracina a Roma fino al mausoleo di Augusto,  avendo inviato il  figlio e Claudio !)-  temendo la subdola azione di Seiano  che delle sue parole e delle sue azioni  narra solo ciò che risulta  evidentemente, sfruttando solo alcune   a suo vantaggio, denunciandole, all’occasione,  all’imperatore, che già va girando  in Campania alla ricerca di quies, come aveva fatto in precedenza, quando dava spazio a  Druso di svolgere funzioni imperiali, come per associarlo al potere, senza  notificarlo al senato!

Antonia lamenta che Tiberio è informato,  falsamente, che  i nipoti a Roma   si armano e  formano un fronte antimperiale, dal prefetto del pretorio, che  tace invece  la sobillazione  continuata delle  spie nei confronti dei due  fratelli,  iuvenes inesperti,  Cesare Nerone e  Druso Cesare, convinti a  ricercare la protezione negli eserciti di Germania  presso Getulico, a richiedere  palese  aiuto al senato  e al popolo, spinti perfino  ad andare platealmente ad abbracciare la statua del divo Augusto, nel punto più frequentato del foro.

Insomma   Antonia,  avendo chiara coscienza delle ragioni della morte di Druso minore, dei mirati interventi dei pretoriani e  conoscendo la tresca  immorale tra sua figlia  e il pretoriano, diversamente da Tiberio,  è in bilico tra dovere  familiare e dovere pubblico   e perciò cerca solo di proteggere la domus di Germanico allontanando  da Roma, dopo la Morte dell’Augusta Livia, nel 29 , Gaio Cesare Caligola, che è inviato, a Capri dall’imperatore,  dopo l’elogio funebre da lui fatto per l’ava, quando già   si  sta  verificando la tragedia di Agrippina, nonostante la protezione di Asinio Gallo, avido di potere, incapace di conseguirlo, marito di Vipsania, sorellastra – cfr. Caligola il sublime, cit. e Giudaismo Romano II ebook Narcissus 2014-.

Tiberio, professore,  ha già demandato ogni compito provinciale a Seiano?

Marco, credo che Tiberio non abbia  dato l’imperium proconsulare maius,  ma solo  quello limitato all’Oriente e specie all’area siriaca, settore difficile e ribollente di staseis  per il fenomeno messianico, mentre quello occidentale è lasciato ai governatori, che mantengono il mandato imperiale invariato, secondo la prassi tiberiana  di  dilazionare il tempo  di durata prefettizia.

Professore, considerato che Tiberio ed Antonia sono due volponi politici scaltri e impenetrabili nelle loro mene, è possibile che Tiberio pensi che la pars Giulia, convinta dell’avvelenamento di Germanico da parte sua,  abbia reagito con l’avvelenamento di suo figlio?  O che alla cognata, desiderosa di far pagare sangue con sangue  all’imperatore, allora, nel massimo della fortuna, conveniva la morte di Druso, che così chiudeva il problema della successione  a favore dei Giuli?

Marco, ci ho pensato spesso ma non credo che si possa accusare Antonia  perché lei già  con LIvilla, sua figlia, moglie del figlio di Tiberio,  suo nipote, ha già il potere di tutto l‘imperium coi figli di Germanico, che hanno  la precedenza nella successione, essendo Agrippina la figlia della figlia stessa di Ottaviano Augusto.

Per lei, professore, quindi il male è in Livilla che,  come  Giulia maior  e poi Giulia minor e tante altre giulie, aspira ad un potere proprio imperiale, da dividere solo con l’amato eques Seiano, non coi nipoti e neppure con la madre, in quanto desiderosa di una propria dinastia divina col pretoriano, stimato e prediletto da Tiberio, tenuto all’oscuro sulla vicenda amorosa dei due!

Dunque, Marco, tu , influenzato dalla lettura domizianea di Tacito,    valuti Tiberio davvero una mente perfida, malevola, rancorosa, che già nel 20 quando  dispensa Nerone Cesare dal viginterato e lo fa sposare con la figlia di Druso,  ha già progettato di fare suo figlio erede al trono  contravvenendo all’ordine di precedenza di Augusto?  Sappi che Tiberio  è  un aristocratico,  vecchio, che non manca di parola,  che vuole andare  in pensione, a godersi quanto meritato con la sua personale vita al servitium dello stato, convinto di aver ben meritato e di lasciare una fama di vir politico,  degno dei suoi avi!.

Di Tiberio, nonostante le crudeltà narrata, i tanti ambigui processi  e i suoi stessi isterici  interventi – episodio di Montano.-42,1 (Tiberio dovette quindi ascoltare le contumelie, da cui veniva straziato, in segreto, e ne fu così colpito da mettersi a gridare,  che si sarebbe giustificato o subito o dopo l’istruttoria:  stentarono  a calmarlo le preghiere di molti e l’adulazione di tutti!)- e le perversioni sessuali, senili,  nessuno storico ha parlato  di lui come monstrum! Ti aggiungo che lo stesso Tacito  mostra Tiberio  come straziato dai rimorsi a seguito dei processi del 31, e specie di quello di Cotta Messalino -un nobile decaduto  dissoluto, disonoratosi con azioni infamanti -che aveva ingiuriato G. Cesare (Caligola)  come uomo quasi incertae virilitatis/  di scarsa virilità  e di aver offeso la memoria dell’Augusta madre, convinto di essere protetto dal suo Tiberiolo,  contro  gli accusatori Lepido ed Arrunzio,  in una lettera, scritta al senato: possano gli dei  e le dee farmi perire di una morte peggiore di quella di cui mi sento  consumare giorno per giorno, se so che cosa io vi debba scrivere,  senatori, o come vi debba scrivere  o che cosa io non debba assolutamente scrivere.  in questo momento!.

Il commento  ad un tale rimorso dello storico è questo:  a tal punto  le sue colpe e le sue vergogne  si erano trasformate  per lui stesso in tortura!. E non invano il maestro di ogni sapienza soleva affermare che, se il cuore dei tiranni  si potesse  mettere a nudo,  lo si vedrebbe straziato  di colpi; infatti, la crudeltà,  la dissolutezza  e le azioni ingiuste  producono nell’animo  le medesime ferite che le sferzate producono sui corpi.

Marco, dopo avere scomodato Socrate con la citazione di Platone  Gorgia LXXX,524,  lo storico  scrive: né l’altissima sorte né il raccoglimento in solitudine preservavano  Tiberio dal rivelare lui stesso i tormenti della sua coscienza e il suo castigo!/quin tormenta pectoris  suasque  ipse poenas fateretur!  Annales, VI,6,1-2!.

Per lei, quindi, come Flavio, anche Tacito non è attendibile, proprio perché retorico e lontano dai fatti di cui parla in modo aneddotico come Svetonio! Quindi, si può dire che la grave colpa di Tiberio  è quella di non avere indagato sulla morte del Figlio, subito, ed operato drasticamente , in ritardo, contro la coppia malefica  Livilla-Seiano!

Certo,  se lo avesse fatto subito,  la storia sarebbe stata diversa e  quanto seppe dall’ indagine  dal processo di Apicata nel  31-32  gli sarebbe stato utile per frenare l’ascesa di  Seiano: la morte di  Druso dovuta all’inimicizia di  Seiano e  alla infedeltà coniugale  di Livilla, rimane troppo a lungo invendicata e partorisce col tempo  tanti rumores  insieme a contumelie ed ironie sull’imperatore, incontrollabili, nonostante il processo all’ex moglie di Seiano e a Livilla stessa!.

La storia, però, non si fa con i se!

Comunque, professore  il destino fu crudele e con Antonia e con Tiberio poi  divenuti simboli di  scaltrezza e di cunctatio,  di perfidia   senatoria, di vecchi politici! le ragioni  di una non volontà di sapere  sono  più di un animo  disturbato fin da bambino come quello di Tiberio,  abile a negare e a  chiudersi nel dolore, per fare una corazza  al suo male infinito, come per nasconderlo, mentre la vita seguita a fluire  come se nulla fosse successo!  eppure Tiberio, pur con questo carattere  seppe  governare  bene l’impero anche negli ultimi anni, pur  segnati dal potere eccessivo di Seiano e  poi di Macrone, autorizzati anche  dalla  debolezza senile, più mentale che fisica di fronte agli immensi problemi di un impero colossale!.

Marco, per ultimo, ti dico con certezza  che  Antonia conosce il testo della lettera  di Livilla,  che è istigatrice di Seiano, come  donna insistente nel ricordare la promessa di matrimonio, avuta dal pretoriano- promissum matrimonium, flagitante Livia,  Ibidem 39,1- che oltre tutto, ha già  divorziato, per fare la sua legittima richiesta all’imperatore!

Ecco  – il testo – Tacito, Annales, IV,30,1-!

Tacito scrive : Seiano accecato dalla eccessiva fortuna  e per di più infiammato dalla bramosia di una donna, poiché Livia gli rammentava continuamente le nozze promesse, presenta un’ istanza all’imperatore/ nimia fortuna socors et muliebri insuer  cupidine  incensus , promissum matrimonium flagitante Livia, componit ad Cesarem  codicillos.

Professore, non era pericoloso per Seiano presentare due anni  dopo la morte di Druso,  codicilli richiedenti il matrimonio, lui eques, con la figlia di Antonia e di Druso Maior, ex moglie di due Cesari, Gaio Cesare e Druso minor,  figlio dell’ imperatore stesso, avvelenato e morto nel giro di una settimana tra sofferenze inaudite? Non poteva essere un’autoaccusa?

Marco, il pretoriano ha già un potere nel 25 tale che può effettivamente evidenziare la sua volontà di essere e di  rimanere al  servitium diretto dell’imperatore e non di cercare di fare carriera,  essendo una guardia  del corpo felice  di servire  il padrone, uomo fidelis  verso l’Augusto,  come  lo era per gli altri dei,  tanto da  confidare le sue speranze  e i suoi desideri  alle orecchie dei principi, prima che agli dei, a seguito della  benevolenza di Augusto, padre,  e alle moltissime prove di stima, dategli dal figlio Tiberio / benivolentia Augusti patris  et mox plurimis Tiberii iudiciis  ita insuevisse, ut  spes votaque sua  non prius ad deos  quam ad principum aures conferret.-ibidem-

Professore, Seiano, prima della richiesta, fa una professione di fede nel suo dominus theos, legge vivente?

Al di là della captatio benevolentiae, il pretoriano aggiunge che mai aveva pregato di ottenere dignità onorifiche, ma preferiva vigilare e  lavorare come  semplice soldato tra i soldati, per l’incolumità dell’imperatore /  Neque  fulgorem unquam precatum  honorum exubias et labores,  unum e militibus pro incolumitate imperatoris malle -ibidem,2-

Lei ha mostrato come Seiano  ritiene  cosa bellissima/ optimum aver ottenuto già la possibilità  di parentela con Tiberio?

Marco, la cosa non deve sorprendere se già nel 20  è  coniunctione Caesaris dignus crederetur- Ibidem III,29,3, di essere cioè ritenuto degno d’imparentarsi  con l’imperatore , essendosi stabilito di dare al figlio di Claudio e  di Urgulanilla,  di nome Druso, la figlia di Seiano, macchiando, secondo Tacito, la nobiltà della stirpe con l’innalzare eccessivamente Seiano,  già sospetto di nutrire aspirazioni smodate!.

Marco, è quello l’anno in cui Tiberio concede  a Cesare Nerone ormai in età giovanile  di essere dispensato dal viginterato cioè  di far parte di un gruppo di magistrati- triumviri capitales, triumviri monetales  quattuorviri  addetti alle strade  e decemviri incaricati di comporre le liti-  e di poter chiedere la  questura cinque anni prima  dell’età legale, accontentando il popolo con una elargizione di grano e sale,  felice  già di vedere giunto alla pubertà il figlio di Germanico,  divenuto Pontefice  e sposato con la figlia di Druso minore,  Giulia.

Proprio quello è l’anno  in cui Druso Minore già  ha potere imperiale a Roma e lo gestisce , trascuratamente, in apparenza,  a parere dei senatori  mentre il padre fa le prove in Campania per la sua futura pensione?

Marco, la fonte di Tacito – autore  che legge i fatti, interpretandoli dall’angolazione del tempo domizianeo (cfrVon  Fritz, cit. e E. Paratore,storia della letteratura Latina,Sansoni,2000) –  non è attendibile -migliore è quella di Flavio e di Cassio Dione che pur rilevando il modo giovanile di reggere lo stato mentre Tiberio è assente, mostrano una volontà di vedere  il figlio successore, già console e  destinato al secondo consolato nel 21, cosa che può avere determinato la rabbia nei giuli  che  sono ancora in lacrime, nel vedere il predominio claudio e con Tiberio e con Druso e con Seiano, specie dopo che lo zio  Giunio Bleso è salutato imperator a seguito della fortunata  guerra in Africa.

L’affermazione di Tacito sembra rimandare ad un giudizio posteriore di almeno 70 anni:  si rideva  anche per concessione al giovane del pontificato perché la potenza dei cesari era all’ora agli inizi e il ricordo della libertà era recente   perché aveva richiesto anche la questura  cinque anni prima dell’età legale,  adducendo come argomento  che  a lui  e a suo fratello erano state fatte le stesse concessioni su richiesta senatoria  da Augusto per cui i senatori consideravano la parentela di un patrigno coi figliastro meno stretta  che non quella di un avo col nipote!-ibidem  29,2-.

Al di là del pensiero ironico  di Tacito, professore,  lei mi vuole dire che lo scrittore,  scrivendo dopo circa tre generazioni,  legge i fatti  specie quelli del 22 -3  – a cominciare dalle preghiere – fatte dai  feciali, da quelle  dei senatori  e degli equites  per la  salute dell’augusta-e dagli onori riservati, come già al fratello,  a Druso Cesare,  che prende la toga virile,-  li interpreta per rilevare l’obsequium senatorio, la clemenza di Tiberio  nei confronti di Lucio Ennio- reo di lesa maestà per aver convertito in oggetti di argento una sua statua , anche se degno di punizione secondo il giurista  Ateio Capitone  che, per ben meritare coi potenti,  macchia le benemerenze di uomo politico e il suo alto valore di cittadino privato-., al fine di mostrare la decadenza dei costumi e l’avviata deriva della  società romana?

Marco, per Tacito mentre si consolida la forza del principato /principatus vim, crolla ogni concezione  socio-civile e morale  tanto che decide di  riferire solo le opinioni notevoli per nobiltà o per bassezza/insegnes per honestum aut notabili dedecore, ritenendo  compito precipuo delle annales  di preservare dall’oblio gli atti virtuosi  e di far sì che  contro le parole e le azioni disoneste  vi sia il timore  dell’infamia da parte della posteritàAnnales, III,65-

Marco esamina questa frase aggiunta:  Del resto  quegli anni furono talmente avvelenati ed insozzati dalla simulazione, che non solo i  più alti personaggi dello stato, ma tutti i consolari, gran parte di quelli che avevano esercitato la pretura  ed anche molti senatori  subalterni gareggiavano nell’alzarsi a proporre onoranze  scandalose ed eccessive!-ibidem.

Tacito giunge perfino  a concludere che Tiberio, ogni qualvolta usciva  dalla curia, fosse solito esclamare in greco o homines ad servitium paratos!/ tanto da scrivere: Scillicet etiam illum, qui libertatem publicam nollet, tam proiectae  servientium patientiae taedebat/ è chiaro che anche colui, che pur non avrebbe  voluto la libertà pubblica, era disgustato dalla abietta soggezione, da schiavi, dei senatori.

Professore, così, comunque, dà  segnali di stima per Tiberio,  un aristocratico che si vergogna del  comportamento di tutta la società romana, compresa la sua stessa classe senatoria, che,  ora, come il popolo è degna di servire, nonostante la cultura  libertaria italica ed occidentale! Il disprezzo del pastor per il gregge  diventa una lezione per il nipote intelligentissimo, Caligola!

Capisco, perciò, come il potere specie sovrano segna le coscienze degli uomini! Ma, ora nella lettera di Seiano all’imperatore  non c’è segno di  reale servilismo  ma solo obsequium formale con un tono amichevole ?

Certo Marco!  Seiano invita l‘imperator a tenere presente un amico,  che mira a godere solamente della  gloria  di una  parentela, deciso, comunque,  a non sottrarsi dai doveri professionali  impostigli,  in una rivendicazione di fedeltà  di un eques, suo strenuo difensore, desideroso  solo di voler vivere accanto  contro gli iniqui  risentimenti di Agrippina, attiva contro di lui, a causa dei suoi figlioli/ adversus iniquas Agrippinae  offensiones  idque liberorum causa.

Come  e cosa  risponde Tiberio ad una tale lettera e ad un amico, che vuole proteggerlo dalle insidie /offensiones dei Giuli (Agrippina e Figli)?

Tiberio, passati alcuni giorni di riflessione, convoca il pretoriano e gli comunica con molta diplomazia, non disgiunta da fermezza, dopo aver lodato la pietas  ed accennato poco ai benefici  ricevuti dal servitium, il suo rifiuto  al  matrimonio e lo motiva con precise  ragioni, avendo chiara la situazione  che in Roma già esistevano statue sue e del pretoriano, da venerare, e che i clientes suoi ormai erano anche del suo prefetto, ritenuto pars della sua domus!

Tiberio ha, quindi, ben compreso il piano  di scalata al potere del pretoriano, già nel 25!. Peccato che noi  non possiamo rilevarlo esattamente dalle fonti  storiche che hanno  prima e dopo la morte di Seiano un buco e a poco serve  il V fragmentum libri, che  si riferisce da una parte  all’anno 29  ma che sottende gli ultimi mesi di quell’anno, di tutto il 30  e tutto il 31 , tramandati in modo confuso, disordinato, volutamente criptato!

Eppure, furono gli anni tiberiani in cui accaddero  avvenimenti  controversi e gravi per la domus giulia, come la relegazione di Agrippina, l’esilio e la morte di Nerone Cesare, l’imprigionamento di Druso Cesare  e sua fine,  ma anche la morte di Seiano, improvvisamente  crollato! Infine le contemporanee notizie sulle staseis/ricolte   dei Frisi in Germania e  delle popolazioni aramaiche in Siria e in Giudea  a causa del fenomeno messianico  turbarono i cives romani che dovettero rimanere sorpresi dagli eccidi delle guarnigioni   circondate ed annientate prima sul confine eufrasico e poi nella capitale giudaica  dalla coalizione dei Parthi e coi Nabatei  coi giudei,  che proclamavano al grido di Maranatha  l’ arrivo del Signore e  il  suo malkuth/regno eterno, mentre tutta la pars orientale era coinvolta nella ribellione antiromana quando  Tiberio  non interveniva direttamente, affidandosi per il momento ai governatori,  che morivano,  quasi allo stesso tempo (Emilio Lepido- 33- a Roma  dove viveva dal 28 a seguito del richiamo dalla  provincia  di Asia, con  una certa indipendenza verbale; Pomponio Flacco,33;  Artassia,34 ; il tetrarca  Filippo 34 ) mentre  il praefectus  Ponzio Pilato  era costretto a  rinchiudersi, a  Cesarea, dopo il tentativo di frenare gli insorti a Gerusalemme e la costituzione del Malkuth ha shemaim e mentre Erode Antipa si  rifugiava a Macheronte!.

Di tutto questo  si conosce poco dalle fonti latine, poco da Plutarco e  Dione Cassio, poco da quelle giudaiche  e solo più tardi nel II secolo dopo la fine dell’impresa di Shimon bar Kokba,  apologisti cristiani e poi i padri della chiesa  risollevano il velo della  storia,  cominciando a tessere  una trama cristiana, chiara con i constantinidi e i teodosiani.

Comunque, professore del periodo 32-36  in Giudea ancora sotto il potere nominale di Ponzio Pilato, non  si sa  niente se non   qualcosa di vago e cronologicamente contorto, anche per la stessa impresa vitelliana, fissata  all’incirca  tra la fine del 35  e il 16 marzo del 37, raccontato in due anni in modo confuso da Tacito, che lo dichiara  espressamente  – Annales VI,38,1- e da Flavio secondo una logica giudaica manovrata  dal regime flavio, dominante,  aspirante ad essere domus soterica dopo l’anno terribilis dei quattro imperatori- tra cui un Vitellio, la cui stirpe è ovviamente esecrata -.cfr. Caligola il sublime e Giudaismo romano II ,cit. sulla spedizione di Lucio Vitellio  sulla politica di Sinnace,  sull’elezione romana di Tiridate e su Artabano III  e le popolazioni caucasiche, specie dopo la ribellione dei Cieti cappadoci,  puniti per ordine di Vitellio da  M. Trebellio , dopo la caotica situazione  in  Seleucia , a seguito delle lettere  intercorse tra Fraate e Ierone, satrapi delle più potenti prefetture parthiche (validissimas praefecturas  Tacito, Ibidem 41 ) e  i rapporti controversi di Abdagese -protettore e fautore di Tiridate , re inviato da Tiberio,- e  lo stesso  Artabano allora esule in  Adiabene,  secondo Flavio, Ant. Giud. XVIII!.

Professore, una situazione veramente caotica, incredibilmente intrecciata, forse, subito dopo la sconfitta  e il trattato di Zeugma!

Sono troppi, Marco,  i dubbi e non so dipanare bene la matassa troppo attorcigliata, considerata l’ambiguità delle fonti stesse, specie quella rimasta mutila di Annales  XI, giù trattante di Claudio!

Tacito, oltre tutto,  non ci aiuta  a capire, come nemmeno Flavio e nemmeno Dione Cassio e tantomeno Vitellio,-scrittore di Upomnemata–  anche se   si può intuire qualcosa e  comprendere   il mistero della impossibilità da parte di Tiberio di trovare un sostituto a Pomponio Flacco in Siria-, cfr. Annales, VI,26, 2,- dopo la nomina di E. Lamia, (prefetto di Roma  che, comunque, morì prima ancora di  avere  l’autorizzazione a partire per la Siria| – cosa che gli  aggiunse alta considerazione/dignationem addiderat): viene letto un messaggio di Cesare  nel quale deplorava  che gli uomini più valenti e più adatti   a comandare eserciti  rifiutassero tale incarico, tanto che  egli doveva ricorrere alle preghiere,  perché qualcuno dei consolari  si inducesse ad assumere il governo di  province !.

Un munus tanto onorifico,  rifiutato da tutti,  anche a seguito di preghiere da parte dell’imperatore , caro Marco, fa veramente pensare ad una situazione siriaca, veramente  micidiale, proibitiva, pericolosissima per un consularis, per cui bisogna ritenere che l’impresa di Lucio Vitellio sia ancora più grande di quanto abbiamo  per anni pensato, nonostante la sovrapposizione del giudizio dei  Flavi!  Il fatto che   proprio nel 34 anno  compare la  fenice in Egitto, cosa che si verificava post longum saeculorum ambitum/dopo una lunga serie di secoli , un uccello che  si vedeva a secoli di distanza come già detto da Erodoto-Storie, II,73-, poi notificato da Seneca- Lettere a  lucilio.XLII,1- e in epoca cristiana da Ambrogio –Hexaemeron, V,79- portatrice di eventi eccezionali in quanto l’uccello, quando è vicino a  morte costruisce un nido  e vi infonde il principio fecondatore /vim genitalem, da cui nasce  un nuovo uccello e che la prima cura di questo, appena  adulto,  è di dare sepoltura al padre, non temerariamente, (neque id  temere!) ma, dopo aver sollevato un certo peso di mirra e provato le proprie per un lungo tragitto, quando si sente capace di resistere al carico e  al volo, la fenice si addossa/subit il corpo del padre e lo trasporta all’altare del Sole, sul quale lo arde. Tutto ciò è incerto e arricchito da favole!-   

Davvero, professore c’è di tutto per favoleggiare! La fenice, simbolo di Christos è allora nel 34,  invece figura di Caligola neos Sebastos soothr per il mondo romano,  che  brucia il padre/Tiberio sull’altare del Sole/Ottaviano Augusto, allegoria alessandrina dell’ eternità del Regno nuovo del  principe Romano nella celebrazione dell’ektheosis del 40 d.C., poco dopo la vittoria vitelliana sui Parthi !

E’ possibile quanto dici in relazione alla mia supposizione ed affermazione, sottesa a Caligola il sublime,  Marco, se si legge Censorino, De die natali, XVIII,10  e si comprende la rinascita ogni cinquecento anni della Fenice. Ma, avendo il cristianesimo, in epoca constantiniana vinto sul paganesimo, il muthos  della fenice, che riappare ogni mille anni – Millenarismo!?- assume un altro valore quello di Lattanzio- De ave Phoenice – in cui Christos nikeths  è il theos, nomos empsuchos, segno di vita eterna per il cristiano!

Comunque, Marco, rimanendo sul 34 d.C. e sul  periodo oscuro di  uno o due  anni precedenti e successivi a questo,   si può dire di sicuro solo che  Tiberio, pur rimanendo a Capri, pur dando rilievo grande a Macrone  dirige l’imperium  cercando di regolarizzare  il mondo causasico, barbarico,  e di opporlo ad Artabano e ai parthi,  in attesa di una spedizione militare con un dux capace e fedele!  Sappi, però, che non si conoscono nemmeno le quattuor et quadraginta orationes contro Liviam- Non si sa se la causa è comune con quella contro Apicata o se sono due i processi per le due donne,  anche se sono  rimasti  lacunosi alcuni discorsi  del libro VI libro –  tra cui forse  dovevano essere quei 44  tenuti  in Livillam ( V.6.1)- dei quali Tacito riporta solo il discorso di un amico di Seiano, innominato, che,  avendo  deciso di morire,  non ha paura di attirare vergogna su di sé  e  malevolenza su Seiano!

Tacito così scrive: la sorte è mutata se (TIBERIO) colui che lo ha avuto collega e genero perdona  a sé questo errore,   perseguitando gli altri che scelleratamente accusano l’uomo che prima avevano vergognosamente blandito. Io non starò a  distinguere se sia miseria peggiore  essere accusato per amicizia o accusare un amico, non metterò alla prova né la crudeltà né la clemenza di alcuno, ma, con libera decisione e con l’approvazione  della mia  coscienza preverrò il pericolo. Vi prego di ricordarmi  non piangendo, ma piuttosto rallegrandovi di poter annoverare anche me tra quelli che con una morte onorata si sono sottratti ai pubblici flagelli – Ibidem, 1-3-.

Ti aggiungo, Marco che  Terenzio, pretoriano ed eques, come Pilato, in un momento   in cui tutti mentono,  a Roma, dove tutti rinnegano l’amicizia con Seiano   solo  lui rimane fedele  alla sua memoria  e pur accusato, lo difende dicendo in senato:  forse il riconoscere la colpa  gioverà meno alla mia condizione che non il negarla, ma, comunque la cosa debba finire, confesserò che non soltanto  sono stato amico di Seiano, ma  ho desiderato  divenirlo e mi  sono rallegrato di esservi riuscito!. L’avevo conosciuto come collega  del padre nel comando delle coorti pretoriane, più tardi l’avevo visto assumere contemporaneamente funzioni civili e militari/urbis et militiae munia -VI,8,2-. I suoi parenti e famigliari  venivano colmati di onori, l’intimità con Seiano era il titolo più valido all’ amicizia di Cesare/ut quispe Seiano intimus ita  ad Caesaris amicitiam validus -ibidem-.Quelli, invece, a cui egli era ostile, dovevano lottare con la miseria e con la paura. Io non prendo ad esempio nessuno: difenderò, a mio solo rischio,  tutti quelli che come me,  furono estranei ai suoi ultimi intrighi. Infatti noi non onoravamo Seiano  di Volsinii,  ma il membro delle  famiglie  Giulia e Claudia  congiunto ad esse  in parentela, il genero tuo, Cesare, il tuo collega nel consolato,  colui che esercitava le tue stesse funzioni  nel governo/Non enim Seianum vulsiniensem et Claudiae et Iuliae domus  partem, quas adfinitate occupaverat, tuum, Caesar, generum, tui consolatus  socium, tua officia in re pubblica capessentem colebamus.

Senti, Marco, come parla Terenzio che conosce il rapporto intimo  tra il suo capo e  Livilla nuora di Tiberio e il loro amore manifestato coram popolo quando Tiberio è assente, anche se non ha concesso il matrimonio: non tocca a noi  valutare  chi tu innalzi  al di sopra degli altri, né le ragioni  per cui lo innalzi: a te  gli dei  hanno dato il supremo  diritto di decidere  in tutte le cose e a noi rimane  la gloria di obbedire. Noi  ora  vediamo quello che accade sotto i nostri occhi, a chi tu dispensi ricchezze e distinzioni, a chi dài la massima possibilità di nuocere o di beneficare.  Nessuno potrebbe negare che Seiano l’abbia posseduta: indagare i sentimenti del principe,  i suoi disegni segreti è cosa illecita  e pericolosa, né d’altra parte si otterrebbe lo scopo.

Ascolta  la sua conclusione: non considerate, o senatori, l’ultima giornata  di Seiano, ma 16 anni della sua vita! Noi veneravamo Satrio e  Pomponio (due uscieri ministeriali):  essere conosciuti dai suoi liberti e persino dai suoi schiavi, che vegliavano alla sua porta, era ritenuto un vantaggio prezioso.  Che dunque? si dovranno per questo indistintamente  difendere tutte le azioni di Seiano? certamente no: ma si faccia una giusta distinzione: Si puniscano di tradimento  contro lo stato  e il complotto contro la vita dell’imperatore; quanto all’ amicizia e  ai suoi obblighi  la loro fine medesima avrà assolto da quelli te, o Cesare  e noi insieme! Per i pretoriani, per i senatori, per il popolo la coppia Livilla- Seiano domina, a Roma, avendo l’appoggio dell’Augusta, anche se è controllata ed ostacolata da Antonia.

Livilla giulio-claudia con Seiano,  onnipotente ministro tiberiano,  è la vera domina,  di fatto,  anche se non è  di nome! Claudio, suo fratello, è al suo fianco, contro Agrippina e suoi figli che pur protetta da  Antonia è costretta a subire  i tradimenti di molti dei suoi, a seguito della persecuzione congiunta di Tiberio e di Seiano, costretta a vedere  diminuire i suoi seguaci, specie  dopo  che accusatori  con un tranello, avendo sentito i discorsi di Tizio Sabino, accusato di lesa maestà, ne ottengono condanna di morte  (Annales, IV. 68-69-70 )  e dopo la cattura di Druso Cesare,  irretito dai discorsi dei seianei ed attirato dalle spie, che lo raggirano con la speranza di scalzare il fratello maggiore, allora vacillante ed insicuro, nonostante i diritti di precedenza alla successione  imperiale.

Tacito conclude dicendo: in nessun altro caso  Roma fu più costernata ed atterrita; ciascuno dissimulava  anche coi parenti più stretti  si evitavano incontri, e colloqui, ogni orecchio sia di amici che di sconosciuti era sospetto; persino  le cose mute ed inanimate, come il tetto e le pareti,  venivano guardate con diffidenza!( Ibidem 69.3).

Sul caso Sabino, portato dai pretoriani a morte,  oggetto di commiserazione,   lo stesso Tiberio  interviene  con un’accusa contro il consolare  di aver  corrotto i suoi liberti ed attentato alla sua vita: … il condannato veniva tratto  al supplizio con la bocca coperta  dalla veste e la gola serrata  e  per quanto gli era possibile, si sforzava di gridare che così si inaugurava l’anno, che queste vittime si sacrificavano a Seiano. Ovunque  volgesse lo sguardo  ovunque  giungessero le sue parole  era fuga e deserto: le strade  le piazze  si vuotavano  e certuni ritornavano poi indietro e si facevano vedere  di nuovo  spaventati dal fatto di aver avuto paura.- Ibidem 70.1-.

Pensa, Marco, che il primo dell’anno romano  è festivo e quindi  la giornata di norma si passa  in mezzo alle cerimonie sacre e agli augùri e nemmeno si possono usare  le parole profane, ora, invece si adoperavano le catene  e il capestro!

Anzi Tiberio,  secondo Tacito, l’aveva perfino studiata  e meditata  una tale azione perché  non si pensasse  che qualche cosa potesse impedire  ai magistrati nuovi  di aprire  il carcere  così come aprivano i templi e i santuari – Ibidem-.

Lo storico – ibidem- anzi aggiunge: infine l’imperatore ringraziò  i senatori di aver punito un nemico dello stato  ed aggiungeva che la sua vita era in pericolo  e che egli sospettava  insidie di avversari . Non indicava, però,  nessuno a nome, tuttavia ciascuno era certo che alludesse a Nerone e ad Agrippina!.

Dunque, professore, come lei già ha mostrato in Caligola il sublime, negli anni 28-31  a Roma  sono quasi tutti sianei, a detta anche dell’eques  pretoriano Terenzio, che è un’altra figura di Ponzio Pilato,  persona  solo più fortunata,  dello stesso ceto sociale e professione!.

Certo  Pilato, perciò, sa bene che al  suo ritorno in Patria l’attende un giudizio e che l’esito del processo non può essere diverso da quello di Terenzio, anche  se arriva in un momento veramente fortunato,  il più bello della storia romana in cui si crede che ci sia un neos prodigioso sul trono  imperiale,  Gaio Cesare (Caligola scarpetta-sandaletto per i militari, come Cassio Cherea,  che lo avevano visto piccino nel 15), che  avrebbe realizzato i sogni di ognuno sulla terra  e  riportato la mitica età saturnia, a seguito della  venuta della  fenice, uccello precursore del miracolo divino!

Marco,  per di più voglio mostrarti quello scriba -che tu  ingenuamente ritenevi potesse essere  Pilato – nel corso della  vicenda della  morte di Druso figlio di Germanico nel  33 –  Annales, I,23-24-, legata alla richiesta  di seppellire  Asinio Gallo ex marito della  sua ex moglie Vipsania ed amante di Agrippina, sua sorellastra –  fatta all’imperatore da alcuni – compianto da Tiberio, che, imprecando, dà la concessione, lamentandosi che  gli era stato sottratto un accusato senza che la sua colpa fosse riconosciuta  pubblicamente, come se in tre anni gli fosse mancato il tempo  per processare un vecchio,  che era stato console  e padre di tanti consoli/Scilicet medio triennio defuerat tempus  subeundi iudicium consulari seni, tot consularium parenti!

La morte di Asinio  determina  anche quella per Agrippina che conosciuta la morte di Asinio,  prende la decisione di morire di fame, saputo anche della morte orrenda del figlio Druso!  Il giovane, madre,  pur di mantenersi in vita, mastica  l’imbottitura del proprio giaciglio  per otto giorni/ cum se  miserandis alimentis , mandendo  e cubili tomento, nonum ad diem  detinuisset .

Eppure Tiberio aveva pensato nell’ottobre del 31, nel corso della novitas di Seiano, di opporgli proprio Druso, giovane  molto popolare  in Roma, in caso di sollevazioni plebee,  e sembrava, poi, chiusa la vicenda del pretoriano, che lo avesse  perdonato anche per le implorazioni della nuora, ed, invece, poi lo volle  far morire, preferendo la crudeltà al pentimento. 

Senti cosa capita a Druso  prima di morire:  si accanì contro  il  defunto imputandogli amori  infami, odio mortale contro  i suoi ed intenzioni ostili verso lo stato, ed ordinò la pubblica lettura del diario  in cui erano state registrate giornalmente tutte le azioni e le parole di lui: atrocità maggiore non fu mai veduta: che per tanti anni fosse stato a fianco di Druso  chi aveva l’incarico d spiarne il volto, i lamenti e perfino  i più segreti sospiri  e che l’avo abbia potuto udire leggere e produrre tutto ciò in pubblico,  sembrerebbe incredibile se  le lettere del centurione Attio  e del liberto Didimo  non designassero per nome  i servi che avevano respinto e spaventato Druso, ogni volta che tentava di uscire  dalla sua camera. Il centurione aveva riferito, come una grande  prodezza, anche le proprie parole  piene di ferocia  e le imprecazioni che il morente, fingendo dapprima un eccesso di follia, aveva lanciato,  quasi in delirio.

Povero giovane  e povera Agrippina! E’ vero, professore, che Tiberio fa un decreto per accomunare  l’evento della morte di Agrippina con  quella di Seiano   tra i giorni nefasti per lo stato, dopo aver fatto morire il giovane Druso?

Marco, su Agrippina – di cui Tacito  fa un breve ritratto  come donna incapace di equanimità ed avida di dominio, di un virago  con passioni virili,  che, comunque, nella prigionia si era spogliata di ogni femminile debolezza– Tiberio  osservò che lei era morta nel giorno stesso, in cui  due anni prima Seiano aveva scontato la pena e volle che tale coincidenza  fosse tramandata alla memoria  e diede vanto  di non averla fatta strangolare  né gettare nelle Gemonie: gliene furono rese grazie da senato  e si stabilì che  ogni anno  nel XV  giorno prima delle calende di  Novembre (18 ottobre),  data dell’una e dell’altra morte si facesse una offerta a Giove!.

Professore, grazie per avermi mostrato la morte di Druso e quella della madre, ma non comprendo il sacrificio a Zeus né il suo significato?

Marco, i romani, In caso di calamità pubbliche,  solevano fare sacrifici a Zeus, perciò Tiberio, scampato al pericolo mortale con Seiano e poi con Agrippina, ora vuole ringraziare la divinità  per la sua incolumità, per scongiurare, oltre tutto le maledizioni lanciate  contro lui dal nipote Druso.

Il vecchio fece fare suppliche  alla triade capitolina   per la  sua salute  temendo i  sinistri presagi augurati  all’avo di pagare il fio dei suoi delitti,   alla stirpe degli antenati e  ai discendenti, per aver  trucidato la nuora,  il figlio del fratello  e i nipoti, avendo riempito di stragi l’intera sua casa-ibidem-.

Aggiungi a questo la simulazione  dei senatori, che interrompono la lettura della lettera dell’imperatore,  fingendo esecrazione, mentre si insinuava in loro un senso di pauroso stupore per il fatto che un uomo  così astuto in passato e così abile  nel coprire le proprie colpe, ora fosse giunto a tale impudenza da offrire a tutti, quasi fossero abbattute  le pareti del  carcere, lo spettacolo del proprio  nipote sotto la sferza  di un centurione, colpito per mano di servi, implorante, invano, il sostentamento ultimo della vita-  Ibidem 24, 2-3-!

Tacito vuole mostrare non solo  il degrado morale  dei senatori ma anche  quello  della stirpe Giulio Claudia, anche se  talora evidenzia un certo  rigurgito di coscienza senatoria  come  quando, dopo il discorso  di Terenzio, pur votando  tutti  la morte dell’imputato, poi, come ravveduti,  condannano all’esilio o a morte anche gli accusatori, dimostrando che erano stati scossi dalle parole vere del pretoriano.

Anche questo,  comunque, professore,  rientra nell’XI libro,  certamente  tramandato,a seguito di molteplici manomissioni ed interpolazioni con  adattamenti  mirati e strumentali alle esigenze dei manipolatori trasmettitori e occidentali e cristiani!?

E’ sottesa la volontà comune di rimpasto senatorio  con elementi non solo italici ma  anche gallici, ben collegato con l’editto di Claudio  che è skopos, comunque, non unico  ben legato con quello di tramandare notizie sul ritorno a Roma degli ebrei e con quello di mostrare  la volontà imperiale di assicurare loro la libertà di culto, concessa a patto che cessino di considerarsi stirpe divina e di infangare i riti  degli altri popoli, degni di onorare ognuno  i propri dei: Claudio ribadisce  la libertà di culto a tutti i popoli e ridimensiona la pretesa giudaica di una superiorità religiosa, già punita dal nipote, dopo il privilegio  iniziale riconosciuto  da Cesare ed accettato da Augusto e Tiberio, che, dato opportunità di  vivere e prosperare  nell’imperium con propri politeumata, avevano fatto proselitismo e  creato un sistema  commerciale con emporia e con trapezai  tale da essere l’etnos dominante nel kosmos, essendo sparso in ogni parte dell’ ecumene, sviluppando un concezione di caritas nuova rispetto  a quella pagana   determinando un’epopea mercantilistica senza precedenti avendo la supremazia  economica e religiosa,  grazie alla protezione  romana  in una propagazione di un Dio unico, onnipotente  pater:  Claudio  nell’editto per gli alessandrini  dimostra  che oltre a conoscere la grandiosità del fenomeno economico  giudaico e la proliferazione  delle sinagoghe nell’impero romano dato il domicilio  giudaico in ogni città piccola o grande dell’impero  viventi secondo  la legge dei padri  protetti dalla lex romana,   vieta il proselitismo ed impone  equità religiosa  prescrivendo libertà di culto ad ogni popolo e limitando la superiorità giudaica  rigida nella sua coscienza di elitarismo religioso quasi fosse un popolo santo!.

E’ probabile che tutte le altre  forme  sono diversivi che coprono questo  segreto nel XI libro e forse anche in tutto il buco storico  cioè dare possibilità di interpretazione  utile a seconda degli enunciati tramandati in relazione ai tempi in cui volutamente  lasciati  come    tradizione tacitiana   per chi vincitore  fa la storia e  può manovrare sui documenti di uno storico, pietra fondamentale per ogni ideologia.

Lei vuole dire,  professore, che Tacito, da solo o con  altri storici, è  utilizzato  per  propri fini  da  giudei alessandrini  e poi da  christianoi  nel corso dei secoli, fino al momento del  concilio di  Costantinopoli quando necessita una certa chiarezza storica  su  Christos nato e morto dopo sofferenze  in epoca tiberiana in modo che possa diventare esemplare modello di vita come risorto dai morti e rimanere come ente vivente nella Ecclesia unica, santa, catholikh, apostolica.

Possibile che il testo del libro XI di Annales abbia un così grande valore  e celi un mistero, congiunto con tutti gli altri libri non  tramandati?

Marco, questo mi risulta  dal lavoro sui codici in cui tanti hanno cercato  probabili letture, operando dalla propria angolazione con serietà, senza teologali interpretazioni sacerdotali  interessate,  ed io ho fatto un’operazione scrupolosa, cercando  di trovare dati certi circa la venuta del Christos  senza pretese di  ritrovamenti sensazionali, cosciente, invece,  dell’insufficienza della ricerca e della debolezza del mio ingegno, soggetto spesso  ad equivoci e a gravi errori!

Lei, professore, ama lo studio di codici antichi,  ma io, che non ho  alcuna competenza e mi perdo nel ginepraio degli scritti antichi tramandati e non tramandati,   la prego  di trascurare questo argomento e di seguitare, invece  a mostrare i motivi  per cui Tiberio  non concede la mano di Livilla a Seiano, che pur vuole tenersi ancora amico.

Marco, Tiberio  mostra a Seiano che  lui non può comportarsi come un pater familias, privato, ma è  imperatore vir civilis, pubblico, che sa distinguere l’interesse privato da quello pubblico. Egli, come aristocratico, diversamente da Augusto eques, che  lui pur sempre ha seguito come esempio, è vincolato dalla pubblica opinione, tipica di repubblicani!. infatti Tiberio afferma che se  fosse  un privato avrebbe risposto che la decisione doveva essere di Livia, che dopo u  duplice matrimonio con patrizi si accontentava di vivere con  un eques , avendo come consigliere una madre ed un’ava.

Con questa sua affermazione  l’imperatore sottende  che ha messo in relazione da una parte Livia e l’Augusta  madre – morta nel 29 e quindi il rifiuto precede tale data!-  e da un’altra  Agrippina ed Antonia,  rivelando che è a  conoscenza della lotta interna  alla famiglia giulio-claudia (cfr. Caligola il sublime anche per la successiva richiesta di Agrippina di matrimonio, negata!) e, quindi, teme complicazioni nel caso di concessione matrimoniale nella sua famiglia già lacerata e divisa/in partes …distraxisset!

L’imperatore poi marca la non possibilità per Seiano miles et eques,  di rimanere in tale stato considerata la dignità di Livilla, già moglie  di Gaio e di Druso, in quanto i cives romani filogiuli, avendo visto  la potenza di Germanico fratello  e di Druso suo nonno,  non potranno sopportarlo, desiderando  per lei  un ulteriore grado di potere e quindi anche per il suo consorte,  essendo la donna, nobile, incapace di rimanere in uno Stato inferiore!

D’altra parte, oltre  alle voci della pars ostile,  ci sono anche dissensi tra i seguaci di lui,  Seiano,- che già ha superato  l’ordine equestre in quanto ora i magistrati cives si aprono la strada per chiedere  e  come  clientes  lo consultano per i loro affari, avendo  lui di molto superato gli amici  di Augusto,-  che, essendo  astiosi ed accusando l’imperatore, in effetti, negano il consenso

Perciò, Tiberio saggiamente respinge la  richiesta anche se sa che i due convivono e formano una coppia acclamata ed amata, come legittima in Roma! Comunque,  afferma che non segue l’esempio di Augusto che certamente, avendo  dato  grande rilievo a  Proculeio cognato di Mecenate – suo fervente seguace  nelle varie campagne specie quella alessandrina- cfr. Dione Cassio, St.Rom.,LIV,3, Plutarco, Antonio, 77; Orazio,  Carmina II,2, Plinio il vecchio XXXVI,59.,- lo premia, come fa  con  Marco Agrippa, eques  ( e poi con  lui stesso, patrizio) a cui concede   la  figlia Giulia,  per avere una discendenza propria!.

Lei ha mostrato le frasi sibilline di Tiberio alla  fine del  discorso imperiale di rifiuto al suo collaboratore -Annales  IV,41,7 : ecco quanto per amicizia non ho voluto nasconderti : del resto non mi opporrò ai disegni tuoi e di Livia/atque ego pro amicitia non occultavi: ceterum neque  tuis neque  Liviae destinatis adversabor!

Me le può spiegare?

Marco, in Caligola il sublime ho evidenziato che Tiberio  nega il matrimonio ma  si riserva per il futuro di ricompenare a tempo opportuno il pretoriano. Infatti rimanda  tutto ad un altro tempo  in cui  dice di sdebitarsi davanti al senato,  davanti al popolo e all’esercito, conformemente alla sua  gratitudine personale:  Ipse quid intra animum volutaverim, quibus adhuc necessitudinibus  immescere te mihi parem, omittam ad praesens referre/che cosa io abbia pensato dentro di me  con quali vincoli io ritenda  legare te a me come pari, io tralascerò di dire.

Seiano è convinto che il segreto pensiero di Tiberio sia immiscère te mihi parem cioè di associare te, eques  a me, pater,  come pari mescolando ed equiparando le dignità!

Questa è la conclusione:   io ti mostrerò solo questo/ id tantum aperiam monet  che cioè nihil esse tam exelsum , quod non virtutes  istae tuusque in me animus mereantur, datoque tempore vel in senatu vel  in contione  reticebo/ che non c’è un compenso tanto eccelso che le tue virtù  e i  tuoi sentimenti  nei miei confronti  non meritino.  A tempo debito  o in senato o in pubblica assemblea non ne tacerò! 

Mi è chiaro, professore, che Tiberio con la promessa  di associarlo all’impero  si mantiene fedele Seiano, che sa che i suoi sentimenti  e i suoi meriti hanno diritto ad un compenso eccelso, cioè  ottenere Tribunicia potestas ed imperium proconsulare maius, diventare Imperatore!

Dopo il rifiuto, convivendo ormai con Livilla, Seiano  per forza deve  cercare di convincere Tiberio a lasciare  Roma  per avere quies  prima in Campania e  poi a Capri -Cfr X  Caligola ilsublime  cit.- e così dimostrare di essere degno del governo di tutto l’impero.

Seiano, non volendo indebolire, però,  la propria potenza,  conosciuta l‘invidia di cives romani,  è indotto  a limitare il numero di Clientes per stornare  da sé i muti sospetti, le voci malevole,  l’odiosità di giorno in giorno   crescente…, inizia  ad allontanare la corte  assidua di  clientes  dalla  sua casa e  ad indurre Tiberio a vivere lontano da Roma in luoghi ameni /metuens  tacita suspicionum, vulgi rumorem ingruentem invidiam …  adsiduos in domum coetus arcendo…ut Tiberium ad vitam procul Roma amenis locis degendam impelleret.

Una così grande promessa da parte dell’imperatore diventa un capestro per Seiano ed anche per Ponzio Pilato, fedele seguace in Provincia!

Dunque, professore  secondo lei, Pilato che costruisce l’acquedotto e che paga col tesoro del tempio, incurante delle lamentele congiunte di sadducei e farisei,  conosce la  notizia della promessa di Tiberio al suo capo, avendo ricevuto lettera o  messaggi segreti che lo invitano ad agire contro i giudei?

Certo, Marco,  ciò che si fa a Roma diventa notizia  a  Gerusalemme nel giro di un settimana!  la  provocazione prefettizia aumenta con la certezza della raggiunta consociazione di potere imperiale  tra Tiberio e Seiano  che  risulta  quasi certa proprio quando è prossima la fine del pretoriano, essendo pronti i piani di Tiberio  per l’annientamento del potente ministro e di Livilla, già nell’estate del 31, quando i due ritengono di essere all’apice della loro fortuna!

A mio parere,Tiberio dux prudens e  cunctator per prima cosa interrompe il servizio di corrispondenza epistolare  pubblico  con le province e  lascia libero  quello privato  che Seiano è riuscito a avere nele sue mani tanto da non far giungere notizie reali a Tiberio, isolato a Capri, da Roma: la sola Antonia col suoi  agenti commerciali e coi  trapeziti può accedere alla corte caprina di Tiberio e giungere alia sua domus, sorvegliata dai pretoriani seianei. La denuncia  del tradimento ad opera  di Cenide (o Pallante) tramite lettera consegnata  a mano all’imperatore, con  la borsa dei sesterzi,  che  subito si assicura  il favore degli ammiragli della  flotta  del Miseno e coinvolge Macrone, il capo pretoriano della scorta imperiale a Capri e di milites ed equites campani, che è intermediario tra Tiberio e Seiano, staccandolo  dal suo superiore e legandolo con il capo dei Vigiles romani Lacone, in gran segreto, all’insaputa di tutti, coinvolgendo perfino  Druso  prigioniero, con la promessa di  liberazione prossima, tenendo all’oscuro il senato, infido strumento clientelare di Seiano, ormai imperatore alla pari di Tiberio,  venerato con statue proprie in Roma stessa come Augustus.  Tutto questo, Marco,  lo puoi, comunque, leggere , meglio, e in Giudaismo romano II e in  Caligola il Sublime!.

Grazie,  professore, la storia di Pilato e quella di Seiano  mi sembra di averla compresa bene e anche quella circa il Christos-  qui velatamente accennata- la cui storia vera è tra la I prefettuta di Pilato con Seiano e la II prefettura   senza Seiano.

In conclusione, professore, lei col Bios di Ponzio Pilato chiude il suo lavoro di revisione  storica  romano-ellenistica e  cristiana, con uno studio non solo su Tiberio e il suo tempo, ma anche  sulla  vicenda di Elio Seiano all’epoca prefetto del pretorio onnipotente  e  di quella di un galileo giudeo  aramaico crocifisso, Gesù Christos, divenuto successivamente fondatore di religione tanto grande da dividere la Storia, in ante e post Christum natum,  dopo aver rilevato la funzione methoria di Giulio Erode il filelleno?

Marco, i nuclei principali  del mio lavoro di revisione sono certamente   la figura umana di Gesù Christos con la sua impresa messianica, in epoca tiberiana,  la definizione della prefettura di Ponzio Pilato in Giudea 26-36 d.C., interrotta  da una stasis/rivoluzione  antiromana  dopo  la morte di Seiano  il 18 ottobre del 31  d.C., che risulta il periodo di Regno del Messia  tra il 32 e il 36, conclusasi con la vittoria di Lucio Vitellio sui Parthi e con la morte del maran aramaico, consegnato al governatore tiberiano di Siria, vincitore, oltre alla basileia  di Giulio Erode, figlio di Antipatro, un filocesariano destinato ad imporsi alla dinastia legittima giudaica degli asmonei, sostituita dal triumviro  Antonio  con gli  antipatridi.  Dunque, professore lei con la vita di  Erode ha mostrato, il contesto galilaico  della  nascita del Messia, di cui ha visto il regno e la morte con  il bios di Ponzio Pilato, per mettere in luce il valore cristiano delle formualaioni del Concilio di Costantinopoli  e rilevare il conflitto tra  la cultura ellenistica/ paideia e quella aramaica/ musar?.

Perciò, professore, ha impiegato  anni per la revisione della figura di Erode congiunta a quella di Ottaviano, eques nikeths ad Azio,  lo ha giustamente considerato o megas/il grande  per i meriti  di mediazione  nel  successivo venticinquennio tra i vincitori  latini occidentalie e i vinti   greci orientali, grazie anche ad una ammnistrazione  eccelente, in relazione alla  sua filoromanità e filoellenità ! in sinetsi dunque lei ha liberato dalla crosta secolare negativa cristiana  un Erode   ritenuto tiranno barbarico, ignorante, selvaggio assassino anche di bambini e lo ha connotato come civis romanus  iulius e poliths, poliglotta -parlava sicuramente tre lingue, aramaico greco e latino! –  come modello di turannos  orientale per la società  occidentale ed italica, ancora repubblicana, in lotta anvcora  tra la pars ottavianea e quella antoniana, restia al Regnum, proponendosi come emblema di basileus /monarca, proprio quando è attiva la propaganda di Mecenate  e del suo circolo letterario (Orazio Virgilio, Tito Livio ecc.).

Dunque, professore, lei, rivalutando Erode come filelleno, dopo averne rilevato l’appartenenza alla domus iulia e riconosciuto il merito di  aver  contribuito ad amalgamare il mondo occidentale latino con quello greco orientale,  a seguito del  tentativo di moderazione nella lotta interna  giudaica degli aramaici antiromani con i giudei ellenizzati filoromani, ne ha fatto il prototipo del methorios, dell’uomo al confine tra belligeranti, che getta ponti per la conciliazione  tra Romanitas e Parthia, al fine di una pacificazione generale, secondo la volontà imperiale, conseguita  in effetti nel 20 a.C., poi, palese  con la monarchia universale assoluta su base divina, di stampo caligoliano  (cfr. Il re legge vivente  e  Caligola il sublime).

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