La storia di una inimicizia è … l’ historia di un’amicizia!
Professore, ora che abbiamo ripreso la nostra conversazione abituale, desidero avere spiegazione ulteriore su Ponzio Pilato e le possibili relazioni prefettizie annuali scritte, inviate a Tiberio e al senato pe comprendere come il prefetto – con Seiano e senza Seiano – possa, nel corso della sua missione prefettizia in Iudaea, rimanere fedele al proprio partito, pur essendo tragicamente cambiata la situazione romana con la morte del suo capo, proprio quando si vedono i segni della reazione tiberiana!
Marco, tu vuoi sapere, in effetti, se cambia il modo di governare di Pilato, dopo la morte del pretoriano il 18 ottobre del 31d.C. e dopo l’evento del regnum di un Maran (basileus/re) aramaico in Iudaea, una regione romana: tu sei curioso di conoscere le possibili relazioni a Tiberio, cioè gli scritti apocrifi su Ponzio Pilato e la loro attendibilità! .
Io non credo di poter soddisfare la tua curiositas perché non ci sono, allo stato attuale delle conoscenze, scriptiones, redazioni scritte stabilite in una precisa epoca, con scripta certi, ma codici sospetti, tramandati in diversi tempi, tratti anche da differenti autori, poi assemblati in modo da essere etichettati come tacitiani o svetoniani o flaviani, utilizzabili per fini da determinare.
Gli atti di Pilato, certificati sono quelli da me indicati in Ponzio Pilato e i Governatori di Siria (Pomponio Flacco e Lucio Vitellio), se le fonti, autentiche, non sono state toccate da manipolatori, desiderosi di contestualizzare la vicenda umana del Christos in epoca tiberiana e di giustificare quanto stabilito in Concilia/Sunodoi cristiani del IV, quando la datazione Orientale è diversa ancora da quella Occidentale! Posso solo dire che, se c’è qualcosa, quel poco è supposizione in relazione ad una tradizione del II secolo, di Taziano nel Diatesseron – una sintesi dei quattro vangeli di un apologista che vagamente mostra vita e morte per crocifissione di un giudeo Galileo, che ha patito sotto Pilato ed è risorto dai morti – e del Vangelo di Nicodemo- apocrifo di un anonimo probabilmente degli inizi del IV, che contiene anche la Sentenza del procuratore e la Discesa agli inferi di Christos – cose tutte riciclate e riconfluenti negli scritti dei cappadoci (Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo), nel IV secolo ed infine accolte nella tradizione cristiana bizantina e medievale!.
Sono, quindi, professore, notizie non certe e in codici di difficile datazione, vista la storia imperiale secolare e le due lingue di trasmissione ufficiale, considerata la caduta dell’impero occidentale e la sussistenza di quello orientale bizantino, di lingua greca, fornito di scriptoria più adeguati per la trasmissione dei codici rispetto a quelli occidentali in mani barbariche. Perciò, professore, credo che l’ avvenimento della morte di Seiano, collegato alla prefettura di Ponzio Pilato – essendo un fatto di poca importanza nella stessa storia imperiale, seppure rilevante in quella tiberiana della domus giulio-claudia – diventi in epoca teodosiana effettivamente necessario e risulti ricerca storica per la fissazione degli enunciati dogmatici trinitari stessi, sulla famiglia giulio-Claudia, sull’età tiberiana e sul mandato di Ponzio Pilato e sulla morte del pretoriano, coincisa con l’inizio del Malkuth del Christos!.
Vedo, Marco, che ragioni davvero, nonostante il tuo credo, di un cristiano che crede pur quando ragiona! Sto scherzando bonariamente, mentre rilevo che hai ben compreso che la fine di Seiano necessariamente influenza il mandato del praefectus di Giudea, turbato anche dal successivo evento messianico, perché cambiano i suoi rapporti con gli altri governatori che devono dimostrare la loro fedeltà esclusiva all’imperatore e al senato, per mostrare la loro estraneità alla congiura del pretoriano, disgiungendosi dalle direttive seianee antigiudaiche. La morte di Seiano, Marco, cambia ogni cosa in Italia e in Roma – a cominciare dal ritorno nella capitale degli ebrei, che risultano subito numerosissimi, circa un decennio dopo, (cfr. Svetonio, Claudio XXV, Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantis, Roma expulit/ cacciò i giudei, che continuamente erano in tumulto per la propaganda di Cresto –del Messia buono?-) – in un momento di ripristino di costumi arcaici latini ed italici e di condanna dei culti druidici in Occidente – durante e dopo l’impresa britannica- ed anche in Oriente, di quelli giudaici. Nelle province, poi, rimangono invariati solo i vertici prefettizi, che sono confermati, mentre sono eliminati solo momentaneamente i pubblicani esattori del fisco imperiale, ritenuti inaffidabili da un Tiberio, intento ai processi romani contro i seianei, apparentemente disinteressato alla politica e in Occidente, anche dopo le sconfitte di L. Apronio ad opera di Frisi e in Oriente dopo la riconquista dell’Armenia da parte di Artabano III. Insomma la fine del pretoriano risulta un capovolgimento grandioso di politica in tutto l’impero romano e coincide con la Venuta del Signore Christos in un piccolo territorio, in un’area periferica ciseufrasica, insignificante, ma importante per la grandiosa attività del gazophulakion templare e per la funzione etnocentrica del Tempio di Gerusalemme!. E’, comunque, un evento di portata eccezionale, forse, allora, ingigantito dalla fama, perché inatteso ed imprevisto, poi, con gli anni ridimensionato e quasi dimenticato con le nuove dinastie imperiali e con i tanti fatti accaduti nella stessa zona – il bellum iudaicum, distruzione del Tempio del 70 e la galuth/dispersione ebraica del 135 d.C.- fino all’ epoca costantiniana e a quella teodosiana, le quali sanciscono la vittoria del Dio ebraico- cristiano, trinitario (Padre -Figlio-Spirito santo)!
Io so, professore, che per lei, storico laico e non cristiano, ha immenso valore la neoteropoiia caligoliana con ektheosis e non ha significato alcuno, perché muthos, la venuta di Cristo, un rivoltoso aramaico crocifisso, ma, per me, cristiano, la venuta del Messia sulla terra, annunciata dai profeti e proclamata dal precursore Giovanni Battista è un grande avvenimento tanto che la nascita di Cristo, uomo-dio, figlio del padre, concepito dallo Spirito santo, grazie ad una vergine, divide la storia, e la sua morte con patimento sotto Tiberio è esempio di vita per ogni credente, riscattato col suo sangue dal peccato di Adamo ed avviato alla salvezza eterna, in quanto battezzato e seguace delle orme del Soothr/ del salvatore, risuscitato dai morti! lo accetto lo studio della storia-pur sbagliata – divisa in Ante Christum natum e post Christum natum, – anche se so che questa divisione avviene nel VI secolo d. C. con Dionigi il Piccolo (che la fa partire dall’anno zero senza conteggiarlo – non esistendo allora lo zero – ed elimina la datazione per Olimpiade 777/6 a.C., quella Ab urbe condita 753 a.C., e quella, a cominciare dall’inizio del regno di Diocleziano 284 d.C., allora vigente )- e rilevo, secondo la nostra tradizione, un Cristo vivente in me stesso, conformato alla volontà di Dio padre, che, inviando nella pienezza dei tempi, suo figlio, ha redento l’uomo, avendo scelto l’età migliore augusteo- tiberiana, espressione somma della iustitia romana e stabilito il governatore di Iudaea Ponzio Pilato, ab aeterno, come giudice che – pur lavandosi le mani- condanna, a morte, Gesù, anche se proclamato giusto, ed inconsapevolmente realizza il piano divino storico di redenzione, facendo ricadere il suo sangue sul popolo giudaico e sulla casta sacerdotale, colpevole di un deicidio, e non sulla Romanitas!. So bene che, come cristiano, valuto secondo fides e non posso come fidelis, razionalizzare e fare storia con lei, ma ho desiderio di leggere e studiare, seguendo la sua visione razionale, terrena ed umana della storia!
Marco, devi fare subito chiarezza in te e fare una scelta tra fides e ratio, tra muthos e Historia!
Comprendo, professore, che ho bisogno di fare questo, ma ora sono in questa particolare situazione di incertezza e di dubbio: la sua doppia visione della figura di Gesù (una aramaica, conclusasi con la galuth adrianea ed una greco-ellenistica, vittoriosa) e forse il suo rilievo, pur giusto dei due Regni, distinti, quello dei Cieli secondo Giacomo il fratello di Gesù e i suoi fedeli, finiti tragicamente nel 135, e quello di Dio, costituitosi nel II secolo d.C. , in epoca antonina, ad Alessandria, mi sembrano logici, ma non mi convincono!.
Eppure lei ben rileva come in Alessandria in epoca antonina la presenza di un’ ecclesia con didaskaleion autorizzi una nuova impostazione unitaria cristiana!.
Ciò avviene sulla base di una ricostruzione di vangeli sinottici – iniziata dopo la distruzione del Tempio gerosolomitano, con revisione di tutto il materiale orale e scrittorio aramaico e greco, tra il 73 d.C. e il 135 d.C.- per cui è possibile la proposta di un altro Christos che si fonde con un’altra figura di Messia efesino, giovannea, sotto Antonino il Pio e si determina la nascita della religio cristiana sulla base di lettura veterotestamentaria di Filone – secondo ermeneutica alessandrina – e del pensiero del Neoplatonismo, in opposizione allo gnosticismo, in cui predomina un’altra figura del Christos, non più eroico martus del giudaismo, ma simbolo universale di amore e di pace, non più un rivoltoso Mastro/Qainita, ma un maestro di giustizia, connotato da cultura aramaica e da principi filosofici platonico-stoici!.
Lei, rilevando i segni di una religio composita, inizialmente non unitaria, contradditoria, connessa con quella antiochena, con quella efesina e con altre, eretiche, sparse in diverse sedi dell’ impero – che seguono vari indirizzi in relazione al pensiero di Paolo e di altri come Barnaba, Apollo alessandrino – pur non accettando la lezione della tradizione apostolica e quella degli apologisti e dei padri della chiesa, mi orienta verso altre soluzioni, mostrandomi più la grandezza della cultura greco-romano ellenistica che quella cristiana, in un momento storico, in cui c’è il tentativo di unificazione e di koinonia dell’impero romano, che fa gradualmente di tanti popoli uno solo popolo, assicurando pax ed iustitia, nonostante la peste antonina e le tante vicissitudini umane e terrene di una costruzione imperiale grandiosa, ma pur sempre di uno stato umano!
Io sono preso e turbato da tutto questo nuovo mondo ideologico storico, che sconvolge quanto ho finora considerato un bene culturale e un bene reale per il mio vivere quotidiano e dei miei figli!. Mi trovo, dunque, professore, ad un bivio in quanto ho problemi di accettazione della mia stessa tradizione culturale ed ora, in questo lavoro, su Ponzio Pilato, sento di dover confessare i miei dubbi e mi devo scusare con lei, mio maestro, in quanto capisco che lei ha una visione storica razionale, impossibile da conciliare con quella irrazionale religiosa e riconosco la sua visione più alta e filosoficamente più complessa poiché mi mostra un’ età come quella augustea e tiberiana, senza aloni e senza pregiudizi, simile ad ogni altra storia imperfetta, anche perché è un momento tipico di passaggio tra lo statuto della res publica e quello del principato ad opera di un eques, come Ottaviano, sostanzialmente scaltro attore, grande politico ed eccezionale amministratore che, grazie ai suoi meriti di dux vincitore nella guerra civile contro Antonio, è salutato Augustus/Sebastos avendo potere tribunizio e proconsolare da un senato, che lascia delegittimare le cariche consolari e pretorie, autorizzando la nascita di una basileia universale divina anche in Occidente, tra infiniti contrasti, contraddizioni e congiure.
Lei mi svela, così, un’altra storia diversa da quella del muthos cristiano, della nascita di un Christos/Chrhstos tra canti angelici e tra pastori e magi che portano doni, in un mondo di pace, in un momento di fratellanza universale, voluto da Dio e scelto per la venuta sulla Terra del suo unico figlio! lo vedo ben altra realtà storica umana e terrena!
Marco, mi dici tutto questo, riassumendo perfettamente il mio pensiero, con la volontà di seguitare insieme il lavoro o per chiudere qui, con un rifiuto, la nostra comune ricerca storica, anche se cerchiamo di essere leali con noi stessi, realisticamente efficienti, concreti e razionali?!
No, professore, io voglio capire la storia Tiberiana, il periodo reale di vita e di morte del nostro Gesù! Desidero seguitare e lavorare con lei perché ora non so conciliare il cristianesimo col regno di Tiberio – che noi cristiani consideriamo momento utile ai fini della nostra salvezza! Noi riteniamo che la morte del Signore sia necessaria ai fini dell’oikonomia tou theou, per il bene dell’uomo, e voglio capire come e quando e perché inizia il muthos cristiano della deificazione del Christos: la figura di un giudeo di Galilea, aramaico, meshiah, kain, kanah, maran- che nasce, però, non a Roma, ma in ambiente alessandrino, fondatore di religio, rimasto più o meno nascosta nell’ impero fino al IV, per avere, poi, una sua costituzione anche romana come ecclesia antiocheno- alessandrina, costantinopolitano/romana, connessa con quella originaria gerosolomitana!.
Marco, ti ringrazio per la tua fedeltà, e per la sagacia con cui hai sintetizzato il mio razionale pensiero, opposto a quello mitico cristiano!
Io, professore, ringrazio lei, che segue la sua strada storica e che in situazione storica, mi mostra la morte di Seiano nel suo reale valore nella storia romana e mi permette di dare un giudizio su Pilato e su Christos stesso, che risulta solo un galileo che fa una stasis rivolta contro Roma, perché aramaico di cultura / musar mesopotamica, collegato coi fratelli transeufrasici, punito perché proclamatosi maran/re di Iudaea-, con l’aiuto di sovrani di una confederazione di stati antiromani, capeggiati da Artabano III re dei re, costretto ad arrendersi all’esercito di Lucio Vitellio, che, dopo il trattato di Zeugma, stipulato col re arsacide, ha assediato Gerusalemme, che arresasi, lo consegna ai Romani e a Pilato, reintegrato nelle sue funzioni prefettizie, dall’esercito vincitore.
Io, cristiano, avendo letto la Morte di un Dio in italiano e in inglese (The death of a God), tradotto da Sue Eendermans, sono debitore a lei di avermi fatto una lezione su Pilato seianeo, un praefectus, eques e pretoriano tiberiano, inflessibile, che, dopo la morte del Signore e l’eccidio dei samaritani, è indagato e processato anche lui a Roma ed inviato in esilio, dopo la morte di Tiberio, da Caligola, neos sebastos/ nuovo augusto, il vero portatore nel mondo romano di un kronikos bios/ vita saturnia, perfetta, un’età dell’oro!
Bene, Marco.
Ti aggiungo che Eusebio, storico del cristianesimo nel IV secolo, – Cfr. Lo “storico” cristiano – considera divino Costantino e XIII apostolos,-avendo vaga coscienza dell’epoca tiberiana e quindi dei fatti prima e dopo la morte di Seiano- e ha interesse solo a mostrare che Gesù, nato sotto Augusto, muore, patendo, sotto Pilato, in epoca tiberiana. cfr. Lo “Storico” Cristiano in www.angelofilipponi.com
Marco, sono passati quasi trecento anni dalla morte di Cristo al momento della fondazione di Costantinopoli, la nuova Roma, la capitale dell’impero e sede nuova del patriarca cristiano, collegato più con i patriarchi orientali di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme che con quello romano occidentale!
Ti notifico, poi- cfr. Amici cristiani perché diciamo Credo? ebook Narcissus 2015-che solo nel 381d.C. nel concilio di Costantinopoli c’è l’aggiunta storica in lingua greca su Gesù, crocifisso, che patì sotto Ponzio Pilato!. Di questo abbiamo parlato in altre sedi -cfr. Ambrogio e la celebrazione del Natale– ; ora, comunque, dobbiamo riprendere il lavoro sul periodo tiberiano, e fissare l’attenzione sugli anni, che precedono la morte del capo pretoriano e quelli che seguono, come appendice della scoperta di un tradimento nei confronti dell’ imperatore, che, in un certo senso, l’ha permesso ed autorizzato con la sua graduale rinuncia a regnare e col suo ritiro dal negotium, rimanendo in otium a Capri, avendo, di fatto, abbandonato il governo dell’ impero ad altre mani, considerate degne di fiducia, quelle di Seiano (e quelle di Claudio)!.
Professore, lei mi stupisce e sorprende coinvolgendo nella congiura anche Claudio, il fratello di Germanico e di Livilla?
Si. Marco! Claudio è la figura nascosta sotto il potere di Seiano, quasi un delegato segreto di un Tiberio, che rinuncia, dopo la morte del figlio Druso Minore, a regnare, quando è vicino alla settantina, ed ha qualche acciacco fisico- di cui non vuole curarsi perché non ha fiducia nei medici ed è persona facile a cambiare di umore, incupita ed incattivita!
La volontà di rinuncia, anche io l’ ho potuta capire, professore, leggendo A Roma con la madre, fino al 26 e La tragedia di Agrippina e dei suoi figli in Caligola il sublime (Cattedrale, 2008 )-, e rivedendo attentamente, su sua indicazione, Tacito, Annales, IV, fragmentum V, VI e XI! Lei, dunque, mette sotto accusa anche Claudio, l’imbelle figlio di Antonia, ridicolo scherzo della natura per la madre stessa, e lo considera letterato ambizioso ed arrivista, disprezzato dalla sua stessa famiglia più per la sua conformazione fisica, che per il suo animus?
Per me, Claudio, disprezzato dalla madre, dalla nonna e da Augusto più per il corpus che per la mens, considerato segnato da imbecillitas da Tiberio, è personaggio da osservare attentamente nei comportamenti e leggere le sue reali azioni, specie nel periodo dominato da Seiano che, coi pretoriani, terrorizza l’ambiente romano, avendo instaurato un clima di odio, di parte!.
Dica, allora, professore, cosa succede a Roma e nell’impero romano a me che leggo, ancora, gli avvenimenti degli anni tiberiani 14- 25 e i successivi fino alla morte di Seiano, in chiave mitica cristiana?
Marco, riprendiamo il nostro lavoro e cerchiamo di approfondire gli 11 anni circa, in sospeso, centrando la nostra indagine più che sulla fine di Seiano, su cui abbiamo fatto indagine altrove in Jehoshua o Jesous ? in Giudaismo romano II e in articoli del sito- sul rapporto tra i pretoriani e Seiano, tra il senato cliens e il pretoriano al momento del trasferimento di Tiberio a Capri- cosa anch’essa esaminata in Caligola il sublime- e fissiamo, quindi, la nostra indagine sugli anni precedenti e successivi la morte del prefetto del pretorio, che è basilare per il nostro studio su Ponzio Pilato.
Dunque, professore, in questo modo mettiamo in osservazione quasi tutto il periodo di 23 anni, tanto da poter avere possibilità di un’altra lettura dell’epoca stessa tiberiana, considerata, però, in funzione della lettura di quella caligoliana!?
Marco, mi sembra che tu abbia qualche dubbio ancora e che stia equivocando storicamente forse perché pensi che in Oriente si abbia la stessa coscienza storica occidentale!. Sapessi, Marco, come si conosce male la storia romana occidentale da parte di Eusebio (perfino di Giuliano l’apostata!) – e dei Cappadoci! Non so, Marco, comunque, esattamente cosa risulterà da questa indagine comparata, essendo incerto, data l’ambiguità del testo tacitiano, specie per le lacune del quinto libro e i primi capitoli dell’attuale VI libro e dell’incipit stesso del XI libro di Annales – cfr. Annales, a cura di Azelia Arici, Utet,1969 – da me esaminati e studiati per l’individuazione esatta di Il Buco storico www.angelofilipponi.com (cfr. Taciti Annales, Teste établi et traduit par H. GOELZER,1923).
So solo che dalla lettura tacitiana viene fuori un Tiberio molto provato dalla morte di Druso – nonostante la valutazione storica di indifferenza, di apatia e di anaffettività di un pater familias (cfr. F. Arnaldi, Le idee politiche morali e religiose di Tacito, Roma 1921 e C. Marchesi, Tacito, Messina 1924)- da quella del nipotino Germanico Gemello e da quella di Lucilio Longo – ex console del 7 d.C., un caro amico, l’unico sempre presente nella sua vita! – ed amareggiato dalle manovre della madre, congiunta con quelle di Livilla, sua nuora (Tacito, Annales, IV, 15) – pressato da Seiano, che lo incita a ritirarsi dal Negotium e da Antonia, che, invece, gli ricorda il dovere, aristocratico, di regnare per la difesa dei suoi stessi nipoti! L’imperatore, ancora stordito dalle disgrazie, che va girando per le ville campane alla ricerca di un rifugio, dove vivere in otium, è figura tragica, letteraria, retorica!.
Ti è chiaro questo aspetto della vita di Tiberio? Ti è chiaro il concetto di negotium come attività politica in Roma e di otium come riposo dallo stress del comando e della politica imperiale, come un andare in pensione, lontano da ogni cura/preoccupazione degli affari di famiglia e di stato, di persona decisa a vivere privatamente per godersi la quiete della natura per dare sfogo ai suoi reconditi piaceri, gusti, ed anche ai vizi e passioni senili, in una libertà sfrenata bambinesca, in relazione al proprio stato finanziario -economico, essendo il dominatore del mondo, l’unico pastore del gregge umano? Hai, davvero, compreso il telos tiberiano di sistemare, pur restando in ombra, nel modo migliore possibile, l’impero immenso romano, affidandolo ad Elio Seiano, l’uomo migliore, scelto come sua immagine, in quanto parente, il più affidabile fra tutti, come amministratore, reggente politico e militare, l’unico degno della stirpe augusta claudia, capace di essere patronus, in attesa della maggiore età di Tiberio Gemello, abile ad eseguire fedelmente i suoi mandata di distruzione della domus Iulia e della stirpe giudaica, filogiulia, avente nel suo seno molti elementi Iulii ?!
Professore, al di là se ho chiaro o meno i problemi da lei posti, a seguito della morte di Druso, su cui abbiamo trattato a fondo, la fonte tacitiana, a mio parere, comunque, dipende da autori a noi ignoti, e sembra condizionata ora da Flavio ora da altri scrittori a noi sconosciuti, forse dallo stesso Lucio Vitellio, mentre quella di Cassio Dione è troppo lontana, anche quando segue Velleio Patercolo e non è attendibile perché, avendo come idolo Augusto, lo ritiene basilare per la costruzione della Basileia dei Severi. Comunque – anche se non capisco tutto e non so operare sulle fonti e sui testi, per lei tramandati con precisi scopi – il significato di negotium l’ho avuto sempre chiaro fin dalle prime lezioni, che mi ha fatto!. Non occorre che mi rifaccia l’etimo di nec otium come negazione di otium -non attività politica – e quindi come pratica e lavoro politico per il benessere pubblico, in quanto di tratta di attività propria di vir minister/ diakonos /servo del popolo, da cui riceve, oltre che dal sovrano, mandato di realizzare i propri sogni! Ho, dubbi, invece, sul silenzio dell’ imperatore per la morte del figlio e circa il successivo telos tiberiano, oltre al mandatum al pretoriano che, con la sua azione di repressione selvaggia e di feroce persecuzione ai giuli e ai giudei mette la sua faccia crudele per coprire quella del buon pastore del gregge dell’imperatore divino ed aristocratico, già mostrata nel corso della persecuzione romana giudaica!
Marco, forse qualcosa -se non tutto- si chiarisce se, lavorando insieme, eliminiamo gli equivoci di comunicazione, nei cinque anni imperiali “caprini”- trascorsi dall’imperatore in solitudine, dorati e passionali- tra Tiberio dominus assente e il suo apparente fedele cane, ministro onnipotente, venerato come divino anche lui, di nome, passivo esecutore di ordini e pubblico ufficiale, sempre in missione segreta!
Bene. Procediamo, allora, e rileviamo il comportamento dell’imperatore, senex, nauseato dalla politica e soprattutto dalla corte, ora divisa nel 25 d. C. tra fautori dei claudi e fautori dei giuli, essendo ormai la casa dei cesari /caesarum domus scissa in due partes, che fanno capo l’una a Seiano, suo factotum, con l’augusta Livia e Livilla, i pretoriani e gli amici, militari e giuristi, oltre al mago personale Trasillo, – unico goes non cacciato nel 19 d.C. perché vir scienziato/ anhr spoudaios kai sophos– l’altra ad Antonia Minore con Agrippina maior, i suoi figli e il codazzo di ex legati di Germanico, e la maggior parte del popolo romano!.
C’è una frattura incolmabile tra le partes aristocratiche, ambedue divine, in lotta, da un lato, e, tra il senato e il popolo, da un altro!. Tutti sono sudditi che assistono, impotenti alla esecuzione dei comandi imperiali, non palesi, e riversano odio verso i pretoriani e il loro capo, autore di misfatti sui giudei e sui Giulii innocenti, annientati dai Claudi!.
Tiberio, durante quei lunghi mesi, di lutto, è diventato, nonostante la dignitosa iniziale presenza al senato per la normale amministrazione, insofferente davanti all‘augusta Livia, madre provvidente, ma sempre invadente e schiacciante, data la sua venerabilità per il popolo e per l’esercito, in quanto simbolo dell’imperium, augusteo, ora anche innervosito dalle accuse velate di Antonia minore – donna da lui stimata inviolabile nella persona, quasi vestale, e per la nobiltà e per l’integrità di vita e per la amministrazione dell’oikos antoniano e in Roma e nelle province, vedova di suo fratello morto, – di non difendere i figli di Germanico, eredi legittimi al trono, dalle insidie/insidiae/diabolai di Seiano, considerato da tutti quasi un parente dell’imperatore, fedele esecutore di ordini.
Seiano! un parente?
Si! Un parente! Marco.
Dal 20 d.C. si ha una coniunctio familiaris tramite legami di Seiano con Claudio, che è nipote dell’imperatore, in quanto la figlia del pretoriano e di Apicata è promessa sposa a Druso- giovinetto sfortunato, destinato a morire soffocato da una pera che tirava in alto e riprendeva a bocca aperta, a Pompei!- figlio di Plauzia Urgulanilla e di Claudio, pater familias della domus Claudia, fratello di Livilla e del defunto Germanico! Ricorda, Marco, che Claudio è il capo della domus Claudia dal momento in cui nel 4 d.C. suo fratello Germanico passa per adozione alla familia Giulia Augusta e diventa Gaio Giulio Cesare e sposa Agrippina Maior, figlia di Giulia Maior! Sappi che, per Antonia, questa coniunctio familiaris, seppure collaterale, è già un male, in quanto la donna considera Tiberio, già politico riluttante, vecchio, non più vigoroso e potente, come prima, ed ha scarsa considerazione per il figlio, uomo non certamente degno della stirpe, in apparenza, date certe deformità, facilmente condizionabile, quasi sempre scemo e nebuloso, privo di affetti ed insensibile, incomunicabile, in preda a continue agitazioni, ad uno sfarfallio di mani, con difficoltà ambulatorie, anche se geniale- troppo geniale- in alcuni campi!
Claudio, rappresentante di Tiberio, per la madre, è un pericolo ulteriore per la famiglia giulia! Marco, al di là dei giudizio negativo della madre sul fisico – portentum eum hominis nec absolutum a natura sed tantum incohatum/ una caricatura di uomo non finita ma soltanto abbozzata -e sulla stoltezza del figlio tanto che diceva a chi si comportava stoltamente, ridendo: sei più stupido di suo figlio Claudio/stultiorem …suo filio Claudio !-
Claudio è, comunque, capo della domus, utile ai fini di Seiano e di Tiberio. Per il pretoriano la figura di Claudio, come consuocero può giovargli nel corso delle accuse dei giuli, anche se conosce il giudizio stesso di Augusto – che, d’altra parte, soffriva a vedere un tale nipote disabile, e quindi neanche prendeva in considerazione Claudio per la successione, nelle sue lettere alla moglie Livia, riportate da Svetonio (Claudio,IV), – convinto che abbia l’auctoritas propria di elemento della famiglia imperiale.
La stessa cosa aveva fatto Tiberio che, però, lo aveva designato, comunque, a celebrare l’elogio funebre del fratello Germanico – incaricandolo di accogliere la famiglia di Agrippina, che tornava dalla Siria, con Druso Minore suo figlio, a Terracina, per scortarne le ceneri fino alla tomba di Augusto -. A trenta anni circa, Claudio appare, dopo la morte di Germanico, l’elemento maschile, predominante del ramo familiare di Druso Maggiore, nonostante l’aspetto fisico, la stranezza comportamentale e l’allineamento filoseianeo, opposto a quello della madre, sostenitrice del ramo Giulio, adottivo, della sua familia, designato da Augusto all ‘impero!
Ora, poi, come consuocero nominale di Seiano, Claudio, dato il fisico da malato, considerata la presunta instabilità mentale/imbecillitas, non potendo imporsi sull’aitante pretoriano, lo segue, essendo lui patronus degli equites, come se fosse un suo uomo ombra – e non un suo superiore!-, infastidendo probabilmente lo stesso Druso minore, console per la seconda volta e poi reggente in Roma, designato futuro successore al trono, facendo innervosire anche la madre Antonia.
Sappi, Marco, che, inoltre , morto Druso, Claudio è incaricato di fare anche l’elogio funebre del cugino, figlio di Tiberio, marito di sua sorella Livilla!.
Ti aggiungo che dalla mia angolazione risulta che la domus Iulia essendo privilegiata rispetto a quella claudia, in questo periodo, sembra destinata alla successione, secondo il volere di Augusto, e cheTiberio apparentemente ha intenzione di far iniziare la carriera politica in anticipo, presentandoli ufficialmente in senato, prima Nerone Cesare, primogenito di Germanico, poi Druso Cesare, secondogenito, avendo affiancato, però, a Seiano, suo nipote Claudio, essendo lui vir, come guida indiretta, claudia, del corpus pretoriano.
Professore, la figura di Claudio (la cui imbecillitas rilevata da Tiberio ha valore solo come debolezza fisica nelle gambe, specie nella ginocchia e nelle mani, e genericamente per lo stato di corpus, vires e valetudo / salute del nipote, -cfr. Ritratto di Svetonio, Claudio, XXX- non tanto per l’animus o la mens) era inadeguata a contenere l’audacia di Livilla e di Seiano, ambiziosa coppia, desiderosa di essere riconosciuta legittima dall’imperatore, già convinta di potere dominare Roma e l’impero, in assenza di Tiberio!. Claudio, educato da servi e legato alle donne -Svetonio, Claudio, XXXIV libidinis in feminas profusissimae, marum omnino expers/ !- è uomo che si è conformato alla logica servile e femminile, senza, però, esserne succube, anzi ha capacità di demandare il comando, come tutti i membri della famiglia claudia, abili a far partecipare gli altri e a coinvolgerli!
Certamente, nella sua vita, ci sono eccessi e stranezze, riconosciuti come incredibili anche dagli scrittori che, a stento, tramandano le notizie circa il carattere e il comportamento di Claudio, che autorizza la negatività di giudizio da una parte e che, da un’altra, risulta persona di ristabilizzazione e di restaurazione dei valori repubblicani, in momenti storici di gravissimo pericolo, ancora di più per uno già menomato fisicamente, titubante ed incerto per la mancanza di fermezza, in situazione concreta, in quanto privo di una visione sistemica generale a causa di tanti poteri decentrati, burocratici, a seguito del fallimento dell’opera del nipote, sebbene sublime e geniale accentratore politico!.
Certo, Marco, nulla avrebbe potuto Claudio, – uomo deriso all’epoca tiberiana e caligoliana, se si fosse opposto alla violenza pretoriana! solo durante il suo regno, accettato ed alonato dai letterati del regime, agisce in autonomia, confortato dall’aiuto di altri, forse ben scelti, e mostra il suo reale valore di uomo non come letterato, ma, da pratico, anche se poi viene di nuovo dileggiato con maggiore violenza, offeso nella sua persona dopo la pubblicazione comica e satirica dell’Apokolokuntosis di Seneca- da lui esiliato in Corsica- che ne fa un’ apotheosis al contrario, mostrando un imperatore morto avvelenato dalla moglie Agrippina con un fungo, come condannato a stare in una zucca a giocare eternamente a dadi! Claudio è visto fin dalla scena iniziale del suo arrivo in cielo, al cospetto di Heracles che lo interroga e di Augusto, che non riconosce come suo familiaris un omone claudicante, handicappato che balbetta, che scuote continuamente la testa! La condanna finale del povero Claudio, servo dei servi e delle donne, avviene in un processo – ludus, il cui verdetto di inzucchefazione è indegna letteraria vendetta di Seneca verso chi ha ampliato l’area senatoria, dando possibilità ad Ispanici e a galli di sedere nel supremo consesso romano ed ha pacificato il mondo dopo Caligola ed ha ingrandito l’imperium romano, burocraticizzato in ogni singola parte!
Certamente, Claudio diede eccessivo rilievo a Polibio minister a studiis– aiutante negli studi e nella scrittura, a Narcisso suo segretario ab epistulis, a Pallante – a rationibus– suo intendente e a tanti altri che, certamente, approfittano della sua meteooria, ma sono uomini addetti alla sua cura, schiavi liberati da sua madre Antonia, fedelissimi, strapagati, svolgenti funzioni da burocrati ministeriali, liberti che lo fanno svagare giocando a dadi, tra le pause di lavoro, uomini utili per lo svolgimento di processi, che lui curava scupolosamente, uomini che procurano amanti e mogli ad un geniale letterato, libidinoso, insicuro nella sua accertata disabilità, con l’intento segreto di distrarlo e di trarne qualche beneficio, al momento opportuno! Certamente, Claudio non è sovrano assoluto come voleva essere Caligola, ma svolge una politica di gabinetto ministeriale, essendo capace di creare consensus in un gruppo dirigente ristretto, abile , comunque, a dare un’ unitaria direttiva all’impero, approfittando perfino dei tanti contrasti interni dei ministri, ambiziosi, che seguono obbedienti ai loro specifici mandati come se fossero legati di un dux supremo, che ha trasferito l’ordine militare nel servitium amministrativo, economico-finanziario e politico.
Così il pur disabile Claudio riuscì ad amministrare bene il suo regno migliorando l’economia provinciale e provvedendo al benessere di Roma e dell’Italia, ai bisogni locali dando rilievo agli equites e ai liberti e fece perfino la conquista della Britannia, dopo aver pacificato l’Oriente e mobilitato l’occidente- specie la Gallia , dopo la definitiva soppressione dell’elemento dei Druidi, un particolare sacerdozio che con le sue teorie e riti religiosi congiungeva la Britannia alla Gallia – per la sua impresa militare a cui volle perfino partecipare fisicamente per sei mesi, dopo lo stanziamento a Lugdunum, sua patria!
Certo, nella sua vita i tanti eccessi narrati dagli storici mostrano l’incredibilità con inverosimilità dei fatti accaduti specie circa il tradimento di Messalina, e circa la scelta della nuova imperatrice, dopo l’uccisione della moglie infedele ninfomane, capace di farsi firmare anche l’autorizzazione all’adulterio con Mnestre, obbligato a sottostare alle sue voglie sessuali con un decreto imperiale!.
Tacito stesso ritiene incredibile l’episodio romano di Messalina che si sposa con il console designato Silio a Roma quando il marito imperatore è ad Ostia con le due sue amanti Calpurnia e Cleopatra, che, tra i giochi sessuali, rivelano il tradimento, in atto, della coniuge! L’ autore si vergogna, considerando la cosa ridicola, anche se Claudio è il bersaglio di comici, di letterati e della critica storica , tutti allineati con il giudizio stesso negativo della madre Antonia e dello stesso Augusto, di Tiberio e di Livilla e di Gaio Caligola, come uomo non in grado di svolgere nessun incarico di governo e tanto meno il mandatum tiberiano di controllo del pretoriano!
Così avevano detto e pensato di Claudio, Augusto, Tiberio e Caligola e così poi la storia ha deciso ma … la verità storica è diversa se esaminiamo quanto scrivono Tacito e Svetonio e Cassio Dione , congiuntamente ad altri, rilevando la diversità di fonti e i tempi di scrittura.
Tacito confessa: parrà- lo riconosco-quasi una favola che vi sia stata da parte di qualche mortale tanta tranquilla impudenza in una città, dove si sapeva tutto e non si taceva nulla, tanto meno il caso di un console designato, il quale venga congiunto in matrimonio con la moglie dell’imperatore, in un giorno prestabilito, davanti a testimoni pronti a suggellare l’atto, quasi unione legittima, volta a procreare discendenza; e ch’ella ascoltasse le parole degli auguri e si ponesse in capo il flammeo e sacrificasse agli dei e che sedesse a banchettare in mezzo ai convitati tra baci ed amplessi, e finalmente trascorresse la notte in coniugale abbandono. Eppure nulla è stato inventato a fine di sbalordire, io riferisco quello che ho udito dai vecchi e che essi hanno scritto/Haud sum ignarus fabulosum visum iri tantum ullis mortalium securitatis fuisse in civitate omnium gnara et nihil reticente, nedum consulem designatum cum uxore principis, praedicta die, adhibitis qui obsignarent, velut suscipiendorum liberorum causa, convenisse, atque illam audisse auspicum verba, subisse flammeum, sacrificasse apud deos discubitum inter convivas, oscula complexus, noctem denique actam licentia coniugali. Sed nihil compositum miraculi causa, verum audita scriptaque senioribus trado.- Annales, XI 27,1-.
Anche Svetonio – Claudio XXIX- confessa: ma ciò che passa ogni possibilità di essere creduta è che gli fecero firmare personalmente il contratto di matrimonio tra Messalina e il suo amante Silio, facendogli credere che era una finzione per trasferire su di un altro il pericolo che alcuni prodigi annunciavano contro di lui/Nam illud omnem fidem excesserit quod nuptiis, qua Messalina cum adultero Silio fecerat tabellas dotis et ipse consignaverit quasi de industria simularentur ad avertendum trasferendumque periculum, quod imminere ipsi per quaedam ostenta portenderetur.
Professore, dunque, su Claudio bisogna rivedere le fonti prima di valutarlo, specie l’ XI libro di Annales e alcune parti di Svetonio che sembrano andare di pari passo per fare alcune comuni affermazioni circa l ‘editto per i senatori galli e per quello sul culto ebraico per gli alessandrini, oltre che per altri motivi utili per i Cristiani in epoche successive. Sembra, inoltre, che si voglia convalidare quanto detto, secondo alcuni, circa la condanna di Valerio Asiatico, considerato un uccisore di Caligola (cfr. incipit del testo dell’XI libro), secondo altri per conservare le parole e il decreto di Claudio sui senatori gallici e il censimento della Gallia, secondo altri, per mostrare la continuità della politica imperiale in Occidente contro i Frisi, e quella in Oriente contro Vardane, figlio di Artabano III, mentre, secondo altri, per mostrare come Claudio fosse uomo dipendente dalle donne e dai servi: altri, invece, ritengono il testo sia tramandato per lasciare tracce dei ludi secolari nel 47 e per evidenziare il ripopolamento ebraico di Roma!. ogni critico dice la sua, non essendo sicuro neppure il testo, essendo ignota la data di manipolazione!
Marco, una cosa è certa! Noi abbiamo il testo tramandato dell’XI libro che non è lectio unica nei codici (Mediceo II – Laur.68,2=M- e Leidense -BPL. 16B= L-) anche se la maggior parte dei critici si rifà all’editio princeps di Vindelino da Spira, Venezia 1470!.
Al di là dei tanti problemi storici su Claudio, per ora, a noi interessa rilevare che il bambino, svantaggiato, è stato bollato dalla storia che segue specialmente Svetonio: rimasto orfano di padre fin da bambino e durante il periodo dell’infanzia e della sua adolescenza fu afflitto da parecchie e persistenti malattie/variis et tenacibus morbis (Claudio, II) , indebolito di corpo e di mente/animo simul et corpore hebetato, tanto che non fu ritenuto capace di nessun incarico né pubblico né privato nemmeno con l’avanzare dell’età e perciò rimasto sotto tutela anche dopo aver raggiunto la maggiore età, quando fu affidato alla guida di un precettore da lui stesso giudicato inadeguato e barbaro, severo ispettore delle stalle.
Claudio, insomma, fin dal primo periodo di vita ebbe un particolare trattamento speciale per la sua salute malferma, per la sua andatura da autistico e veniva portato spesso in lettiga nei rari casi in cui usciva in quanto la familia tendeva a nasconderlo, come per proteggerlo da sguardi indiscreti popolari tanto da essere considerato erede dalla successione di terzo grado e da avere un lascito basso dal testamento di Augusto e da quello di Tiberio.
L’imperatore Tiberio, allora, professore, affiancandolo a Seiano ne è cosciente, come ogni altro membro della famiglia!.
Certamente! Tiberio lo sceglie perché ne ha l’appoggio sicuro, utile per la difesa di fronte alle accuse dell’elemento popolare e militare, già ostile a Seiano! Marco, è qui, l’equivoco. Per me questo è il momento che insospettisce Antonia e la rende nemica del figlio, che fino ad allora la donna aveva considerato un essere indifeso, uno da proteggere perché figlio nato male – oggi diremmo autistico, un asperger geniale, ma sempre uno diversamente abile, con una sindrome di apatia / mancanza di sensibilità epidermica sensoriale e di sentimenti, congiunta a disturbi neurologici di disprassia, insomma un elemento dissimile da ogni altro della sua nobile famiglia, con forte, maniacale istinto eterosessuale!. Claudio appare ad una madre attenta come Antonia – aiutata e confortate da regine già madri e da liberte istruite, seguita da medici alessandrini – come figlio speciale che ha interessi e comportamenti stereotipati, limitati e ripetitivi – battere o sfarfallare le mani in continuazione-con alterazione e compromissione della qualità di comunicazione – e verbale e non verbale – e della interazione sociale, per cui vien valutato da bambino, da adolescente e da adulto, come soggetto non affidabile per nessuna mansione e tantomeno di rappresentanza e di attività politica perché non del tutto autonomo e perché non vede e non sente l’altro, che pur chiama ed è affettuoso a seconda del grado di parentela e di amicizia – né lo saluta, né desidera avere relazione alcuna, ma tende a tenersi lontano da chiunque, non avendo vera coscienza del suo interlocutore, forse neanche di se stesso.
E’ la definizione di un autistico, asperger, perché ha, comunque, doti nascoste e qualità eccezionali comprovate e notate da Augusto- inspiegabili all’epoca-.
In una lettera alla moglie -Svetonio, Claudio IV,- Augusto si vergogna di un tale nipote e non volendolo vedere nel corso delle feste latine né al monte Albano né a Roma, comunque, si dice preoccupato che non mangi da solo col suo Sulpicio ed Atenodoro – due assistenti?- essendo desideroso che abbia accanto persone da imitare (vorrei che scegliesse con maggior cura e minore avventatezza qualche amico, di cui imitare il contegno il gestire e il modo di camminare: povero ragazzo sfortunato /Misellus atuxes!.Nam en tois spoudaiois, ubi non aberravit animus, satis apparet h ths psuxhs autou eugeneia/ infatti nelle cose serie, quando il suo animo non è smarrito, mostra la sufficiente sanità della sua anima! ibidem) e soprattutto è meravigliato della capacità di recitare versi a memoria in uno che normalmente balbetta, non riuscendo a capire come qui tam asaphoos loquatur qui possit cum declamat saphoos dicere quae dicenda sunt/uno che parla in modo così confuso, possa così ben declamare: peream nisi, mea Livia, admiror /possa morire, mia Livia, se non l’ammiro!
Professore, Augusto sottende forse che a Claudio sia affiancato Erode Agrippa il coetaneo figlio di Berenice, moglie di Aristobulo figlio di Erode il grande, ragazzo vivente a corte, desiderando per il nipote la compagnia di un figlio di re, sano, data l ‘amicizia tra la principessa ebraica ed Antonia, vedove entrambe, allattanti i figli, contemporaneamente, tanto che i due in seguito si definiscono fratelli di latte!
Marco, è possibile! Antonia ha al suo servizio tanti servi e come dame di compagnia tante amiche regine orientali tra cui Berenice, figlia di Salome, sorella di Erode.
Grazie per la precisazione, ma come lei può arrivare a pensare ad un reale rapporto tra un handicappato e un pretoriano capace di dominare e Roma e l’impero? Per lei Claudio può davvero essere un collaboratore di Seiano, astuto, pur nella sua figura dimessa, problematica più nel fisico che nella mente, ambizioso nonostante l’imbecillitas, pronto anche a tradire il benefattore e cognato, capace di recitare la parte del finto tonto, per anni?
Marco, storicamente al di là della tradizione fabulistica di Claudio impaurito e nascosto dietro la tenda dell’ Ermeo, c’ è un imperatore per elezione militare dietro esborso di danaro , che ha un principato di quasi 14 anni non indegni di memoria! La figura di uno destinato all’impero non è quella che gli storici successivi hanno tramandato!
Si legga Svetonio- Claudio, VI- che scrive: in due occasioni fece due ambasciate come patronus degli equites al senato: una. nel 14 d.C. alla morte di Augusto quando chiese di portare a spalla il corpo di Augusto nel funerale /deoptandum corpus Augusti Romam umeris suis, e la seconda, dopo la morte di Seiano, per esprimere le proprie felicitazioni e quelle degli equites per la fine del pretoriano/iterum cum oppressum Seianum apud eosdem gratularetur.
Marco, nonostante la sua meteooria/oblivio/ dimenticanza con distrazione ed ablepsia/inconsiderantia/cieca storditaggine (Svetonio, Claudio, XXXIX) e nonostante le derisioni dei nobili parenti, che seguono l’esempio denigratorio della sua stessa madre e di tutta la famiglia giulio-claudia, Claudio rimane accanto alla sorella e a Seiano per molti anni in una posizione non certamente disprezzata, sotto Tiberio.
Sembra un dato di fatto! Al momento opportuno, infatti, se ne dissocia insieme agli equites, che erano stati i più accaniti sostenitori di Seiano!
Professore, mi sembra, comunque, poco proponibile, che Claudio sia vir intermedio tra Seiano e Tiberio abile a svolgere un apparente controllo come elemento giulio-claudio al potere del pretoriano, anche se posso accettare la sua funzione di un familiaris claudio!.
Marco, Svetonio (Claudio XXXVIII) parla di Claudio che da imperatore rivela lui stesso la sua astuzia per fare carriera: non cercò nemmeno di sorvolare sulla sua balordaggine e in alcuni suoi discorsi di nessuna importanza attestò di averla simulata sotto Caligola perché altrimenti non sarebbe riuscito a scampare e a coronare le proprie ambizioni/ Ac ne stultitiam quidem suam reticuit, simulatque a se ex industria, sub Gaio, quod aliter evasurus perventurusque ad susceptam stationem non fuerit, quibusdam orationculis testatus est.
Dunque, Marco, se lo fece con Caligola perché non lo avrebbe potuto fare con Seiano e con Tiberio? Non vedo motivo per cui non lo avrebbe potuto fare! Era facile per lui la pars dello stupidus, davanti a tutti all’epoca , anche davanti a Livilla e allo stesso Tiberio, che – senza prendere in considerazione la richiesta di ricostruzione della casa, fatta tramite i senatori- gliela fa ricostruire pagando di tasca propria, risarcendo il nipote personalmente, rifiutando l’intervento pubblico. Per Tiberio, che gli lascia in eredità due milioni di sesterzi – Augusto solo 800.000!- , dopo averlo raccomandato agli eserciti al senato e al popolo romano insieme agli altri parenti –ibidem,VI- , conviene agire in questo modo perché Claudio è sempre un familiaris claudio, da difendere da chi lo bersaglia di scherni e da chi impedisce di accomodarsi a pranzo in caso di ritardo e che obbliga lui, disabile, a fare il giro della stanza, o da chi lo colpisce con noccioli di datteri e di olive, quando si addormenta (ibidem, VII)! Claudio è vir della stirpe dei Cesari!
Il fatto, Marco, che una madre amorevole come Antonia,- che per quel figlio neanche vuole più sposarsi – passi ad un odio così profondo verso un povero uomo, stupidus, con problemi psico-fisici e fisici- tipici FORSE della sindrome autistica,- insieme a Livia, è sospetto!.
Sono convinto che tutte le affermazioni negative sul futuro imperatore sorsero dalle voci servili degli schiavi, che facevano servitium speciale a quel deforme bambino, poi adolescente e infine uomo, nato nella domus Giulio-claudia, a seguito anche delle disperate esclamazioni della madre Antonia e della nonna Livia, che specialmente pro despectissimo semper habui, non monere, nisi acerbo et brevi scripto aut per intermissos solita / era solita considerare – Claudio- sempre con profondo disprezzo e non gli parlava mai, se non con brevi messaggi e per mezzo di intermediari.
Marco, non credo che tu, ingegnere, sappia tradurre bene aliquem pro despectissmo semper habere! Segui la mia traduzione e poi il mio ragionamento! La frase significa: considerare uno come persona molto spregevole, tanto da doverne parlare sempre con massimo disprezzo!.
Chiaro!. Pur conoscendo la tua bravura di traduttore, ho voluto tradurtela per meglio farti capire la rabbia con indignazione di madre e nonna contro quel deficiente figlio e nipote fautore, astuto, di un nemico della famiglia!
Per Svetonio Antonia, mater, e Livia avia, considerano il pater familias legittimo della domus claudia, da cui Antonia stessa dipende, inetto e scemo e delegittimano la sua funzione a svolgere il compito familiare e lo denigrano solo per il difetto fisico, di cui si vergognano, come capita a molte mamme e nonne di bambini non conformi al loro pensiero di bellezza!
Secondo me, Marco le due donne, al di là del sentimento personale e della reazione psichica individuale, che possono avere istintivamente nei confronti di un disabile, ritengono Claudio vir traditore in quanto avvalora ogni azione del pretoriano (e di Livilla, sua amante), che, nel giro di un triennio, apparentemente, su ordine di Tiberio, neutralizza e poi annienta la famiglia giulia – prima Agrippina e Nerone Cesare e poi Druso- ed infine attenta anche alla vita di Gaio Cesare Caligola tramite le accuse di Sestio Paconiano – uomo audace e malefico sempre intento a scrutare i segreti di tutti e scelto da Seiano per aiutarlo a preparare la rovina di Gaio Cesare –Tacito, Annales, VI, 3-
Professore, secondo lei, quindi, col consenso di Claudio c’è lo sterminio della familia Giulia? perciò per lei la sequela di denigrazioni sul conto di Claudio è successiva alla condanna del figlio da parte della madre stessa che lo diffama per non essersi opposto ed anzi aver acconsentito alla politica della coppia malefica -Seiano e Livilla- di distruzione della stessa famiglia Giulia!.
Marco, la denuncia di Giunio Rustico, designato da Cesare a redigere gli atti del senato e quindi ritenuto responsabile dei suoi pensieri segreti, è di supporto a tale ipotesi: costui, spinto da una volontà fatale – prima non aveva mai dato prova di coraggio!- o forse per un calcolo errato che gli faceva dimenticare i pericoli imminenti per paura di altri non certi, si mette dalla parte degli indecisi ed esorta i consoli a non incominciare il dibattito – contro Agrippina e Nerone- dicendo che in pochi istanti si capovolgono situazioni della massima importanza: una volta o l’altra il vecchio avrebbe potuto pentirsi di aver spento la stirpe di Germanico. (ibidem,V,4,1)!.
Una tale notizia sottende una possibilità di ravvedimento da parte di Tiberio o di qualcuno della cerchia di Seiano! Tutti sperano che Tiberio si accorga del comportamento di Livilla e del suo amante, che attirano anche l‘imbecille Claudio – non si può definire come e con quali forme o astuzie !- affamato di sesso, finto tonto, inaffidabile in tutto, per il loro skopos imperiale!?. Infatti non si oppone alla coppia il figlio – che sembra perfino maggiormente congiungersi col potente pretoriano, divorziando da Urgulanilla, per sposarne la sorella, Elia Petina – ma sua madre Antonia, che vede anzi il figlio apparentarsi ancora di più con Elio Seiano, che lo vuole cognato, dopo il divorzio nel 28 con la figlia di Plauzio Silvano, figlio di Urgulania, amica e confidente di Livia, proprio quando si rinnovano le accuse contro Agrippina e i suoi figli!.
Dovette essere un atto inconcepibile l ‘accusa di adulterio ad Urgulanilla col rifiuto di paternità di Claudio nei confronti di Claudia, figlia appena nata, lasciata nuda sulla porta dei Plautii!
Non solo Seiano lo attira dalla sua parte, ma anche la sorella, che lo spinge alla parentela col suo amante, allora dominus in Roma. Eppure lei, che aveva ambizioni imperiali e che, avendo sentito da un indovino che profetizzava che Claudio sarebbe diventato un giorno imperatore, deplorò (detestata est) apertamente ed ad alta voce che potesse toccare al popolo romano una sorte così malvagia ed iniqua!: Livilla pensava che lei sola e il suo amante fossero degni della corona imperiale e non Claudio sulla cui spalla, invece, sotto il regno di Caligola, davvero si posò un’aquila, dopo un breve volo intorno alla testa di lui, console, collega del principe-nipote! Ibidem VII.
Per Antonia il divorzio da Urgulanilla di Claudio è traumatico anche perché deve modificare i rapporti con Urgulania, la nonna, amica di Livia e con altre famiglie romane! Quel figlio amatissimo, infelice, bisognoso di cure ed attenzioni speciali dalla nascita a Lione il 1 agosto del 10 a.C. un anno prima della morte del marito Druso maggiore, diventa per lei un incubo! Claudio, assistito, amato, protetto, divenuto unico scopo di vita tanto da non volersi più sposare, nonostante le richieste di tanti pretendenti ora, che deve essere il fulcro della famiglia, pater familias, si è lasciato corrompere dal potere della sorella e del pretoriano che si vanta di essere il re dell’universo rispetto all’imperatore re di un isolotto! Per quel figlio subiva umiliazioni a Roma specie se lo confrontava col comportamento dignitoso del fratello Germanico e delle celebrazioni magnifiche in suo onore nel ricordo del giorno della toga virile /togae virili die, quando fu portato in Campidoglio, in lettiga, verso mezzanotte, senza nessuna cerimonia solenne/circa mediam noctem, sine sollemni officio, lettiga in Capitolium latus est!
Il giorno della stessa assunzione del titolo di pater familias, connessa con l’assunzione della toga virile, per lei, mater vedova, fu una vergogna ed umiliazione perché non fu una solennità pubblica, propagandata, ma una privata e segreta cerimonia familiare, indegna di ogni domus nobile romana!
Dal tradimento, secondo me, possono derivare le frasi cattive proprie di una donna indignata contro il figlio anaffettivo, apatico, meteoorikos, bestiale e bavoso per la libido adolescenziale incontrollata, malfermo sulle ginocchia, facile a cadere di faccia, incapace perfino di proteggersi il volto, inabile alla difesa della famiglia!.
Quindi, professore, lei si spiega così la scarsa stima e considerazione della madre e quella della famiglia – compreso Augusto, Tiberio e Caligola- verso l’ atuchhs Claudio, un omone alto, massiccio, pauroso, subdolo, anche lui opportunista, comunque, capace di passare indenne nel periodo tragico per la sua famiglia, sotto Seiano, difendendosi con la sua stessa inadeguatezza fisica, risibile, proprio di un uomo indegno di essere nemmeno calcolato!
Professore, ho letto Robert Graves Io, Claudio, una biografia del 1934, in cui l’autore fingendo di riprendere il De meo principato, opera non pervenutaci, ricostruisce vita e regno di Claudio (41-54)! Cosa ne pensa?
Io Claudio è un magnifico affresco familiare, gentilizio, contestuale -e romano e provinciale- in relazione alla lungimiranza e grandezza di un imperatore, saggio amministratore, accorto riformatore del sistema burocratico erariale e fiscale, già vigente e con Tiberio e con Caligola, moderato pacificatore di ogni contesa ideologica e religiosa, come pontefice massimo, vero Augustus/ sebastos del principato universale giulio-claudio. Solo un grande storico poteva fare una così accurata ricostruzione storica e socio-economica tanto da leggere davvero la pax religiosa, compromessa dal giudaismo messianico, partendo dalla figura stessa di Claudio, un diversamente abile, geniale vir civilis / politikos, non certamente indegno della domus giulio-Claudia!
Eppure nessuno della sua famiglia -neppure Tiberio e Caligola- apprezza Claudio, non considerato politico vir civilis – forse per le lettere di Augusto che lo vede timidus ac diffidens Svetonio-, ibidem XL – lo descrive sempre immerso in studi, uomo non privo di facundia, nè di dottrina, anzi dedito con grande passione agli studi liberali/ neque infacundo neque indocto, immo etiam pertinaciter liberalibus studiis deditus, dedito fin dall’adolescenza, su consiglio di Tito Livio e di Sulpicio Flavo a scrivere historia, comunque, ritenuto indegno di fare una carriera politica e tanto meno degno di succedere all’impero. Ancora di più nuocciono a Claudio i comportamenti ostili e le frasi della madre e della nonna che favoriscono la disistima popolare e quella militare.
Eppure Claudio scrisse due libri sulla dittatura di Cesare e smise perché non erano di attualità e perciò scrisse 42 libri sulla fine delle guerre civili, seppure corretto dalla Nonna e dalla madre, interessate al buon nome familiare, convinto di non poter dire la verità sull’epoca passata/ neque sibi de superioribus tradendi potestatem relictam correptamque saepe a matre et ab avia – Ibidem XLI- ! Scrisse poi una historia De suo principato in otto libri ed una Difesa di Cicerone contro i libri di Asinio Gallo e un volume sulla fonetica inventando tre nuove lettere, fatte usare durante il suo regno nelle scuole!
Oltre alle 54 opere, in latino, il giovane Claudio, è abilissimo nella lettura, nel commento e nella recita di Versi di Omero, ben fissati nella memoria, in Greco, lingua che conosce perfettamente, in cui scrive e Storia degli Etruschi/ Tirrenika -20 libri- in onore dei Plauzi e di Urgulania, ma anche della famiglia Claudia, ritenuta di origine non sabina ma etrusca, ed una Storia dei Cartaginesi/ Punika (8 libri per Svetonio e un libro per Cassio Dione St rom. LX, in quanto aggiunse un libro, dopo aver tradotto ad Alessandria 2 libri di Punika di autore ignoto greco).
Un uomo che, nel suo scriptorium pieno di schiavi e liberti eruditi che fanno ricerca come Polibio, poi suo ministro, scrive oltre 82 libri in latino e in greco, Marco, non può essere lo stupidus, dileggiato da tutti familiares, amici e popolo ed esercito, anche se certamente aveva gravi limiti fisici, manie libertine smodate, comportamenti imprevedibili e pazzeschi, davvero incredibili da non ricordare neppure persone fatte uccidere come la moglie Messalina, spesso sollecitata a venire a pranzo, o a vezzeggiare la moglie Agrippina come se fosse una bambina, pur avendola scelta per la sua eccezionale bravura di amante, a letto!- Come non deridere il suo correre traballando vergognosamente intorno al lago– grosso modo intorno all’attuale Colosseo! – per il suo fanciullesco ammirare le naumachie tra Rodiesi e Siciliani, implorante impegno nel combattimento ai marinai, minacciati di sterminio col ferro o col fuoco, che già lo avevano salutato: Ave, Caesar, morituri te salutant! Ibidem XXXI.
Professore, qualunque sia stata la pars di Claudio alla congiura di Seiano, ritengo che l’imperatore Tiberio abbia considerato il povero nipote come elemento inoffensivo, imbecille in ogni senso, non solo fisico, un omone dominato da servi e da donne, un familiaris zotico apolitico, comunque, familiaris da non toccare, qualunque azione facesse -XXIX-!
Marco, Svetonio, dopo averlo commiserato, per il fisico, bolla Claudio con lo stesso giudizio tiberiano sulle capacità di politikos/vir civilis : rimasto orfano di padre fin da bambino e durante il periodo dell’infanzia e della sua adolescenza fu afflitto da parecchie e persistenti malattie /variis et tenacibus morbis( Claudio, II) , indebolito di corpo e di mente/animo simul et corpore hebetato, tanto che non fu ritenuto capace di nessun incarico né pubblico né privato nemmeno con l’avanzare dell’età e perciò rimasto sotto tutela anche dopo aver raggiunto la maggiore età quando fu affidato alla guida di un precettore da lui stesso giudicato inadeguato e barbaro, severo ispettore delle stalle. Ed anche se non gli mancò né l’autorità né la dignità di portamento sia che fosse in piedi che seduto e principalmente quando riposava. Era infatti di corporatura alta non magra, aveva bei capelli bianchi , il collo robusto e una figura prestante; ma quando camminava le ginocchia malferme speso gli si piegavano sotto ed egli si prestava a molte critiche di quando scherzava e quando era serio. Era indecente nel riso, bestiale nell’ira con la schiuma alla bocca e le narici umide, ed inoltre gli si impastava la lingua e tentennava sempre la testa e questo tremolio si accentuava al più piccolo atto.
Tiberio, come già Augusto -che ne rilevava, in lingua greca, la buona indole morale /H ths psuchhs autou eugeneia (Ibidem, IV) lo gratifica concedendo consularia ornamenta senza fargli fare alcun cursus honorum, pur inviando 50 monete d’oro per Saturnalia ed Sigillaria cioè per le feste dei Saturnali – simili a quelle natalizie tra il 18 e il 26 dicembre, periodo in cui si invertivano i ruoli di padroni e servi e si scambiavano doni – così da dare opportunità di onore al povero Claudio che aveva il suo momento di gloria, in pubblico, tra il popolo in festa.
Comunque, in Roma resta confinato in hortis., in poderi familiari suburbani, lontano da sguardi indiscreti oppure è lasciato in otium in Campania/ In Campaniae secessu dove ha rapporti con persone abiette ed è considerato ubriacone e giocatore.
Bene credo di avere capito abbastanza sul rapporto tra Seiano e Claudio e quello tra Claudio e Tiberio, ma ora ho interesse a conoscere, sulla base dello studio fatto sulla prima prefettura di Ponzio Pilato con Seiano, e su quello della seconda senza Seiano, la situazione romana, italica e provinciale, e verificare, dall’angolazione di Antonia e da quella di Tiberio, le vicende delle due partes contrapposte. Certo, la parentela di Claudio col pretoriano, , per me, è stata una sorpresa nella vicenda del tradimento seianeo e della reazione successiva tiberiana, come anche lo stesso Malkuth, inserito tra la Pasqua del 32 e quella del 36-!. Ed, inoltre, la sua ricerca dei codici e delle fonti, per me utile ai fini della conoscenza unitaria del principato di Tiberio, senza la frammentazione degli storici, è ora un nuovo tassello per la totale comprensione del periodo Tiberiano
Sono contento che il mio lavoro produca frutto e che tu abbia compreso come Tacito abbia rilevato dalla debilitazione fisica di Tiberio, dopo la morte del figlio, la necessitas di puntare sulla coppia Seiano -Claudio, quando invece prima , nel biennio 21-22, aveva dato dignità a Druso minore e a Claudio, incaricati di accogliere a Terracina le ceneri e la famiglia di Agrippina che tornava da Antiochia e che era sbarcata a Brindisi e da lì accompagnata dal pianto funebre delle plebi apulo- sannito-campane fino all’ arrivo al tempio di Zeus Anxur!
Sembra quasi che, dopo la morte del figlio, sostituisca Seiano con Druso e lo equipari a Claudio per la parentela!. Lo scrittore evidenzia allora un crollo fisico di Tiberio, -che rimaneva, comunque, nonostante l’età, un uomo aitante nella figura, data la struttura fisica possente delle spalle e del tronco, considerate le gambe lunghe e potenti, dato il volto maschio, austero, circondato da una capigliatura biondiccia, seppure diradata sulla parte superiore della testa, tanto da essere ancora chiamato dai giudei il leone (ari-h- aleph/resh/ iod-he), e da essere amato dalle donne, anche se persona di carattere burbero, poco comunicativo e socievole, data l’infanzia raminga col padre e con la madre, in fuga, da Roma, perché antoniano!-.
Marco, nonostante gli sforzi di Tacito per invecchiare il sovrano e in un certo senso scusarlo con la malattia senile, le altre fonti storiche, comunque, forse influenzate da Velleio Patercolo – un suo militare, legato al suo dux- dànno un ritratto diverso da quello tacitiano, che è rimasto tipico nelle favole di Leone prepotente di Fedro e nei racconti di Flavio, che riporta la frase il leone è morto, in aramaico, detta da Marsia, un liberto di Erode Agrippa, allora in prigione, il 16 marzo del 37, legato ad un centurione, per volontà dell’imperatore – Ant Giud., XVIII, 218-.
La descrizione di Tiberio, in epoca antonina, però, come uomo che si vergogna del suo aspetto fisico e, perciò desideroso di isolarsi e di occultare, con la distanza, la sua crudeltà e i suoi vizi, comunque, rivelati dai fatti , è negativa perché ai posteri viene tramandata una figura brutta, quasi repellente se si aggiungono poi i particolari vizi, vergognosi, del periodo caprino: Aveva statura alta, un corpo grande e curvo, testa calva, volto sparso da ulcere e quasi sempre cosparso di impiastri, Annales IV, 37,2.
Non è questo certamente il vero ritratto di Tiberio neanche da vecchio! L’ autore antonino vede le macchie, prodotte dal sole, su un uomo di carnagione chiara, che rovinano il volto pallido, impiastricciato di Tiberio, ne rileva la sua andatura cascante e curva e non mostra la forza leonina di un imperatore che, pur malato, a Capri, a 78 anni, si alza e scaglia una lancia contro un cinghiale.- non si sa se lo uccide- dando dimostrazione alla corte della sua efficienza fisica, anche dopo una serie di collassi nel corso degli ultimi 15 mesi di vita, in un disdegno di ogni cura dei medici !.
Tiberio è conscio di essere un leone vecchio, costretto a subire le vendette dei suoi nemici, le cornate dei tori che vendicano vecchie offese ed anche la coppia di calci di asini, ostili! Per il popolo, però, l’imperatore è un Leo ancora nel 25 e Seiano, caso mai, è asinus che può ingannare nella caccia gli ignoti, comportandosi da iactator ma è deriso da chi lo conosce. Fedro, Favole, I,40!
Il popolo a Roma senza Tiberio, che è in giro tra le ville campane e talora, fermo alla villa di Lucullo, si comporta come le rane nel pantano davanti al re travicello, destinato a tramutarsi in idra, dopo la preghiera a Zeus, che divora quelle incaute ed impaurite da proelia taurorum, cioè dagli scontri tra i capi Giuli e quelli seianei Claudi!
La fonte giudaica tramanda una figura di Tiberio come uomo forte ed austero, pazientissimo e clemente, temibilissimo nei momenti di ira, mentre quella latina di Svetonio e quelle greche oscillano tra la rappresentazione potente di un Tiberio giovane militare eccellente, un dux prudens, cunctator, moderato nel mettere insieme festinatio e lentitudo – finché Augusto dominato dalla moglie Livia, sua madre – che pur gli preferiva il fratello Druso- e dai suoi stretti collaboratori, considera importante la sua candidatura seppure non primaria, alla successione, utile, comunque, come patronus per i figli di Agrippa, dopo la morte del padre e poi, ancora di più a seguito del matrimonio con Giulia, vedova, nel 11 a.C. come loro patrigno,- e quella di uomo rancoroso, duro, inflessibile, incline a ritirarsi, in caso di competizione, lui aristocratico, capace di fare un passo indietro, contro l’invadenza di altri, populares, pretendenti.
Quindi, professore la figura di Tiberio non è univoca nel corso del suo regno, come non lo era stata anche prima sotto Ottaviano Augusto?
Marco, la vita di Tiberio è segnata da vari momenti dolorosi e negativi ed è stata dura sotto Ottaviano Augusto, che lo considera elemento di seconda fascia, sempre di rincalzo rispetto ai Giuli e anche durante il suo regno, è piena di tragedie e quindi, come ogni uomo, a seconda dei periodi, ha una sua reale figura e un suo aspetto differente a seconda delle situazioni e degli episodi in una continua trasformazione. Insomma, Tiberio, appare uomo che passa manzonianamente dall’altare alla polvere perché dopo aver raggiunto il massimo grado di potere, secondo Velleio, si ritira per un settennio, dignitosamente, lasciando Giulia, alla morte del loro figlio bambino, ai suoi tradimenti con molti amanti, tra cui Antonio Iullo, a seguito della scelta di Augusto, dei figli di Agrippa alla successione, per non intralciare i disegnati dell’imperatore, giovani inesperti, circondati da generali /duces eghmones, arrivisti/ eukairoi!.
Eppure, già due volte console e col potere di tribunicia potestas e di imperium proconsulare maius, con dignità, in silenzio, rimane come privato civis a Rodi, imitando l’esempio dello stesso Agrippa ed ha il coraggio di lasciare sua moglie, viziosa, anelante ad una dignità propria imperiale (cfr. Caligola il sublime, Cattedrale, 2008).
Morti i giovani immaturi, figli di Giulia – Gaio Cesare e Lucio Cesare neoi dioskouroi – richiamato da Augusto, è acclamato universalmente di nuovo salvatore dell’impero a guidare gli eserciti, sconfitti, in Germania, con Senzio Saturnino ed altri.
Ad Augusto, che pur riconosce le doti militari e quelle amministrative e politiche, la figura di Tiberio Claudio, figlio di un aristocratico vecchio nemico, pur adottato come giulio, rimane sempre esponente di un ramo secondario dinastico perché privilegia prima Agrippa Postumo – un giovane altezzoso solo della sua erculea forza, smodato in tutto e di scarsa intelligenza,- poi, il figlio di suo fratello Druso maggiore, giovane militare accorto, prudente e di vivace intelligenza, Germanico, marito di Agrippina Maior figlia di Giulia, sua ex moglie, con la clausola di fondare una dinastia sulla domus di suo fratello e non su quella di suo figlio Druso minore!.
Un’altra cocente delusione!
Preso il potere, alla morte di Augusto, scoppiate rivolte in Germania e in Pannonia per le pretese di liquidazione e della lunghezza della ferma militare delle truppe, non accontentate da lui, le doma dando rilievo giusto al nipote,- adottato ora come figlio Giulio secondo l’ordine di Augusto,- che consegue grandi risultati militari in Germania, vendicando la sconfitta di Varo e lo gratifica onorandolo con il trionfo, celebrato nel 17 d.C., lodando con ovatio suo figlio, che ha represso le legioni pannoniche con l’aiuto di Seiano e di suo zio Giunio Bleso. Morto, malauguratamente Germanico ad Antiochia nel 19, per avvelenamento, ad opera di Gaio Pisone, accusato velatamente dalla moglie e dagli amici, pur subendo contumelie di vario genere e critiche come reo della morte del figlio adottivo, pur avendo processato il suo avvelenatore e condannato, con qualche indecisione, – data l’amicizia precedente con lui e con la moglie Plancina – avendo forse troppo goduto della sua apparente fortuna negli anni successivi il ritorno delle ceneri del nipote, portate a Roma dalla Campania, sotto scorta da suo figlio e da Claudio- il fratello-(essendo lui e sua madre assenti, bersagliati, comunque, entrambi dal popolo, come nemici dei loro parenti), Tiberio rimane aristocraticamente nel suo ruolo di austero imperator, apparentemente insensibile. Essere accusato di veneficio è per lui un altro momento traumatico! Eppure, neppure allora, con tale espressione distaccata, riesce a d avere tranquillità nei due o tre anni felici, in cui la sua domus prospera anche per la nascita di due Gemelli (Tiberio iunior e Germanico II) da Druso, suo figlio e da Livilla, sorella di Germanico, quando sembra cullare il desiderio di creare una propria dinastia, pur rimanendo ligio al dettato augusteo, che impone la precedenza della linea familiare del nipote!.
Non si era sopita la tempesta di critiche per la morte di Germanico, quando Tiberio deve piangere per la morte di suo figlio, che sembra una vendetta giulia contro l’imperatore, in quanto già erano attivi i contrasti tra le due partes. Tiberio, avendo sperimentato quanto sia stato duro il processo per la morte di Germanico, anche dopo il suicidio di Gneo Pisone, non intenta un processo per la morte dl figlio, che pur lo affligge e debilita, anche se la sua faccia austera non fa trapelare niente, neanche in senato, dove sbriga la normale pratica funzionale, tanto che Svetonio può dire che non amò né il figlio naturale né quello adottivo e gli rimprovera lo svago del negotium. Eppure è ancora bersagliato dalle contumelie dei giuli- specie i militari e i popolari- che esigono anche il processo per la morte di Druso minore!
Professore, la ringrazio per la sintesi storica, connessa con la tragedia di Druso Minore, ma, nel suo parlare, lei usa contumelia con qualche specifico significato? Io lo traduco solo come offesa. Prima di riprendere il nostro discorso, mi può spiegare esattamente il suo reale valore?
Marco, contumelia ha due radici, che hanno una famiglia lessicale doppia con area semantica duplice, che, comunque, dilatandosi ampliamente, alla fine, si riuniscono per dare un significato univoco generale di disprezzo con oltraggio. Infatti dalla prima- da comtemnere – più antica- deriva il valore di guardare con indifferenza e con disistima fino a giungere al disprezzo– che sottende infamia, talora, in caso di persona incline a libidine – tanto da dare l’idea generale di offesa infamante; dalla seconda, più recente, di contumeliare /contumeliari, deriva il valore di oltraggiare con sotteso il significato di offese nell’onore, ingiurie, insolenze e forme di diffamazione. Se pensi che il termine è usuale per Tacito e per Svetonio, uomini vissuti in epoca flavia ed antonina, comprendi come la casata giulia sia messa alla berlina, specie dopo la sistemazione urbana di Nerone con la sua Domus aurea e le zone sottostanti il colle Oppio, poi distrutte dalla famiglia flavia, nonostante l’armoniosità, grandiosità e perfezione dell’ingegneria claudia, per dare nuovo aspetto all’Urbe con la costruzione del Colosseo – l’anfiteatro Flavio sorge esattamente dove era il Colosso Neroniano!- e puoi capire la diffamazione capillare con le tessere delle spintrie tiberiane, distribuite ai populares e ai milites per l’accesso al Lupanare!. Se poi pensi alla voluta sovrapposizione di edifici traianei ed adrianei sulla devastata domus aurea, ti puoi rendere conto del grado diffamatorio non solo linguistico, ma anche architettonico, delle nuove domus imperiali, ambiziose nel rivaleggiare con la domus fondante il Principato stesso!. Marco, posso, ora riprendere il discorso?! Soddisfatto?!.
Certo, professore.
Tiberio, Marco, è innervosito, dunque, dalle critiche di Antonia, iniziate col mancato processo su Druso, avvelenato, e sull’avvelenatore, che circola per Roma, impunito e nemmeno ricercato, con accuse velate al capo pretoriano, che, da confidente e da amico lo incita ad allontanarsi da Roma, avendo già un piano per dominare incontrastato sul senato e sulla famiglia Iulia e Claudia.
Antonia, in effetti, accusa, pur velatamente, proprio quel Seiano che è insostituibile amico e protettore, che appare uomo moderato e affezionato a lui, ai figli di Druso, e alla domus sua e di Livilla, di cui è patronus!.
Ora nel 25 d.C., professore, l’imperatore subisce ancora di più i rimproveri della cognata anche quando non ha accettato la proposta del pretoriano di sposare la vedova di suo figlio, morto due anni prima, senza troncare i rapporti amichevoli col parente pretoriano, desideroso di tenerselo accanto!.
Antonia rimprovera l’imperatore, lamentandosi- altro significato sotteso a contumelia– di permettere a Seiano di predisporre un pretoriano di guardia, addetto apparentemente alla sorveglianza della sua domus, -che lei rifiuta, perché spia nella casa di Germanico- rilevando l’invadenza dei pretoriani nella sfera privata!
Il pretoriano scriba, secondo Tacito, in effetti è un miles con capacità scrittorie, abile a scrivere, capace di annotare tutto ciò che capita in famiglia, come su un diario, vigile a sorvegliare i messaggi in arrivo, a fermare i corrieri in partenza, a bloccare non solo le visite di amici – come G. Silio e Tizio Sabino, ambedue amici stretti di Germanico, romani degni di onore per le loro imprese militari, specie il primo, contro Sacroviro, oltre che di Poppeo Sabino, poi governatore di Macedonia- ma anche di amiche di famiglia come Sosia e Claudia Pulcra, oltre i nomina dei clientes della familia e perfino di seguire ogni membro della domus per la città, mentre svolge gli atti in pubblico e in segreto (Tacito Annales, IV, 67,4).
Può essere Ponzio Pilato il miles scriba?
Marco, come puoi pensarlo? come fai a dirlo? che basi hai? Scherzi? Tra i pretoriani ci sono uomini di varia specializzazione tecnica, dalle spie/Katoscopoi ai magistri – che sono decurioni, centurioni, tribuni e legati, graduati che sanno leggere e scrivere ed hanno una cultura, a seguito di una frequenza scolastica, avuta al loro paese di origine o a Roma stessa – che sono uomini di estrazione patrizia ed equestre – tra cui rarissimi libertini- che guadagnano più del doppio di un normale miles delle legioni stanziate ai confini dell’impero romano, e che rischiano continuamente la vita ed hanno una ferma di 26 anni e quindi invidiano la vita romana, tranquilla, privilegiata del Pretoriano. Marco, non sappiamo neanche se Ponzio Pilato sia un pretoriano e tu lo vuoi identificare con uno che, come scriba, spia la casata giulia di Antonia?! Non sai quanti storici considerano Ponzio Pilato homo pileatus, – cioè uno schiavo imberrettato di Pileus, messo in vendita dal padrone, che non garantisce per lui e quindi, senza qualifica alcuna- oppure un domesticus che porta il pileus, un berretto conico di pilos/ feltro, con lunghe strisce coprenti le orecchie, nei conviti o nelle feste, come i saturnalia, in servitium, come segno distintivo di schiavitù?.
Lei dà altra lettura di Pilatus, mi sembra, e quindi non può accettare questa servile di un Pontius, che è domus di origine equestre? Certo Marco, un ventennio dopo, ci sono libertini come Felice, che hanno incarichi prefettizi, sotto Claudio, non sotto Tiberio!
Tiberio, all’epoca, dà grande rilievo agli equites tra i pretoriani – che poi saranno limitati nei loro compiti ed esautorati da Caligola, che li declassa fino a sostituirli con i Germani, poco prima della data fissata di partenza per Alessandria, in un progressivo ridimensionamento, subito dopo l’uccisione di Macrone, – illuso di poter fare quello che aveva fatto il collega Seiano con Tiberio- e di Trasilla, sua moglie, amante del giovane imperatore, complice del marito!. Con Claudio i libertini, ex pileati, servi ad pileum vocati (Svetonio Tiberio, 1,2) fanno carriera, come i fratelli di Cenide cfr. Cenide e Vespasiano www.angelofilipponi.com
Ho letto l’articolo ed ho visto i rapporti di Vespasiano, eques sabino di Vicus Phalaricae, amante di Cenide, fautore acceso di Caligola! E’ di questo periodo – mi scusi, professore, se salto di palo in frasca, obbligandola a salti storici! – il ritorno di Pilato un eques , un praefectus, a Roma, seguito poi, a breve distanza da quello di Vitellio? Avviene prima o dopo la morte di Macrone ?
Ritengo, Marco, che l’arrivo di Pilato, a Pozzuoli, sia dopo il 18 marzo del 37 d.C., momento dell’arrivo a Roma del nuovo giovane Augusto, in primavera, essendo partito dalla Iudaea quando Vitellio entra per la seconda volta in Gerusalemme, mentre quella dell’ex governatore siriaco, potrebbe essere avvenuta nell’ autunno o poco prima della morte di Macrone, agli inizi del 38, dovendo il governatore sbrigare le pratiche di congedo dai segretari provinciali e lasciare le carte in ordine per il nuovo governatore, ancora da nominare, considerata anche la lentezza dei preparativi per la partenza di uno – forse l’ unico fino ad allora procuratore romano, amato e festeggiato nella zona siriaca e specie giudaica per averla pacificata con l’annientamento del fenomeno messianico – cosa che molto dispiace ai Flavi-!.
Infatti Flavio, unica fonte, dice: Vitellio, allora mandò Marcello suo amico ad amministrare la Giudea ed ordinò a Pilato di fare ritorno a Roma per rendere conto all’imperatore delle accuse fattegli dai samaritani Così Pilato, dopo aver passato dieci anni in Giudea, si affrettò a Roma, obbedendo agli ordini di Vitellio, a cui non si poteva sottrarre. Prima di giungere a Roma, comunque, Tiberio era morto- Ant. giud., XVIII,89-.
Tacito, invece, ci informa su Vitellio, già giunto a Roma, da tempo, e lo giudica anche per la sua attività politica successiva, come iniziatore della proskunesis all’imperatore di un cittadino romano,- cosa fino ad allora non usuale- eo de homine haud sum ignarus sinistram in urbe famam pleraque foeda memorari; ceterum regendis provinciis prisca virtute egit: unde regressus et formidine C. Caesaris, familiaritate Claudii turpe in servitium mutatus exemplar apud posteros adulatorii dedecoris habetur, cesseruntque prima postremis, et bona iuventae senectus flagitiosa obliteravit/Non ignoro che quest’uomo aveva cattivo nome in Roma e che di lui si ricordano azioni molte e disonoranti. Eppure nel governo delle province si comportò con onestà, degna degli antichi, tornato poi di là e divenuto vile cortigiano per paura di Gaio Cesare e per la famigliarità con Claudio, è rimasto esempio ai posteri di vergognosa adulazione. I suoi inizi sono stati smentiti dalla sua fine e una vecchiaia obbrobriosa ha cancellato le virtù della giovinezza (Annales, VI,32.3/4).
Perciò, Marco, a te tirare una possibile conclusione!
Per me, professore, Pilato come sottoposto al governatore di Siria, non potendo nemmeno scappare presso i parthi, ora vincolati dal trattato di Zeugma- come avevano fatto fino ad allora i cives della zona, sull’ esempio di Labienus parthicus dux, inquisiti da Roma, o come fece Rubrio Fabato nel 33, scappato ai pretoriani per fuggire presso i parthi a chiedere pietà, non avendo più speranza nelle sorti romane – è sostituito con un amico di Vitellio, tal Marcello, non ben identificato – a meno che non si pensi ad un liberto della famiglia dei Claudii Marcelli! – senza un decreto senatoriale! Poi, è inviato in fretta a Roma, come reo di vessazioni contro i provinciali samaritani. Perciò, probabilmente il suo arrivo risulta tra maggio-giugno, mentre Vitellio potrebbe essere arrivato o in autunno o a primavera dell’anno successivo!.
Bene, Marco, condivido, e ti aggiungo che Vitellio, potrebbe, -conoscendo il 16 marzo 37, data di morte del vecchio imperatore e la nomina a Roma del 18 marzo con acclamazione a Caligola di Neos Sebastos, essersi fermato mesi ancora in Siria, ad Antiochia, dove era tornato da Gerusalemme per le pratiche questorie necessarie al completamento burocratico delle operazioni di gestione di fine mandato.
Pensa che potrebbe, oltre alla possibilità di svernare a Dafne, essere partito dopo la fine del periodo di non navigazione invernale, oppure aver svernato in un’isola dell’Egeo, ed essere ripartito, senza fretta, nel periodo iniziale dell’era saturnia dell’inizio del principato, eccezionalmente felice, caligoliano (Incipit di Legatio ad Gaium). Sorpreso, poi, dalla notizia della malattia di Caligola, incerto circa le voci di nomina imperiale di Drusilla e di Lepido, arrivato a Roma agli inizi del 38, dopo aver inviato vari messaggi con le indicazioni delle sue soste, certamente sorvegliate, si presenta all’imperatore, guarito, già deciso a cambiare le sorti del suo principato! Il suo arrivo in un tale momento è terribile! il suo ritorno è un incubo! Unica salvezza essere cortigiano orientale, creare la moda della proskunesis a Roma, in Italia e in Occidente! Un imperator romanus , un nikeths, si mostra simile ad un rex postulante! Una vergogna per un civis, per un senatore, un dux trionfatore sui Parthi!
Lasciamo da parte Pilato e Vitellio e la loro situazione in epoca caligoliana, riprendiamo il nostro discorso sui pretoriani, sotto Tiberio, sul loro potere e su quello di Seiano che osa chiedere la mano della vedova, ex moglie del figlio dell’imperatore, nonostante la vigilanza di Antonia sul suo comportamento quotidiano e l’ostilità del partito giulio.
E’ uno scontro tra due forme di spionaggio, uno pubblico ed uno privato, tra quello pretoriano e quello dei liberti di Antonia?
Certo, Marco, Antonia è scaltra ed abile ad investigare, a ricercare e a spiare i documenti stessi imperiali, ben sapendo che la presenza a Roma di Tiberio è per lei e i suoi, garanzia di diritto, temendo che il pretoriano possa riuscire a portarlo fuori di Roma e farlo cessare da una concreta attività politica. Peccato che Tacito non abbia lasciato niente del processo a Livilla!
Per lei, nonna, è vitale evitare che l’imperatore lasci Roma sotto il comando di Seiano, essendo le forze dei claudi, sostenute dai pretoriani di molto superiori a quelle dei giuli, destinati allo sterminio! Neanche l’appello ai vecchi militari- allora comandanti di legioni, in Tracia, in Germania, in Spagna, lontani da Roma- al senato (ormai quasi totalmente cliens del pretoriano) e al popolo – facilmente addomesticabile da demagoghi seianei – sarebbe stato sufficiente alla loro salvezza di Giuli!.
Professore, non è il caso di mostrare il reale clima di quei due anni successivi la morte del figlio, non accertata, per una migliore comprensione della situazione di guerra civile imminente!
Marco, il 24 e il 25 secondo gli storici sono anni dominati da Seiano, che, avendo riunito nei castra praetoria i milites, li ha ormai conquistati con ogni mezzo (cfr. Caligola il sublime, cit)- chi in un modo chi in un altro – e che risulta esecutore fedele degli ordini di Tiberio , che appare il vero committente, deciso a stroncare gli amici di Germanico – Gaio Silio e la moglie- , fare cessare le nuove guerre servili in Italia, suscitate da T. Curtisio, ma anche a far processare Vibio Sereno, accusato dal figlio omonimo, con la collaborazione di due suoi amici Gneo Lentulo e Seio Tuberone, mentre viene intensificata la guerra contro Tacfarinate, seppure già sotto controllo del re Antioco figlio di Selene Cleopatra , oltre a processare Cremuzio Cordo per una nuova ed inaudita imputazione/ novo ac tunc primum audito crimine – Annales IV,34- che cioè un intellettuale ha lodato G. Cassio come l’ultimo dei Romani.
Per Tacito, repubblicano, è un vero delitto di lesa maestà!
Oltre a questo contesto, Marco, mi preme, farti comprendere l’animo di Tiberio, uomo sospettoso certamente, melanconico, impenetrabile, circa la questione della divinizzazione dell’ imperatore romano e di Roma, che, comunque, è ben rilevato da Tacito, in precise occasioni. Me le mostra professore?
Una è durante il processo di Vozieno Montano, che è da collegare con la risposta, moderata , intelligente e tipica di un uomo prudente, riflessivo e politico, a Seiano, sul rifiuto di dargli la nuora in sposa, pur volendo mantenersene la fedeltà e l’amicizia. Dunque, Tiberio mostrando la solita fermezza//constantiam meam per non aver opposto un rifiuto alle città di Asia, richiedenti il permesso di costruzione di un tempio in suo onore, ne spiega il motivo in relazione ad un’altra richiesta simile, di ambasciatori della Spagna ulteriore, desiderosi di innalzare un tempio alla madre e a lui, seguendo l’esempio orientale: Vi farò, dunque, conoscere le ragioni del mio precedente silenzio e nello tempo stesso la mia decisione per l’avvenire.- Ibidem 37.2- ,
Ascolta bene, Marco! Tiberio, dopo aver detto che lui segue l’esempio di Augusto, che non impedì di edificare un tempio a Pergamo, dedicato a lui e a Roma, aggiunge: io, che mi faccio una legge di rispettare ogni azione ed ogni parola di lui /qui omni facta dictaque eius vice legis observem- ibidem- ne ho seguito l’esempio, perciò accetto il culto della mia persona con l’aggiunta della venerazione del senato/placitum iam exemplum promptius secutus sum, quia cultui meo veneratio senatus adiungebatur – ibidem-
L’imperatore, poi, dice: mi sia, comunque, perdonato l’averlo fatto una volta, in quanto il lasciarmi adorare in effigie come un dio, in tutte le province, sarebbe atto di vanità e di orgoglio /effigie numinum sacra(ri) ambitiosum, superbum; ed aggiunge : et vanescet Augusti honor, si promiscis adulationibus vulgatur /e lo stesso onore di Augusto risulterà cosa vana, se lo si fa con adulazioni indiscriminate!
Tiberio, perciò, afferma: ego me, patres conscripti, mortalem esse, et hominum officia fungi datisque habere si locum principem impleam, et vos testor, et meminisse posteros volo/ o senatori, io non sono che un mortale; i doveri che assolvo sono quelli di un uomo e a me basta tenere il posto più alto: voi me ne siete testimoni ed io voglio che me lo ricordino i posteri, i quali renderanno alla mia memoria un onore più che sufficiente, se mi giudicheranno degno dei miei avi, sollecito delle vostre fortune, forte nei pericoli, impavido contro le offese, quando è in gioco il bene dello stato. -ibidem 38 1-
Il discorso, per me proprio della scuola analogista, opposto a quello anomalista di Caligola (Pseudo Longino Del Sublime, a cura di Francesco Donadi, Bur 1991)-ibidem 2-3 è il seguente: Haec mihi in animis vestris templa, hae pulcherrimae effigies et mansurae; nam quae saxo struuntur, si iudicium posterorum in odium vertit, pro sepulchris spernuntur /questi i miei templi nelle vostre anime; queste le statue più belle destinate anche a durare. Infatti quelle di marmo, se la stima di posteri si converte in odio, sono guardate con disprezzo come sepolture. La conclusione è questa: Proinde socios cives et deos ipsos et deas precor, hos ut mihi ad finem usque vitae quietam et intellegentem humani divinique iuris duint, illos ut, quando concessero cum laude et bonis recordationibus facta atque famam nominis mei prosequantur/perciò prego gli alleati, i cittadini e gli dei stessi e le dee che questi mi concedano fino al termine della vita uno spirito sereno e la capacità di interpretare le leggi divine ed umane, e che quelli, quando avrò lasciato la terra, accompagnino con lodi e con parole di riconoscenza il ricordo delle mie azioni e la fama del mio nome.
Professore, devo fare una domanda lessicale- mi sembra strano duint!- ed una ideologica, forse non compatibile con la visione di un aristocratico, desideroso di memoria eterna umana!?
Marco, per quanto riguarda il lemma duint sappi che è una forma arcaica di do, das, congiuntivo presente coniugato come sim, forse usato da Tacito per evidenziare un’area sacra, vista da un’angolazione tragico-comica (propria di Nevio più che di Plauto e Lucilio!), un vizio arcaicizzante degli scrittori antonini!; per quanto riguarda la divinizzazione, tema a me caro per la figura di Gesù Christos, Tiberio pagano, materialista, naturalista, astrologo è uomo cosciente di sé mortale, effimero! e, quindi, la probabile ironia di Tacito ci appare inadatta freddura e non posta al momento giusto!. Comunque, l’imperatore privatamente in discorsi con amici disapprova quel genere di culto verso la sua persona anche quando ha ricevuto ed accettato il titolo di Augustus, pur disdegnando il titolo di pater patriae, rifiutato varie volte.
Dunque, professore, il fatto che Tiberio non vuole avere il culto divino della sua persona,- criticato da molti che pur leggevano come indice di modestia ed altri di diffidenza, altri di bassezza di animo- è segno di un uomo che ha fatto storia e che vuole essere ricordato come vir degno della tradizione familiare, secondo il costume quiritario romano, non quello greco-ellenistico degli eroi mitizzati e divinizzati come Heracles/ Ercole e Dionusos/Libero.
Infatti Tacito non distingue tra culto greco, che crea il mito di Ercole e Libero e quello latino che ha come eroe mitizzato Quirino, e non mostra le diverse forme occidentali e latine di muthos rispetto a quelle greche anche se tutti i culti in genere arrivano alla divinizzazione, che è in relazione in Roma, alla concessione fatta da Ottaviano, quando già è Augustus, ai Tarraconesi templum ut in colonia Tarraconensi strueretur Augusto, petentibus Hispanis permissum, datumque in omnes provincias exemplum/chiedendo gli spagnoli il permesso di erigere un Tempio ad Augusto nella colonia di Tarragona fu loro consentito e si creò così un precedente esemplare per tutte le province– ibidem I, 78 – Tacito ha una concezione già domizianea di culto imperiale – cfr K. Von Fritz, Taciti Agricola, Domitian and the problem of the Principate, 1967-
Tiberio aristocratico celia su Augusto eques– se le parole riportate da Tacito sono queste-: Melius Augustum speraverit, riferendosi al fatto che molti fra i mortali ambirono agli onori più alti / optumos quippe mortalium qui altissima cupere!.
Tiberio ritiene che ognuno deve guadagnarsi col lavoro un favorevole ricordo di sé: i principi tengono già tutti gli altri beni ed uno solo devono cercare di guadagnarsi insaziabilmente : un favorevole ricordo di sé, in quanto, col disprezzo della gloria, si disprezzano anche le virtù/unum insatiabiliter parandum, prosperam sui memoriam; nam contemptu famae contemni virtutes –ibidem, IV,38,4-.
Dunque, professore, Tiberio ha una concezione del potere in senso umano quiritario patrizio, di una di sovranità venerabile per la continuità di sangue aristocratico claudio, superiore rispetto a quello giulio mitico ellenistico?.
In questo Filone, infatti, concorda e non con quello giulio Caligoliano, esemplare per Domiziano per Commodo e per Caracalla -cfr. The death of a God www.angelofilipponi.com ! –
Vedo che mi segui!. Ti aggiungo che nella risposta a Seiano è ancora più evidente questo aspetto. Esamina tu stesso dalla fonte tacitiana. Tiberio sa bene – anche tramite Antonia che teme il coniugium per la dichiarata volontà del pretoriano di punire iniquas Agrippinae offensiones idque liberorum causa/ i risentimenti non giusti di Agrippina e ciò a causa dei figli– che la lettera, inviata da Seiano, è scritta da retori della casa giulia, sotto il magistero interessato di Livilla, sua nuora, per cui l’imperatore richiede tempo per uno studio e riflessione!.
Infatti Tacito dice che era, allora, uso anche se l’imperatore era presente, presentare la richiesta per scritto /moris quippe tum erat quamquam presentem scripto adire e che c’era, anche se con qualche ritardo, una risposta imperiale.
Prima di mostrarti, comunque, il testo della lettera ti aggiungo che i pretoriani già facevano i i turni per irretire in discorsi sediziosi il giovane Druso Cesare e lo contrapponevano al fratello maggiore Nerone Cesare, facendogli balenare la speranza del principato (Tacito, Annales,IV,60) per rovinarli entrambi ed inoltre che controllavano i loro amici e fautori giulii, avendo fatto il processo già a Silio e fatto condannare-anche se già suicida- lui e la moglie inviata in esilio con i beni confiscati a Sosia al 50% , per intercessione di Emilio Lepido, comandante militare capacem sed aspernantem/ capace ma noncurante – ibidem I,13,2 -.
Eppure per avere la condanna di Silio bisognò fare ricorso all’aiuto del console Varrone e ad un intervento dell’imperatore – Tacito Ibidem IV, 19, 2- Cesare si oppose dicendo che era costume dei magistrati citare in giudizio cittadini privati e che non si doveva sminuire l’autorità del console, – le cui cure provvedono alla salvezza dello stato.-… Sosia era accusata di essere complice del marito che aveva di nascosto e lungamente tenuto mano a Sacroviro, nella guerra germanica, di aver macchiato con l’avidità la sua vittoria. Certamente né l’uno né l’altra potevano liberarsi da accuse di concussione: ma tutto il processo si volse sull’imputazione di lesa maestà (cuncta quaestione maiestatis exercita)-ibidem-
Professore, erano tempi in cui la delazione era quotidiana e le condanne erano di lesa maestà, ma c’era qualcuno che riusciva a salvarsi rimanendo moralmente pulito, in un tale clima di odio?
Marco, si . Ti cito proprio Emilio Lepido, ex proconsole di Asia , morto per cause naturali, forse, -sembra nel 33 d.C,, che fa proposte contrarie all’imperatore e a Seiano impunemente, convinto di far assegnare del 50%, non secondo legge- metà agli accusatori e metà ai figli- ma un quarto agli accusatori ed il resto ai figli – come poi faceva suo figlio nei confronti di Caligola, che giudicava degno di esilio Avillio Flacco, secondo Filone – imponendo coraggiosamente un intervento correttivo di pena – in quanto giudicato gravem et sapientem virum/uomo saggio ed autorevole, capace di emendare molte decisioni adulatorie di altri, conservando la sua influenza e favore presso l’imperatore, senza dover usare la circospezione!.
Tacito, allora, si pone il problema tipico del periodo domizianeo, se forse anche la propensione dei principi verso gli uni, la loro avversione verso altri non dipendano come tutto il resto dal volere del fato e dalla sorte del nascere, oppure se una parte sia lasciata alla nostra accortezza e se tra la spavalderia che conduce alla rovina e il servilismo che disonora si possa seguire una strada che non sia né abietta né pericolosa.- ibidem-!
In tempi di dittatura e sovranità assoluta, Marco, il dubbio di Tacito su una via intermedia tra morire e parlare apertamente per un uomo parrasiasths /libero di parola è una forma retorica perché è difficile rimanere autorevole quando parlare può significare morte anche se il personale consilium è tipico di chi ha avuto buona sors nascendi e propizio fatum.-ibidem 20.3-. Sola Antonia, essendo privilegiata da nascita e dal destino di essere la madre di Livilla, cognata dell’ imperatore, coerede dei beni imperiali augustei, donna capace di gestire un impero commerciale e finanziario mondiale coi suoi segretari personali, coi suoi trapeziti alessandrini, coi suoi liberti latini con le sue relazioni coi legati di tutto l‘imperium romano ed occidentale ed orientale, risulta intoccabile punto di aggregazione e di riferimento di ogni opposizione al regime stesso ed anche alla forza armata di Seiano!
Antonia, come l’augusta Livia, risulta davvero inviolabile per Tiberio ma sembra che non fu per Caligola theos!-cfr. Caligola il sublime cit- ma non Agrippina e i suoi figli vulnerabili per il loro stesso nomen oltre che per la loro coscienza di superiorità rispetto a tutti gli altri in quanto sicuri di essere stirpe divina Augusta! Lo stesso Claudio dovette fare il deficiente e legarsi al carro di Seiano lasciando la moglie Urgulanilla e sposarne la sorella Elia Petina, inimicandosi la madre e la vecchia nonna, prossima a morte.
Professore, lei mi vuole comunicare che sotto Tiberio non erano sicuri, data l’equivocità di condotta dell’imperatore stesso, dissimulatore, nemmeno i membri della famiglia di Augusto, come non lo erano stati già Germanico e Druso minore, suo figlio?!
La domina Antonia lamenta velatamente consapevole che Tiberio mal dissimula la letizia per la morte di Germanico/Germanici mortem male dissimulavit – III,2,2 ( nonostante abbia fatto ogni legittimo dovere funebre ed abbia fatto scortare le ceneri ed Agrippina provenienti dall’Apulia, da Terracina a Roma fino al mausoleo di Augusto, avendo inviato il figlio e Claudio !)- temendo la subdola azione di Seiano che delle sue parole e delle sue azioni narra solo ciò che risulta evidentemente, sfruttando solo alcune a suo vantaggio, denunciandole, all’occasione, all’imperatore, che già va girando in Campania alla ricerca di quies, come aveva fatto in precedenza, quando dava spazio a Druso di svolgere funzioni imperiali, come per associarlo al potere, senza notificarlo al senato!
Antonia lamenta che Tiberio è informato, falsamente, che i nipoti a Roma si armano e formano un fronte antimperiale, dal prefetto del pretorio, che tace invece la sobillazione continuata delle spie nei confronti dei due fratelli, iuvenes inesperti, Cesare Nerone e Druso Cesare, convinti a ricercare la protezione negli eserciti di Germania presso Getulico, a richiedere palese aiuto al senato e al popolo, spinti perfino ad andare platealmente ad abbracciare la statua del divo Augusto, nel punto più frequentato del foro.
Insomma Antonia, avendo chiara coscienza delle ragioni della morte di Druso minore, dei mirati interventi dei pretoriani e conoscendo la tresca immorale tra sua figlia e il pretoriano, diversamente da Tiberio, è in bilico tra dovere familiare e dovere pubblico e perciò cerca solo di proteggere la domus di Germanico allontanando da Roma, dopo la Morte dell’Augusta Livia, nel 29 , Gaio Cesare Caligola, che è inviato, a Capri dall’imperatore, dopo l’elogio funebre da lui fatto per l’ava, quando già si sta verificando la tragedia di Agrippina, nonostante la protezione di Asinio Gallo, avido di potere, incapace di conseguirlo, marito di Vipsania, sorellastra – cfr. Caligola il sublime, cit. e Giudaismo Romano II ebook Narcissus 2014-.
Tiberio, professore, ha già demandato ogni compito provinciale a Seiano?
Marco, credo che Tiberio non abbia dato l’imperium proconsulare maius, ma solo quello limitato all’Oriente e specie all’area siriaca, settore difficile e ribollente di staseis per il fenomeno messianico, mentre quello occidentale è lasciato ai governatori, che mantengono il mandato imperiale invariato, secondo la prassi tiberiana di dilazionare il tempo di durata prefettizia.
Professore, considerato che Tiberio ed Antonia sono due volponi politici scaltri e impenetrabili nelle loro mene, è possibile che Tiberio pensi che la pars Giulia, convinta dell’avvelenamento di Germanico da parte sua, abbia reagito con l’avvelenamento di suo figlio? O che alla cognata, desiderosa di far pagare sangue con sangue all’imperatore, allora, nel massimo della fortuna, conveniva la morte di Druso, che così chiudeva il problema della successione a favore dei Giuli?
Marco, ci ho pensato spesso ma non credo che si possa accusare Antonia perché lei già con LIvilla, sua figlia, moglie del figlio di Tiberio, suo nipote, ha già il potere di tutto l‘imperium coi figli di Germanico, che hanno la precedenza nella successione, essendo Agrippina la figlia della figlia stessa di Ottaviano Augusto.
Per lei, professore, quindi il male è in Livilla che, come Giulia maior e poi Giulia minor e tante altre giulie, aspira ad un potere proprio imperiale, da dividere solo con l’amato eques Seiano, non coi nipoti e neppure con la madre, in quanto desiderosa di una propria dinastia divina col pretoriano, stimato e prediletto da Tiberio, tenuto all’oscuro sulla vicenda amorosa dei due!
Dunque, Marco, tu , influenzato dalla lettura domizianea di Tacito, valuti Tiberio davvero una mente perfida, malevola, rancorosa, che già nel 20 quando dispensa Nerone Cesare dal viginterato e lo fa sposare con la figlia di Druso, ha già progettato di fare suo figlio erede al trono contravvenendo all’ordine di precedenza di Augusto? Sappi che Tiberio è un aristocratico, vecchio, che non manca di parola, che vuole andare in pensione, a godersi quanto meritato con la sua personale vita al servitium dello stato, convinto di aver ben meritato e di lasciare una fama di vir politico, degno dei suoi avi!.
Di Tiberio, nonostante le crudeltà narrata, i tanti ambigui processi e i suoi stessi isterici interventi – episodio di Montano.-42,1 (Tiberio dovette quindi ascoltare le contumelie, da cui veniva straziato, in segreto, e ne fu così colpito da mettersi a gridare, che si sarebbe giustificato o subito o dopo l’istruttoria: stentarono a calmarlo le preghiere di molti e l’adulazione di tutti!)- e le perversioni sessuali, senili, nessuno storico ha parlato di lui come monstrum! Ti aggiungo che lo stesso Tacito mostra Tiberio come straziato dai rimorsi a seguito dei processi del 31, e specie di quello di Cotta Messalino -un nobile decaduto dissoluto, disonoratosi con azioni infamanti -che aveva ingiuriato G. Cesare (Caligola) come uomo quasi incertae virilitatis/ di scarsa virilità e di aver offeso la memoria dell’Augusta madre, convinto di essere protetto dal suo Tiberiolo, contro gli accusatori Lepido ed Arrunzio, in una lettera, scritta al senato: possano gli dei e le dee farmi perire di una morte peggiore di quella di cui mi sento consumare giorno per giorno, se so che cosa io vi debba scrivere, senatori, o come vi debba scrivere o che cosa io non debba assolutamente scrivere. in questo momento!.
Il commento ad un tale rimorso dello storico è questo: a tal punto le sue colpe e le sue vergogne si erano trasformate per lui stesso in tortura!. E non invano il maestro di ogni sapienza soleva affermare che, se il cuore dei tiranni si potesse mettere a nudo, lo si vedrebbe straziato di colpi; infatti, la crudeltà, la dissolutezza e le azioni ingiuste producono nell’animo le medesime ferite che le sferzate producono sui corpi.
Marco, dopo avere scomodato Socrate con la citazione di Platone Gorgia LXXX,524, lo storico scrive: né l’altissima sorte né il raccoglimento in solitudine preservavano Tiberio dal rivelare lui stesso i tormenti della sua coscienza e il suo castigo!/quin tormenta pectoris suasque ipse poenas fateretur! Annales, VI,6,1-2!.
Per lei, quindi, come Flavio, anche Tacito non è attendibile, proprio perché retorico e lontano dai fatti di cui parla in modo aneddotico come Svetonio! Quindi, si può dire che la grave colpa di Tiberio è quella di non avere indagato sulla morte del Figlio, subito, ed operato drasticamente , in ritardo, contro la coppia malefica Livilla-Seiano!
Certo, se lo avesse fatto subito, la storia sarebbe stata diversa e quanto seppe dall’ indagine dal processo di Apicata nel 31-32 gli sarebbe stato utile per frenare l’ascesa di Seiano: la morte di Druso dovuta all’inimicizia di Seiano e alla infedeltà coniugale di Livilla, rimane troppo a lungo invendicata e partorisce col tempo tanti rumores insieme a contumelie ed ironie sull’imperatore, incontrollabili, nonostante il processo all’ex moglie di Seiano e a Livilla stessa!.
La storia, però, non si fa con i se!
Comunque, professore il destino fu crudele e con Antonia e con Tiberio poi divenuti simboli di scaltrezza e di cunctatio, di perfidia senatoria, di vecchi politici! le ragioni di una non volontà di sapere sono più di un animo disturbato fin da bambino come quello di Tiberio, abile a negare e a chiudersi nel dolore, per fare una corazza al suo male infinito, come per nasconderlo, mentre la vita seguita a fluire come se nulla fosse successo! eppure Tiberio, pur con questo carattere seppe governare bene l’impero anche negli ultimi anni, pur segnati dal potere eccessivo di Seiano e poi di Macrone, autorizzati anche dalla debolezza senile, più mentale che fisica di fronte agli immensi problemi di un impero colossale!.
Marco, per ultimo, ti dico con certezza che Antonia conosce il testo della lettera di Livilla, che è istigatrice di Seiano, come donna insistente nel ricordare la promessa di matrimonio, avuta dal pretoriano- promissum matrimonium, flagitante Livia, Ibidem 39,1- che oltre tutto, ha già divorziato, per fare la sua legittima richiesta all’imperatore!
Ecco – il testo – Tacito, Annales, IV,30,1-!
Tacito scrive : Seiano accecato dalla eccessiva fortuna e per di più infiammato dalla bramosia di una donna, poiché Livia gli rammentava continuamente le nozze promesse, presenta un’ istanza all’imperatore/ nimia fortuna socors et muliebri insuer cupidine incensus , promissum matrimonium flagitante Livia, componit ad Cesarem codicillos.
Professore, non era pericoloso per Seiano presentare due anni dopo la morte di Druso, codicilli richiedenti il matrimonio, lui eques, con la figlia di Antonia e di Druso Maior, ex moglie di due Cesari, Gaio Cesare e Druso minor, figlio dell’ imperatore stesso, avvelenato e morto nel giro di una settimana tra sofferenze inaudite? Non poteva essere un’autoaccusa?
Marco, il pretoriano ha già un potere nel 25 tale che può effettivamente evidenziare la sua volontà di essere e di rimanere al servitium diretto dell’imperatore e non di cercare di fare carriera, essendo una guardia del corpo felice di servire il padrone, uomo fidelis verso l’Augusto, come lo era per gli altri dei, tanto da confidare le sue speranze e i suoi desideri alle orecchie dei principi, prima che agli dei, a seguito della benevolenza di Augusto, padre, e alle moltissime prove di stima, dategli dal figlio Tiberio / benivolentia Augusti patris et mox plurimis Tiberii iudiciis ita insuevisse, ut spes votaque sua non prius ad deos quam ad principum aures conferret.-ibidem-
Professore, Seiano, prima della richiesta, fa una professione di fede nel suo dominus theos, legge vivente?
Al di là della captatio benevolentiae, il pretoriano aggiunge che mai aveva pregato di ottenere dignità onorifiche, ma preferiva vigilare e lavorare come semplice soldato tra i soldati, per l’incolumità dell’imperatore / Neque fulgorem unquam precatum honorum exubias et labores, unum e militibus pro incolumitate imperatoris malle -ibidem,2-
Lei ha mostrato come Seiano ritiene cosa bellissima/ optimum aver ottenuto già la possibilità di parentela con Tiberio?
Marco, la cosa non deve sorprendere se già nel 20 è coniunctione Caesaris dignus crederetur- Ibidem III,29,3, di essere cioè ritenuto degno d’imparentarsi con l’imperatore , essendosi stabilito di dare al figlio di Claudio e di Urgulanilla, di nome Druso, la figlia di Seiano, macchiando, secondo Tacito, la nobiltà della stirpe con l’innalzare eccessivamente Seiano, già sospetto di nutrire aspirazioni smodate!.
Marco, è quello l’anno in cui Tiberio concede a Cesare Nerone ormai in età giovanile di essere dispensato dal viginterato cioè di far parte di un gruppo di magistrati- triumviri capitales, triumviri monetales quattuorviri addetti alle strade e decemviri incaricati di comporre le liti- e di poter chiedere la questura cinque anni prima dell’età legale, accontentando il popolo con una elargizione di grano e sale, felice già di vedere giunto alla pubertà il figlio di Germanico, divenuto Pontefice e sposato con la figlia di Druso minore, Giulia.
Proprio quello è l’anno in cui Druso Minore già ha potere imperiale a Roma e lo gestisce , trascuratamente, in apparenza, a parere dei senatori mentre il padre fa le prove in Campania per la sua futura pensione?
Marco, la fonte di Tacito – autore che legge i fatti, interpretandoli dall’angolazione del tempo domizianeo (cfrVon Fritz, cit. e E. Paratore,storia della letteratura Latina,Sansoni,2000) – non è attendibile -migliore è quella di Flavio e di Cassio Dione che pur rilevando il modo giovanile di reggere lo stato mentre Tiberio è assente, mostrano una volontà di vedere il figlio successore, già console e destinato al secondo consolato nel 21, cosa che può avere determinato la rabbia nei giuli che sono ancora in lacrime, nel vedere il predominio claudio e con Tiberio e con Druso e con Seiano, specie dopo che lo zio Giunio Bleso è salutato imperator a seguito della fortunata guerra in Africa.
L’affermazione di Tacito sembra rimandare ad un giudizio posteriore di almeno 70 anni: si rideva anche per concessione al giovane del pontificato perché la potenza dei cesari era all’ora agli inizi e il ricordo della libertà era recente perché aveva richiesto anche la questura cinque anni prima dell’età legale, adducendo come argomento che a lui e a suo fratello erano state fatte le stesse concessioni su richiesta senatoria da Augusto per cui i senatori consideravano la parentela di un patrigno coi figliastro meno stretta che non quella di un avo col nipote!-ibidem 29,2-.
Al di là del pensiero ironico di Tacito, professore, lei mi vuole dire che lo scrittore, scrivendo dopo circa tre generazioni, legge i fatti specie quelli del 22 -3 – a cominciare dalle preghiere – fatte dai feciali, da quelle dei senatori e degli equites per la salute dell’augusta-e dagli onori riservati, come già al fratello, a Druso Cesare, che prende la toga virile,- li interpreta per rilevare l’obsequium senatorio, la clemenza di Tiberio nei confronti di Lucio Ennio- reo di lesa maestà per aver convertito in oggetti di argento una sua statua , anche se degno di punizione secondo il giurista Ateio Capitone che, per ben meritare coi potenti, macchia le benemerenze di uomo politico e il suo alto valore di cittadino privato-., al fine di mostrare la decadenza dei costumi e l’avviata deriva della società romana?
Marco, per Tacito mentre si consolida la forza del principato /principatus vim, crolla ogni concezione socio-civile e morale tanto che decide di riferire solo le opinioni notevoli per nobiltà o per bassezza/insegnes per honestum aut notabili dedecore, ritenendo compito precipuo delle annales di preservare dall’oblio gli atti virtuosi e di far sì che contro le parole e le azioni disoneste vi sia il timore dell’infamia da parte della posterità –Annales, III,65-
Marco esamina questa frase aggiunta: Del resto quegli anni furono talmente avvelenati ed insozzati dalla simulazione, che non solo i più alti personaggi dello stato, ma tutti i consolari, gran parte di quelli che avevano esercitato la pretura ed anche molti senatori subalterni gareggiavano nell’alzarsi a proporre onoranze scandalose ed eccessive!-ibidem.
Tacito giunge perfino a concludere che Tiberio, ogni qualvolta usciva dalla curia, fosse solito esclamare in greco o homines ad servitium paratos!/ tanto da scrivere: Scillicet etiam illum, qui libertatem publicam nollet, tam proiectae servientium patientiae taedebat/ è chiaro che anche colui, che pur non avrebbe voluto la libertà pubblica, era disgustato dalla abietta soggezione, da schiavi, dei senatori.
Professore, così, comunque, dà segnali di stima per Tiberio, un aristocratico che si vergogna del comportamento di tutta la società romana, compresa la sua stessa classe senatoria, che, ora, come il popolo è degna di servire, nonostante la cultura libertaria italica ed occidentale! Il disprezzo del pastor per il gregge diventa una lezione per il nipote intelligentissimo, Caligola!
Capisco, perciò, come il potere specie sovrano segna le coscienze degli uomini! Ma, ora nella lettera di Seiano all’imperatore non c’è segno di reale servilismo ma solo obsequium formale con un tono amichevole ?
Certo Marco! Seiano invita l‘imperator a tenere presente un amico, che mira a godere solamente della gloria di una parentela, deciso, comunque, a non sottrarsi dai doveri professionali impostigli, in una rivendicazione di fedeltà di un eques, suo strenuo difensore, desideroso solo di voler vivere accanto contro gli iniqui risentimenti di Agrippina, attiva contro di lui, a causa dei suoi figlioli/ adversus iniquas Agrippinae offensiones idque liberorum causa.
Come e cosa risponde Tiberio ad una tale lettera e ad un amico, che vuole proteggerlo dalle insidie /offensiones dei Giuli (Agrippina e Figli)?
Tiberio, passati alcuni giorni di riflessione, convoca il pretoriano e gli comunica con molta diplomazia, non disgiunta da fermezza, dopo aver lodato la pietas ed accennato poco ai benefici ricevuti dal servitium, il suo rifiuto al matrimonio e lo motiva con precise ragioni, avendo chiara la situazione che in Roma già esistevano statue sue e del pretoriano, da venerare, e che i clientes suoi ormai erano anche del suo prefetto, ritenuto pars della sua domus!
Tiberio ha, quindi, ben compreso il piano di scalata al potere del pretoriano, già nel 25!. Peccato che noi non possiamo rilevarlo esattamente dalle fonti storiche che hanno prima e dopo la morte di Seiano un buco e a poco serve il V fragmentum libri, che si riferisce da una parte all’anno 29 ma che sottende gli ultimi mesi di quell’anno, di tutto il 30 e tutto il 31 , tramandati in modo confuso, disordinato, volutamente criptato!
Eppure, furono gli anni tiberiani in cui accaddero avvenimenti controversi e gravi per la domus giulia, come la relegazione di Agrippina, l’esilio e la morte di Nerone Cesare, l’imprigionamento di Druso Cesare e sua fine, ma anche la morte di Seiano, improvvisamente crollato! Infine le contemporanee notizie sulle staseis/ricolte dei Frisi in Germania e delle popolazioni aramaiche in Siria e in Giudea a causa del fenomeno messianico turbarono i cives romani che dovettero rimanere sorpresi dagli eccidi delle guarnigioni circondate ed annientate prima sul confine eufrasico e poi nella capitale giudaica dalla coalizione dei Parthi e coi Nabatei coi giudei, che proclamavano al grido di Maranatha l’ arrivo del Signore e il suo malkuth/regno eterno, mentre tutta la pars orientale era coinvolta nella ribellione antiromana quando Tiberio non interveniva direttamente, affidandosi per il momento ai governatori, che morivano, quasi allo stesso tempo (Emilio Lepido- 33- a Roma dove viveva dal 28 a seguito del richiamo dalla provincia di Asia, con una certa indipendenza verbale; Pomponio Flacco,33; Artassia,34 ; il tetrarca Filippo 34 ) mentre il praefectus Ponzio Pilato era costretto a rinchiudersi, a Cesarea, dopo il tentativo di frenare gli insorti a Gerusalemme e la costituzione del Malkuth ha shemaim e mentre Erode Antipa si rifugiava a Macheronte!.
Di tutto questo si conosce poco dalle fonti latine, poco da Plutarco e Dione Cassio, poco da quelle giudaiche e solo più tardi nel II secolo dopo la fine dell’impresa di Shimon bar Kokba, apologisti cristiani e poi i padri della chiesa risollevano il velo della storia, cominciando a tessere una trama cristiana, chiara con i constantinidi e i teodosiani.
Comunque, professore del periodo 32-36 in Giudea ancora sotto il potere nominale di Ponzio Pilato, non si sa niente se non qualcosa di vago e cronologicamente contorto, anche per la stessa impresa vitelliana, fissata all’incirca tra la fine del 35 e il 16 marzo del 37, raccontato in due anni in modo confuso da Tacito, che lo dichiara espressamente – Annales VI,38,1- e da Flavio secondo una logica giudaica manovrata dal regime flavio, dominante, aspirante ad essere domus soterica dopo l’anno terribilis dei quattro imperatori- tra cui un Vitellio, la cui stirpe è ovviamente esecrata -.cfr. Caligola il sublime e Giudaismo romano II ,cit. sulla spedizione di Lucio Vitellio sulla politica di Sinnace, sull’elezione romana di Tiridate e su Artabano III e le popolazioni caucasiche, specie dopo la ribellione dei Cieti cappadoci, puniti per ordine di Vitellio da M. Trebellio , dopo la caotica situazione in Seleucia , a seguito delle lettere intercorse tra Fraate e Ierone, satrapi delle più potenti prefetture parthiche (validissimas praefecturas Tacito, Ibidem 41 ) e i rapporti controversi di Abdagese -protettore e fautore di Tiridate , re inviato da Tiberio,- e lo stesso Artabano allora esule in Adiabene, secondo Flavio, Ant. Giud. XVIII!.
Professore, una situazione veramente caotica, incredibilmente intrecciata, forse, subito dopo la sconfitta e il trattato di Zeugma!
Sono troppi, Marco, i dubbi e non so dipanare bene la matassa troppo attorcigliata, considerata l’ambiguità delle fonti stesse, specie quella rimasta mutila di Annales XI, giù trattante di Claudio!
Tacito, oltre tutto, non ci aiuta a capire, come nemmeno Flavio e nemmeno Dione Cassio e tantomeno Vitellio,-scrittore di Upomnemata– anche se si può intuire qualcosa e comprendere il mistero della impossibilità da parte di Tiberio di trovare un sostituto a Pomponio Flacco in Siria-, cfr. Annales, VI,26, 2,- dopo la nomina di E. Lamia, (prefetto di Roma che, comunque, morì prima ancora di avere l’autorizzazione a partire per la Siria| – cosa che gli aggiunse alta considerazione/dignationem addiderat): viene letto un messaggio di Cesare nel quale deplorava che gli uomini più valenti e più adatti a comandare eserciti rifiutassero tale incarico, tanto che egli doveva ricorrere alle preghiere, perché qualcuno dei consolari si inducesse ad assumere il governo di province !.
Un munus tanto onorifico, rifiutato da tutti, anche a seguito di preghiere da parte dell’imperatore , caro Marco, fa veramente pensare ad una situazione siriaca, veramente micidiale, proibitiva, pericolosissima per un consularis, per cui bisogna ritenere che l’impresa di Lucio Vitellio sia ancora più grande di quanto abbiamo per anni pensato, nonostante la sovrapposizione del giudizio dei Flavi! Il fatto che proprio nel 34 anno compare la fenice in Egitto, cosa che si verificava post longum saeculorum ambitum/dopo una lunga serie di secoli , un uccello che si vedeva a secoli di distanza come già detto da Erodoto-Storie, II,73-, poi notificato da Seneca- Lettere a lucilio.XLII,1- e in epoca cristiana da Ambrogio –Hexaemeron, V,79- portatrice di eventi eccezionali in quanto l’uccello, quando è vicino a morte costruisce un nido e vi infonde il principio fecondatore /vim genitalem, da cui nasce un nuovo uccello e che la prima cura di questo, appena adulto, è di dare sepoltura al padre, non temerariamente, (neque id temere!) ma, dopo aver sollevato un certo peso di mirra e provato le proprie per un lungo tragitto, quando si sente capace di resistere al carico e al volo, la fenice si addossa/subit il corpo del padre e lo trasporta all’altare del Sole, sul quale lo arde. Tutto ciò è incerto e arricchito da favole!-
Davvero, professore c’è di tutto per favoleggiare! La fenice, simbolo di Christos è allora nel 34, invece figura di Caligola neos Sebastos soothr per il mondo romano, che brucia il padre/Tiberio sull’altare del Sole/Ottaviano Augusto, allegoria alessandrina dell’ eternità del Regno nuovo del principe Romano nella celebrazione dell’ektheosis del 40 d.C., poco dopo la vittoria vitelliana sui Parthi !
E’ possibile quanto dici in relazione alla mia supposizione ed affermazione, sottesa a Caligola il sublime, Marco, se si legge Censorino, De die natali, XVIII,10 e si comprende la rinascita ogni cinquecento anni della Fenice. Ma, avendo il cristianesimo, in epoca constantiniana vinto sul paganesimo, il muthos della fenice, che riappare ogni mille anni – Millenarismo!?- assume un altro valore quello di Lattanzio- De ave Phoenice – in cui Christos nikeths è il theos, nomos empsuchos, segno di vita eterna per il cristiano!
Comunque, Marco, rimanendo sul 34 d.C. e sul periodo oscuro di uno o due anni precedenti e successivi a questo, si può dire di sicuro solo che Tiberio, pur rimanendo a Capri, pur dando rilievo grande a Macrone dirige l’imperium cercando di regolarizzare il mondo causasico, barbarico, e di opporlo ad Artabano e ai parthi, in attesa di una spedizione militare con un dux capace e fedele! Sappi, però, che non si conoscono nemmeno le quattuor et quadraginta orationes contro Liviam- Non si sa se la causa è comune con quella contro Apicata o se sono due i processi per le due donne, anche se sono rimasti lacunosi alcuni discorsi del libro VI libro – tra cui forse dovevano essere quei 44 tenuti in Livillam ( V.6.1)- dei quali Tacito riporta solo il discorso di un amico di Seiano, innominato, che, avendo deciso di morire, non ha paura di attirare vergogna su di sé e malevolenza su Seiano!
Tacito così scrive: la sorte è mutata se (TIBERIO) colui che lo ha avuto collega e genero perdona a sé questo errore, perseguitando gli altri che scelleratamente accusano l’uomo che prima avevano vergognosamente blandito. Io non starò a distinguere se sia miseria peggiore essere accusato per amicizia o accusare un amico, non metterò alla prova né la crudeltà né la clemenza di alcuno, ma, con libera decisione e con l’approvazione della mia coscienza preverrò il pericolo. Vi prego di ricordarmi non piangendo, ma piuttosto rallegrandovi di poter annoverare anche me tra quelli che con una morte onorata si sono sottratti ai pubblici flagelli – Ibidem, 1-3-.
Ti aggiungo, Marco che Terenzio, pretoriano ed eques, come Pilato, in un momento in cui tutti mentono, a Roma, dove tutti rinnegano l’amicizia con Seiano solo lui rimane fedele alla sua memoria e pur accusato, lo difende dicendo in senato: forse il riconoscere la colpa gioverà meno alla mia condizione che non il negarla, ma, comunque la cosa debba finire, confesserò che non soltanto sono stato amico di Seiano, ma ho desiderato divenirlo e mi sono rallegrato di esservi riuscito!. L’avevo conosciuto come collega del padre nel comando delle coorti pretoriane, più tardi l’avevo visto assumere contemporaneamente funzioni civili e militari/urbis et militiae munia -VI,8,2-. I suoi parenti e famigliari venivano colmati di onori, l’intimità con Seiano era il titolo più valido all’ amicizia di Cesare/ut quispe Seiano intimus ita ad Caesaris amicitiam validus -ibidem-.Quelli, invece, a cui egli era ostile, dovevano lottare con la miseria e con la paura. Io non prendo ad esempio nessuno: difenderò, a mio solo rischio, tutti quelli che come me, furono estranei ai suoi ultimi intrighi. Infatti noi non onoravamo Seiano di Volsinii, ma il membro delle famiglie Giulia e Claudia congiunto ad esse in parentela, il genero tuo, Cesare, il tuo collega nel consolato, colui che esercitava le tue stesse funzioni nel governo/Non enim Seianum vulsiniensem et Claudiae et Iuliae domus partem, quas adfinitate occupaverat, tuum, Caesar, generum, tui consolatus socium, tua officia in re pubblica capessentem colebamus.
Senti, Marco, come parla Terenzio che conosce il rapporto intimo tra il suo capo e Livilla nuora di Tiberio e il loro amore manifestato coram popolo quando Tiberio è assente, anche se non ha concesso il matrimonio: non tocca a noi valutare chi tu innalzi al di sopra degli altri, né le ragioni per cui lo innalzi: a te gli dei hanno dato il supremo diritto di decidere in tutte le cose e a noi rimane la gloria di obbedire. Noi ora vediamo quello che accade sotto i nostri occhi, a chi tu dispensi ricchezze e distinzioni, a chi dài la massima possibilità di nuocere o di beneficare. Nessuno potrebbe negare che Seiano l’abbia posseduta: indagare i sentimenti del principe, i suoi disegni segreti è cosa illecita e pericolosa, né d’altra parte si otterrebbe lo scopo.
Ascolta la sua conclusione: non considerate, o senatori, l’ultima giornata di Seiano, ma 16 anni della sua vita! Noi veneravamo Satrio e Pomponio (due uscieri ministeriali): essere conosciuti dai suoi liberti e persino dai suoi schiavi, che vegliavano alla sua porta, era ritenuto un vantaggio prezioso. Che dunque? si dovranno per questo indistintamente difendere tutte le azioni di Seiano? certamente no: ma si faccia una giusta distinzione: Si puniscano di tradimento contro lo stato e il complotto contro la vita dell’imperatore; quanto all’ amicizia e ai suoi obblighi la loro fine medesima avrà assolto da quelli te, o Cesare e noi insieme! Per i pretoriani, per i senatori, per il popolo la coppia Livilla- Seiano domina, a Roma, avendo l’appoggio dell’Augusta, anche se è controllata ed ostacolata da Antonia.
Livilla giulio-claudia con Seiano, onnipotente ministro tiberiano, è la vera domina, di fatto, anche se non è di nome! Claudio, suo fratello, è al suo fianco, contro Agrippina e suoi figli che pur protetta da Antonia è costretta a subire i tradimenti di molti dei suoi, a seguito della persecuzione congiunta di Tiberio e di Seiano, costretta a vedere diminuire i suoi seguaci, specie dopo che accusatori con un tranello, avendo sentito i discorsi di Tizio Sabino, accusato di lesa maestà, ne ottengono condanna di morte (Annales, IV. 68-69-70 ) e dopo la cattura di Druso Cesare, irretito dai discorsi dei seianei ed attirato dalle spie, che lo raggirano con la speranza di scalzare il fratello maggiore, allora vacillante ed insicuro, nonostante i diritti di precedenza alla successione imperiale.
Tacito conclude dicendo: in nessun altro caso Roma fu più costernata ed atterrita; ciascuno dissimulava anche coi parenti più stretti si evitavano incontri, e colloqui, ogni orecchio sia di amici che di sconosciuti era sospetto; persino le cose mute ed inanimate, come il tetto e le pareti, venivano guardate con diffidenza!( Ibidem 69.3).
Sul caso Sabino, portato dai pretoriani a morte, oggetto di commiserazione, lo stesso Tiberio interviene con un’accusa contro il consolare di aver corrotto i suoi liberti ed attentato alla sua vita: … il condannato veniva tratto al supplizio con la bocca coperta dalla veste e la gola serrata e per quanto gli era possibile, si sforzava di gridare che così si inaugurava l’anno, che queste vittime si sacrificavano a Seiano. Ovunque volgesse lo sguardo ovunque giungessero le sue parole era fuga e deserto: le strade le piazze si vuotavano e certuni ritornavano poi indietro e si facevano vedere di nuovo spaventati dal fatto di aver avuto paura.- Ibidem 70.1-.
Pensa, Marco, che il primo dell’anno romano è festivo e quindi la giornata di norma si passa in mezzo alle cerimonie sacre e agli augùri e nemmeno si possono usare le parole profane, ora, invece si adoperavano le catene e il capestro!
Anzi Tiberio, secondo Tacito, l’aveva perfino studiata e meditata una tale azione perché non si pensasse che qualche cosa potesse impedire ai magistrati nuovi di aprire il carcere così come aprivano i templi e i santuari – Ibidem-.
Lo storico – ibidem- anzi aggiunge: infine l’imperatore ringraziò i senatori di aver punito un nemico dello stato ed aggiungeva che la sua vita era in pericolo e che egli sospettava insidie di avversari . Non indicava, però, nessuno a nome, tuttavia ciascuno era certo che alludesse a Nerone e ad Agrippina!.
Dunque, professore, come lei già ha mostrato in Caligola il sublime, negli anni 28-31 a Roma sono quasi tutti sianei, a detta anche dell’eques pretoriano Terenzio, che è un’altra figura di Ponzio Pilato, persona solo più fortunata, dello stesso ceto sociale e professione!.
Certo Pilato, perciò, sa bene che al suo ritorno in Patria l’attende un giudizio e che l’esito del processo non può essere diverso da quello di Terenzio, anche se arriva in un momento veramente fortunato, il più bello della storia romana in cui si crede che ci sia un neos prodigioso sul trono imperiale, Gaio Cesare (Caligola scarpetta-sandaletto per i militari, come Cassio Cherea, che lo avevano visto piccino nel 15), che avrebbe realizzato i sogni di ognuno sulla terra e riportato la mitica età saturnia, a seguito della venuta della fenice, uccello precursore del miracolo divino!
Marco, per di più voglio mostrarti quello scriba -che tu ingenuamente ritenevi potesse essere Pilato – nel corso della vicenda della morte di Druso figlio di Germanico nel 33 – Annales, I,23-24-, legata alla richiesta di seppellire Asinio Gallo ex marito della sua ex moglie Vipsania ed amante di Agrippina, sua sorellastra – fatta all’imperatore da alcuni – compianto da Tiberio, che, imprecando, dà la concessione, lamentandosi che gli era stato sottratto un accusato senza che la sua colpa fosse riconosciuta pubblicamente, come se in tre anni gli fosse mancato il tempo per processare un vecchio, che era stato console e padre di tanti consoli/Scilicet medio triennio defuerat tempus subeundi iudicium consulari seni, tot consularium parenti!
La morte di Asinio determina anche quella per Agrippina che conosciuta la morte di Asinio, prende la decisione di morire di fame, saputo anche della morte orrenda del figlio Druso! Il giovane, madre, pur di mantenersi in vita, mastica l’imbottitura del proprio giaciglio per otto giorni/ cum se miserandis alimentis , mandendo e cubili tomento, nonum ad diem detinuisset .
Eppure Tiberio aveva pensato nell’ottobre del 31, nel corso della novitas di Seiano, di opporgli proprio Druso, giovane molto popolare in Roma, in caso di sollevazioni plebee, e sembrava, poi, chiusa la vicenda del pretoriano, che lo avesse perdonato anche per le implorazioni della nuora, ed, invece, poi lo volle far morire, preferendo la crudeltà al pentimento.
Senti cosa capita a Druso prima di morire: si accanì contro il defunto imputandogli amori infami, odio mortale contro i suoi ed intenzioni ostili verso lo stato, ed ordinò la pubblica lettura del diario in cui erano state registrate giornalmente tutte le azioni e le parole di lui: atrocità maggiore non fu mai veduta: che per tanti anni fosse stato a fianco di Druso chi aveva l’incarico d spiarne il volto, i lamenti e perfino i più segreti sospiri e che l’avo abbia potuto udire leggere e produrre tutto ciò in pubblico, sembrerebbe incredibile se le lettere del centurione Attio e del liberto Didimo non designassero per nome i servi che avevano respinto e spaventato Druso, ogni volta che tentava di uscire dalla sua camera. Il centurione aveva riferito, come una grande prodezza, anche le proprie parole piene di ferocia e le imprecazioni che il morente, fingendo dapprima un eccesso di follia, aveva lanciato, quasi in delirio.
Povero giovane e povera Agrippina! E’ vero, professore, che Tiberio fa un decreto per accomunare l’evento della morte di Agrippina con quella di Seiano tra i giorni nefasti per lo stato, dopo aver fatto morire il giovane Druso?
Marco, su Agrippina – di cui Tacito fa un breve ritratto come donna incapace di equanimità ed avida di dominio, di un virago con passioni virili, che, comunque, nella prigionia si era spogliata di ogni femminile debolezza– Tiberio osservò che lei era morta nel giorno stesso, in cui due anni prima Seiano aveva scontato la pena e volle che tale coincidenza fosse tramandata alla memoria e diede vanto di non averla fatta strangolare né gettare nelle Gemonie: gliene furono rese grazie da senato e si stabilì che ogni anno nel XV giorno prima delle calende di Novembre (18 ottobre), data dell’una e dell’altra morte si facesse una offerta a Giove!.
Professore, grazie per avermi mostrato la morte di Druso e quella della madre, ma non comprendo il sacrificio a Zeus né il suo significato?
Marco, i romani, In caso di calamità pubbliche, solevano fare sacrifici a Zeus, perciò Tiberio, scampato al pericolo mortale con Seiano e poi con Agrippina, ora vuole ringraziare la divinità per la sua incolumità, per scongiurare, oltre tutto le maledizioni lanciate contro lui dal nipote Druso.
Il vecchio fece fare suppliche alla triade capitolina per la sua salute temendo i sinistri presagi augurati all’avo di pagare il fio dei suoi delitti, alla stirpe degli antenati e ai discendenti, per aver trucidato la nuora, il figlio del fratello e i nipoti, avendo riempito di stragi l’intera sua casa-ibidem-.
Aggiungi a questo la simulazione dei senatori, che interrompono la lettura della lettera dell’imperatore, fingendo esecrazione, mentre si insinuava in loro un senso di pauroso stupore per il fatto che un uomo così astuto in passato e così abile nel coprire le proprie colpe, ora fosse giunto a tale impudenza da offrire a tutti, quasi fossero abbattute le pareti del carcere, lo spettacolo del proprio nipote sotto la sferza di un centurione, colpito per mano di servi, implorante, invano, il sostentamento ultimo della vita- Ibidem 24, 2-3-!
Tacito vuole mostrare non solo il degrado morale dei senatori ma anche quello della stirpe Giulio Claudia, anche se talora evidenzia un certo rigurgito di coscienza senatoria come quando, dopo il discorso di Terenzio, pur votando tutti la morte dell’imputato, poi, come ravveduti, condannano all’esilio o a morte anche gli accusatori, dimostrando che erano stati scossi dalle parole vere del pretoriano.
Anche questo, comunque, professore, rientra nell’XI libro, certamente tramandato,a seguito di molteplici manomissioni ed interpolazioni con adattamenti mirati e strumentali alle esigenze dei manipolatori trasmettitori e occidentali e cristiani!?
E’ sottesa la volontà comune di rimpasto senatorio con elementi non solo italici ma anche gallici, ben collegato con l’editto di Claudio che è skopos, comunque, non unico ben legato con quello di tramandare notizie sul ritorno a Roma degli ebrei e con quello di mostrare la volontà imperiale di assicurare loro la libertà di culto, concessa a patto che cessino di considerarsi stirpe divina e di infangare i riti degli altri popoli, degni di onorare ognuno i propri dei: Claudio ribadisce la libertà di culto a tutti i popoli e ridimensiona la pretesa giudaica di una superiorità religiosa, già punita dal nipote, dopo il privilegio iniziale riconosciuto da Cesare ed accettato da Augusto e Tiberio, che, dato opportunità di vivere e prosperare nell’imperium con propri politeumata, avevano fatto proselitismo e creato un sistema commerciale con emporia e con trapezai tale da essere l’etnos dominante nel kosmos, essendo sparso in ogni parte dell’ ecumene, sviluppando un concezione di caritas nuova rispetto a quella pagana determinando un’epopea mercantilistica senza precedenti avendo la supremazia economica e religiosa, grazie alla protezione romana in una propagazione di un Dio unico, onnipotente pater: Claudio nell’editto per gli alessandrini dimostra che oltre a conoscere la grandiosità del fenomeno economico giudaico e la proliferazione delle sinagoghe nell’impero romano dato il domicilio giudaico in ogni città piccola o grande dell’impero viventi secondo la legge dei padri protetti dalla lex romana, vieta il proselitismo ed impone equità religiosa prescrivendo libertà di culto ad ogni popolo e limitando la superiorità giudaica rigida nella sua coscienza di elitarismo religioso quasi fosse un popolo santo!.
E’ probabile che tutte le altre forme sono diversivi che coprono questo segreto nel XI libro e forse anche in tutto il buco storico cioè dare possibilità di interpretazione utile a seconda degli enunciati tramandati in relazione ai tempi in cui volutamente lasciati come tradizione tacitiana per chi vincitore fa la storia e può manovrare sui documenti di uno storico, pietra fondamentale per ogni ideologia.
Lei vuole dire, professore, che Tacito, da solo o con altri storici, è utilizzato per propri fini da giudei alessandrini e poi da christianoi nel corso dei secoli, fino al momento del concilio di Costantinopoli quando necessita una certa chiarezza storica su Christos nato e morto dopo sofferenze in epoca tiberiana in modo che possa diventare esemplare modello di vita come risorto dai morti e rimanere come ente vivente nella Ecclesia unica, santa, catholikh, apostolica.
Possibile che il testo del libro XI di Annales abbia un così grande valore e celi un mistero, congiunto con tutti gli altri libri non tramandati?
Marco, questo mi risulta dal lavoro sui codici in cui tanti hanno cercato probabili letture, operando dalla propria angolazione con serietà, senza teologali interpretazioni sacerdotali interessate, ed io ho fatto un’operazione scrupolosa, cercando di trovare dati certi circa la venuta del Christos senza pretese di ritrovamenti sensazionali, cosciente, invece, dell’insufficienza della ricerca e della debolezza del mio ingegno, soggetto spesso ad equivoci e a gravi errori!
Lei, professore, ama lo studio di codici antichi, ma io, che non ho alcuna competenza e mi perdo nel ginepraio degli scritti antichi tramandati e non tramandati, la prego di trascurare questo argomento e di seguitare, invece a mostrare i motivi per cui Tiberio non concede la mano di Livilla a Seiano, che pur vuole tenersi ancora amico.
Marco, Tiberio mostra a Seiano che lui non può comportarsi come un pater familias, privato, ma è imperatore vir civilis, pubblico, che sa distinguere l’interesse privato da quello pubblico. Egli, come aristocratico, diversamente da Augusto eques, che lui pur sempre ha seguito come esempio, è vincolato dalla pubblica opinione, tipica di repubblicani!. infatti Tiberio afferma che se fosse un privato avrebbe risposto che la decisione doveva essere di Livia, che dopo u duplice matrimonio con patrizi si accontentava di vivere con un eques , avendo come consigliere una madre ed un’ava.
Con questa sua affermazione l’imperatore sottende che ha messo in relazione da una parte Livia e l’Augusta madre – morta nel 29 e quindi il rifiuto precede tale data!- e da un’altra Agrippina ed Antonia, rivelando che è a conoscenza della lotta interna alla famiglia giulio-claudia (cfr. Caligola il sublime anche per la successiva richiesta di Agrippina di matrimonio, negata!) e, quindi, teme complicazioni nel caso di concessione matrimoniale nella sua famiglia già lacerata e divisa/in partes …distraxisset!
L’imperatore poi marca la non possibilità per Seiano miles et eques, di rimanere in tale stato considerata la dignità di Livilla, già moglie di Gaio e di Druso, in quanto i cives romani filogiuli, avendo visto la potenza di Germanico fratello e di Druso suo nonno, non potranno sopportarlo, desiderando per lei un ulteriore grado di potere e quindi anche per il suo consorte, essendo la donna, nobile, incapace di rimanere in uno Stato inferiore!
D’altra parte, oltre alle voci della pars ostile, ci sono anche dissensi tra i seguaci di lui, Seiano,- che già ha superato l’ordine equestre in quanto ora i magistrati cives si aprono la strada per chiedere e come clientes lo consultano per i loro affari, avendo lui di molto superato gli amici di Augusto,- che, essendo astiosi ed accusando l’imperatore, in effetti, negano il consenso!
Perciò, Tiberio saggiamente respinge la richiesta anche se sa che i due convivono e formano una coppia acclamata ed amata, come legittima in Roma! Comunque, afferma che non segue l’esempio di Augusto che certamente, avendo dato grande rilievo a Proculeio cognato di Mecenate – suo fervente seguace nelle varie campagne specie quella alessandrina- cfr. Dione Cassio, St.Rom.,LIV,3, Plutarco, Antonio, 77; Orazio, Carmina II,2, Plinio il vecchio XXXVI,59.,- lo premia, come fa con Marco Agrippa, eques ( e poi con lui stesso, patrizio) a cui concede la figlia Giulia, per avere una discendenza propria!.
Lei ha mostrato le frasi sibilline di Tiberio alla fine del discorso imperiale di rifiuto al suo collaboratore -Annales IV,41,7 : ecco quanto per amicizia non ho voluto nasconderti : del resto non mi opporrò ai disegni tuoi e di Livia/atque ego pro amicitia non occultavi: ceterum neque tuis neque Liviae destinatis adversabor!
Me le può spiegare?
Marco, in Caligola il sublime ho evidenziato che Tiberio nega il matrimonio ma si riserva per il futuro di ricompenare a tempo opportuno il pretoriano. Infatti rimanda tutto ad un altro tempo in cui dice di sdebitarsi davanti al senato, davanti al popolo e all’esercito, conformemente alla sua gratitudine personale: Ipse quid intra animum volutaverim, quibus adhuc necessitudinibus immescere te mihi parem, omittam ad praesens referre/che cosa io abbia pensato dentro di me con quali vincoli io ritenda legare te a me come pari, io tralascerò di dire.
Seiano è convinto che il segreto pensiero di Tiberio sia immiscère te mihi parem cioè di associare te, eques a me, pater, come pari mescolando ed equiparando le dignità!
Questa è la conclusione: io ti mostrerò solo questo/ id tantum aperiam monet che cioè nihil esse tam exelsum , quod non virtutes istae tuusque in me animus mereantur, datoque tempore vel in senatu vel in contione reticebo/ che non c’è un compenso tanto eccelso che le tue virtù e i tuoi sentimenti nei miei confronti non meritino. A tempo debito o in senato o in pubblica assemblea non ne tacerò!
Mi è chiaro, professore, che Tiberio con la promessa di associarlo all’impero si mantiene fedele Seiano, che sa che i suoi sentimenti e i suoi meriti hanno diritto ad un compenso eccelso, cioè ottenere Tribunicia potestas ed imperium proconsulare maius, diventare Imperatore!
Dopo il rifiuto, convivendo ormai con Livilla, Seiano per forza deve cercare di convincere Tiberio a lasciare Roma per avere quies prima in Campania e poi a Capri -Cfr X Caligola ilsublime cit.- e così dimostrare di essere degno del governo di tutto l’impero.
Seiano, non volendo indebolire, però, la propria potenza, conosciuta l‘invidia di cives romani, è indotto a limitare il numero di Clientes per stornare da sé i muti sospetti, le voci malevole, l’odiosità di giorno in giorno crescente…, inizia ad allontanare la corte assidua di clientes dalla sua casa e ad indurre Tiberio a vivere lontano da Roma in luoghi ameni /metuens tacita suspicionum, vulgi rumorem ingruentem invidiam … adsiduos in domum coetus arcendo…ut Tiberium ad vitam procul Roma amenis locis degendam impelleret.
Una così grande promessa da parte dell’imperatore diventa un capestro per Seiano ed anche per Ponzio Pilato, fedele seguace in Provincia!
Dunque, professore secondo lei, Pilato che costruisce l’acquedotto e che paga col tesoro del tempio, incurante delle lamentele congiunte di sadducei e farisei, conosce la notizia della promessa di Tiberio al suo capo, avendo ricevuto lettera o messaggi segreti che lo invitano ad agire contro i giudei?
Certo, Marco, ciò che si fa a Roma diventa notizia a Gerusalemme nel giro di un settimana! la provocazione prefettizia aumenta con la certezza della raggiunta consociazione di potere imperiale tra Tiberio e Seiano che risulta quasi certa proprio quando è prossima la fine del pretoriano, essendo pronti i piani di Tiberio per l’annientamento del potente ministro e di Livilla, già nell’estate del 31, quando i due ritengono di essere all’apice della loro fortuna!
A mio parere,Tiberio dux prudens e cunctator per prima cosa interrompe il servizio di corrispondenza epistolare pubblico con le province e lascia libero quello privato che Seiano è riuscito a avere nele sue mani tanto da non far giungere notizie reali a Tiberio, isolato a Capri, da Roma: la sola Antonia col suoi agenti commerciali e coi trapeziti può accedere alla corte caprina di Tiberio e giungere alia sua domus, sorvegliata dai pretoriani seianei. La denuncia del tradimento ad opera di Cenide (o Pallante) tramite lettera consegnata a mano all’imperatore, con la borsa dei sesterzi, che subito si assicura il favore degli ammiragli della flotta del Miseno e coinvolge Macrone, il capo pretoriano della scorta imperiale a Capri e di milites ed equites campani, che è intermediario tra Tiberio e Seiano, staccandolo dal suo superiore e legandolo con il capo dei Vigiles romani Lacone, in gran segreto, all’insaputa di tutti, coinvolgendo perfino Druso prigioniero, con la promessa di liberazione prossima, tenendo all’oscuro il senato, infido strumento clientelare di Seiano, ormai imperatore alla pari di Tiberio, venerato con statue proprie in Roma stessa come Augustus. Tutto questo, Marco, lo puoi, comunque, leggere , meglio, e in Giudaismo romano II e in Caligola il Sublime!.
Grazie, professore, la storia di Pilato e quella di Seiano mi sembra di averla compresa bene e anche quella circa il Christos- qui velatamente accennata- la cui storia vera è tra la I prefettuta di Pilato con Seiano e la II prefettura senza Seiano.
In conclusione, professore, lei col Bios di Ponzio Pilato chiude il suo lavoro di revisione storica romano-ellenistica e cristiana, con uno studio non solo su Tiberio e il suo tempo, ma anche sulla vicenda di Elio Seiano all’epoca prefetto del pretorio onnipotente e di quella di un galileo giudeo aramaico crocifisso, Gesù Christos, divenuto successivamente fondatore di religione tanto grande da dividere la Storia, in ante e post Christum natum, dopo aver rilevato la funzione methoria di Giulio Erode il filelleno?
Marco, i nuclei principali del mio lavoro di revisione sono certamente la figura umana di Gesù Christos con la sua impresa messianica, in epoca tiberiana, la definizione della prefettura di Ponzio Pilato in Giudea 26-36 d.C., interrotta da una stasis/rivoluzione antiromana dopo la morte di Seiano il 18 ottobre del 31 d.C., che risulta il periodo di Regno del Messia tra il 32 e il 36, conclusasi con la vittoria di Lucio Vitellio sui Parthi e con la morte del maran aramaico, consegnato al governatore tiberiano di Siria, vincitore, oltre alla basileia di Giulio Erode, figlio di Antipatro, un filocesariano destinato ad imporsi alla dinastia legittima giudaica degli asmonei, sostituita dal triumviro Antonio con gli antipatridi. Dunque, professore lei con la vita di Erode ha mostrato, il contesto galilaico della nascita del Messia, di cui ha visto il regno e la morte con il bios di Ponzio Pilato, per mettere in luce il valore cristiano delle formualaioni del Concilio di Costantinopoli e rilevare il conflitto tra la cultura ellenistica/ paideia e quella aramaica/ musar?.
Perciò, professore, ha impiegato anni per la revisione della figura di Erode congiunta a quella di Ottaviano, eques nikeths ad Azio, lo ha giustamente considerato o megas/il grande per i meriti di mediazione nel successivo venticinquennio tra i vincitori latini occidentalie e i vinti greci orientali, grazie anche ad una ammnistrazione eccelente, in relazione alla sua filoromanità e filoellenità ! in sinetsi dunque lei ha liberato dalla crosta secolare negativa cristiana un Erode ritenuto tiranno barbarico, ignorante, selvaggio assassino anche di bambini e lo ha connotato come civis romanus iulius e poliths, poliglotta -parlava sicuramente tre lingue, aramaico greco e latino! – come modello di turannos orientale per la società occidentale ed italica, ancora repubblicana, in lotta anvcora tra la pars ottavianea e quella antoniana, restia al Regnum, proponendosi come emblema di basileus /monarca, proprio quando è attiva la propaganda di Mecenate e del suo circolo letterario (Orazio Virgilio, Tito Livio ecc.).
Dunque, professore, lei, rivalutando Erode come filelleno, dopo averne rilevato l’appartenenza alla domus iulia e riconosciuto il merito di aver contribuito ad amalgamare il mondo occidentale latino con quello greco orientale, a seguito del tentativo di moderazione nella lotta interna giudaica degli aramaici antiromani con i giudei ellenizzati filoromani, ne ha fatto il prototipo del methorios, dell’uomo al confine tra belligeranti, che getta ponti per la conciliazione tra Romanitas e Parthia, al fine di una pacificazione generale, secondo la volontà imperiale, conseguita in effetti nel 20 a.C., poi, palese con la monarchia universale assoluta su base divina, di stampo caligoliano (cfr. Il re legge vivente e Caligola il sublime).
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