Lettera ad un accademico italiano, mai inviata
Egregio dr.
Sono Angelo Filipponi, il professore di Andrea che le ha inviato in lettura Caligola il Sublime.
La ringrazio per la lettura, per i sottesi riconoscimenti (impegnativo lavoro, lavoro di scavo e di meditazione delle fonti), per la cortesia e per la disponibilità al confronto (cosa rara tra studiosi).
Non comprendo, però, le sue perplessità sulle conclusioni e sono sorpreso che non risultano persuasive le argomentazioni specie quelle della pagina.182, che sarebbe per lei una valutazione d’ insieme.
Strano!
Comunque, le sono debitore di aver letto un mio libro: mi auguro che nel complesso abbia apprezzato la serietà di lavoro e che in un certo senso abbia potuto costatare il livello di un insegnante di liceo, non certamente lontano da quello di accademici universitari e spero di poterla incontrare e testimoniare, da una parte, riconoscenza e, da un’altra, la stima.
Lei ed io abbiamo seguito (mi scusi il rapporto che sottende quasi una presunzione di paritarietà), due strade diverse e forse abbiamo due metodi diversi come anche due sistemi diversi di vita anche se la formazione di base dovrebbe essere comune, di base filologica: lei ha saputo coniugare vivere e saper vivere, studiare e pubblicare, facendo il professore universitario, il politico, il saggista, lo storico e ricevendo la giusta ricompensa a tanto lavoro; io sono stato smodato nel lavoro, arando molti campi, facendo oltre l’insegnante e il ricercatore linguistico- storico, il traduttore e lo studioso archeologico, anche i mestieri più umili, non per arricchire ma per fare esperienza, in una ricerca plurima senza aver mai pensato al profitto, senza avere alcun riconoscimento, in modo isolato, senza équipes, senza collegamenti politici, da asceta, desideroso di procedere secondo metodo, in una volontà continua di rinnovarmi, di rinnovare il mondo della scuola, di essere esemplare paradigma per l ‘alunno, di creare un’alternativa allo studente dopo averlo orientato, in relazione alle sue capacità. Un puro, pazzo, idealista!.
In questo continuo studio la curiosità mi ha portato a leggere con interesse la sua opera, seguita con simpatia dall’epoca di La Cultura Ellenistica (Bompiani,77) fino ad oggi.
Ho sempre seguito con diligenza i suoi studi, ho stimato i suoi lavori, apprezzato le sue ricerche e quindi posso dirmi un suo estimatore ma anche un controllore occulto del suo iter culturale, del suo pensiero.
Potrei definirmi quasi un “altro sé”,un suo “doppio“, quello critico: un lettore continuo ed attento registra ogni mutazione e ogni cambio di marcia, specie se ha capacità docimologiche.
L’ho incontrata perfino a S. Benedetto del Tronto, città dove vivo, in cui lei ha molti lettori: infatti ha vinto Il premio del tascabile n.24 (Esportare la Libertà- Mondadori) nel 2007.
Lei è un intellettuale di moda, di sinistra, politico, io invece vivo come un artigiano, in campagna, facendo costruzioni murarie e lavorando sui codici, lontano da ogni centro di cultura e di potere: traduco ogni giorno testi antichi, e mi logoro in un lavoro fisico per capire il sacrificio di quanti lavorano effettivamente e coniugo così studiare e lavorare, vivendo in modo ascetico, al di là di ogni purificazione spirituale e religiosa, in modo scettico, in un rapporto nuovo con la natura e con la storia in senso più classico che cristiano, in un recupero delle radici alessandrine (più che ellenistiche), filantropiche, cosmopolite.
Questo lavoro quarantennale ha prodotto un’altra visione di vita, cristiana, un’altra lingua, un’altra storia, un altro modo di essere e di esserci nel mondo.
La storia e la natura sono state rimeditate in altro modo e secondo nuove vie di letture che prescindono dal solco della tradizione culturale degli storici, che hanno un diverso percorso e che hanno conseguito i loro obiettivi secondo le loro specifiche logiche, arrivando a conclusioni tipiche più o meno congiunte fra loro.
La stessa storia del cristianesimo è stata da me riletta in chiave completamente nuova, in una rilettura delle fonti iniziali ed originali, in una nuova contestualizzazione della figura di Gesù Cristo.
Ora Lei è un filologo e storico, accademico, famoso e conosciuto in tutto il mondo (le sue opere sono subito pubblicate e tradotte in altre lingue), uomo di sinistra, bravissimo nel suo mestiere.
Conosco le sue virtù e riconosco tutti i suoi meriti.
Lei è un autore prolifico che scrive su vari argomenti e che ha di mira la politica: la sua storia è storia per l’oggi, è tentativo di attualizzazione per ottenere il plauso di un lettore medio-basso e per rapportare il classicismo col fascismo e con i tempi attuali, specie, e per rapportarlo con la politica americana, con ogni politica democratica di esportazione.
Se lei esamina il suo iter di scrittore, potrà effettivamente essere fiero del percorso letterario e dei traguardi raggiunti, ma intimamente dovrà dire, nonostante il successo, proprio di tutti gli intellettuali di sinistra, col relativo benessere, conseguito, che ha scritto per impegno politico.
Ma quale impegno?
Dovrà forse porsi interrogativi: un impegno secondo gli schemi vittoriniani, propri di un intellettuale organico del subito dopoguerra? Quello proprio de Il Politecnico? Quello dei neorealisti? di Pasolini? o dei registi della Nouvelle vague (Truffaut, Godard)? o altro? Ha scritto veramente qualcosa di nuovo e di originale? Ha veramente scoperto qualcosa nella storia? Quale messaggio è rilevato personalmente dalla lettura dei fatti storici?
Meglio, le sue ricostruzioni storiche sono ricostruzioni tali da capire quel momento storico e i sistemi di vita, propri di un civis (polites) o solo dei protagonisti, la cui storia è stata tramandata da amici che hanno scritto secondo le regole imposte dai vincitori? Insomma la sua storia è revisione storica o forma revisionistica vaga?
Lei, secondo me, è storico esterno alla storia, che legge gli storici, ma ha capacità critiche di lettura superficiali, appariscenti senza reale metodo, per cui deve valutare in relazione ad altri, che hanno già valutato senza rischiare una effettiva e propria valutazione: difficilmente arriva a tirare conclusioni pertinenti e a fare valutazioni sommative perché estrae le notizie dai contesti e le giustifica in relazione al proprio pensiero già prefissato, anche se sembra condannare il teleologismo.
Insomma lei è storico allineato, conforme alla storia già scritta, accademico di una tradizione che non ha saputo tracciare nuove vie ed ha goduto solo del successo, seguendo le opinioni generali: certo ha difeso le sue tesi e con forza e con decisione, ma con altri che divergevano dal suo pensiero, che erano della stessa pasta e dello stessa cultura: era solo una questione di principio, era volontà di affermazione di un galletto su un altro galletto in un pollaio: un galletto che fa opportunisticamente il proprio tornaconto, è eùkairos.
Io, Angelo Filipponi sono un anonimo, un nessuno che, però, ha lavorato per quaranta anni su temi, a volte simili ai suoi, a volte diversissimi, ma avendo un metodo, avendo insegnato lettura critica a vari livelli, avendo sperimentato nel corso di tanti anni e a scuola, facendo il professore, e nella vita pratica svolgendo varie professioni, anche umili, ed avendo conosciuto uomini e situazioni, avendo fatto esperienze dolorose, ho una solidità storica, diversa dalla sua, perché sono uomo interno alla storia, che si permette di diventare, quasi da essere uno di quelli su cui studia, di essere o diventare perfino una struttura di quel sistema significativo storico.
Ritengo di essere uno dei pochi, che legge la storia dall’interno perché la conosco direttamente dalle fonti, alcune delle quali ho tradotto ed altre le ho meditate avendo una buona preparazione linguistica, abilità semantiche notevoli e memoria prodigiosa.
Lei ha letto il mio Caligola il sublime, inviato da un mio alunno ed io ho letto la sua opera recente: sicuramente lei ha molti appunti da fare alla mia opera perché cade in equivoco con i termini, dando una propria interpretazione a seconda della sua cultura!
Anch’io posso farne moltissimi alla sua; alcuni sono sostanziali specie nei capitoli 23, 24, 25 sulla guerra alessandrina, su Cesare salvato dagli Ebrei e sul Riordino della Siria, altri sono tecnici sulla figura di Cesare, da lei solo tracciata e non del tutto compresa, in quanto lei tende a vedere il dittatore democratico e quindi le sfugge la figura del civilis, in genere, romano di fine repubblica.
Specialmente lei non conosce l’attività degli argentarii latini e l’apporto finanziario dei trapezitai e dioiketai ellenistici e in modo particolare quello degli alabarca di Egitto in relazione sia a Pompeo che a Gabinio ed infine a Cesare stesso e a Cleopatra.
E’ chiaro, quindi, che lei fa la storia di Antipatro, di Hircano II e quello di Mitridate Pergameno in superficie, perché non conosce i dati amministrativi di dioichetai ellenistici, che detengono il potere finanziario in Alessandria, da un secolo: il tradimento degli ebrei nei confronti dei legittimi sovrani determina la vittoria di Cesare grazie al militarismo del padre di Erode (uomo ben collegato con la corte di Petra) e al suo personale valore.
La guerra di Alessandria diventa così un rovesciamento di politica finanziaria tale da comportare anche un’amicizia e una societas con Hircano, apparente, (esacrato dal giudaismo aramaico come o antikeimenos ) e una, reale, con Antipatro, vero epitropos non solo di Giudea, ma anche di tutta la zona mediorientale.
A lei sfugge del tutto questa figura di Antipatro e quindi non riesce a capire il significato dell’azione di Hircano e neppure la grande riconoscenza di Cesare, specie per la battaglia di Pelusio e per quella di Campo degli Ebrei, da cui deriverà tutta la politica romana giudaica filoerodiana.
Lei ha fatto un pregevole lavoro, nel complesso, avendo globalmente rilevato la figura di Cesare ma non conosce il giudaismo e tantomeno il sistema idumeo, quello galilaico e nemmeno l’ascesa degli erodiani su cui ho scritto Giudaismo Romano ( 5 volumi), naturalmente non pubblicati.
Io vivo decorosamente facendo il contadino e il muratore, pur essendo laureato in lettere classiche (indirizzo archeologico) come lei, avendo fatto scuola ai licei, ma mi sono ritirato in campagna e scrivo normalmente ogni giorno: sapesse, professore, quante cose nuove si possono apprendere e quale grande cultura si apre davanti a noi, stando lontano dagli altri, osservando, leggendo, lavorando fisicamente!
Ho compiuto ormai 70 anni ed intendo seguitare a vivere così modestamente: ho, comunque, apprezzato sempre la sua acribeia ed, in complesso, la sua ricerca storica anche se la vedo troppo di parte, nonostante la comune ideologia di sinistra, certamente migliore di tanti altri ricercatori.
Mi scuso di aver scritto questa lettera e dei toni critici: a lei vada tutta la stima più profonda, a me ogni critica più severa nel nome di un’humanitas liberalis e di una saggezza comune, senile.
Preciso che da decenni sono libero da Phthonos e che non ho scritto né per una collaborazione e né per un suo aiuto, né per un riconoscimento del mio lungo lavoro.
Con infinita stima
Angelo Filipponi
Giugno 2009