Vuole emendare la natura chi non sa emendare la propria vita. Pelagio
Marco, oggi, vorrei parlarti di Pelagio britanno ( 360-420 d.C.) di un eretico, la cui eresia, pur condannata perché invalidante la figura umana di Christos e la sua funzione nell’Ecclesia, risulta, invece, una parziale soluzione del problema del volere e del libero arbitrio umano, irrisolto- anzi complicato – dalla Theoria agostiniana della predestinazione e della grazia.
Pelagio è, dunque, uno speciale eretico che contribuisce alla formazione di una cultura laica circa la creazione e la libertà dell’uomo, opposta al pensiero agostiniano, ancora venato dal manicheismo?
Certo, Marco, il britanno è favorito dalla sua naturale formazione celtico – druidica, immune dalla cultura orientale mazdaica e poi manicheo-christiana!
Infatti nella lettera a Demetriade ( cfr. Lettera a Demetriade a cura di D. Ogliari, Città Nuova, 2010), Pelagio mostra il suo pensiero circa il volere e il libero arbitrio, cosciente che non ci può essere una Chiesa santa, se i suoi membri, costituenti il corpo mistico di Cristo, sono tutti peccatori, compresa l’élite sacerdotale.
Certo, professore, come potrebbe esserci una chiesa cattolica, sposa e madre di Cristo, quando tutto il suo corpo è fatto di peccatori?
Marco, secondo teologi, come R. Hasseveld (Mistero della Chiesa, Edizioni Paoline, 1953 ) la chiesa, santa in virtù di Cristo, coi sacramenti, con la parola di Dio e col sacerdozio, purifica i peccatori, seppure li debba sopportare fino all’ultimo giorno.
Mentre Agostino si dimostra contraddittorio perché la Chiesa – che, in quanto corpo di Cristo, ingloba anche peccatori non solo laici ma anche sacerdoti che trasmettono i sacramenti e guariscono i malati – si santifica in virtù di Christos – che è vero ed unico sacerdote immune da ogni colpa-, Pelagio, avendo una visione della creazione, naturale, non ha problemi nel periodo della lotta contro i Donatisti, dato il valore della natura, creatrice, e vista la reale funzione della struttura umana ed animale nel sistema kosmico materiale.
Forse, professore, ora, mi dovrà dire qualche parola sui donatisti e così forse capisco meglio tutto il problema della materia e della natura?
Certo, Marco, capire i donatisti è già un passo avanti per rilevare la funzione elitaria della chiesa e la posizione integralista dello stesso Agostino nei confronti, poi, dei pelagiani!
I donatisti sono i seguaci di Donato di Casae Nigrae ( 285?-355) che in Africa, durante la persecuzione di Diocleziano condannano di nuovo i cristiani cattolici laici e specie i sacerdoti e vescovi che hanno consegnato libri sacri in mano delle autorità pagane romane. Anche loro sono degli integralisti che hanno una volontà nazionalistica con un desiderio di separazione da Roma, non solo religiosa anche politica, per cui interviene lo stesso Costantino che li fa condannare ad Arles, ad opera di Optato di Milevi, nel 315.
Essi sono in connessione con le posizioni di Melezio di Nicopoli e riprendono le stesse idee rigide dei vescovi africani contrarie ai lapsi di Cipriano, convinti di non dovere accordare il perdono ai traditores, ai vescovi che hanno defezionato davanti alla persecuzione e che hanno battezzato in stato di peccato.
Essi arrivano a creare la chiesa dei puri contro la chiesa dei traditori: vinta la lotta coi traditori, impongono come vescovo di Cartagine Maggiorino e poi lo stesso Donato, dividendo la chiesa africana che ha già anche fremiti eversivi di rivolta politica.
Pelagio, Marco, va oltre il problema donatista, perché è convinto che Dio, pur avendolo creato debole e inerme esteriormente, creò l’uomo forte interiormente, facendogli dono della ragione e della saggezza, e non volle che fosse un cieco esecutore della sua volontà, ma che fosse libero nel compiere il bene o il male (Ibidem) .
Per Pelagio, quindi, professore, Dio, creatore, equivale alla phusis, onnipotente creatrice delle creature, comprese uomini ed animali e vegetali, ordinatrice razionale di ogni cosa, perfetta nel sistema universale! Per Pelagio neanche viene creato Adamo, il primo uomo! Neanche in una tale perfezione kosmica naturale è pensata la nascita di un uomo che contamina il tutto col peccato e che origina una catena di male che si propaga da padre in figlio come una tara ereditaria! Per Pelagio l’uomo è naturalmente immune dal peccato!
Dici bene, ma non è proprio così, Marco,! l’uomo, comunque, non ha da scontare nessun peccato originale e se per caso i suoi progenitori avessero peccato, ognuno personalmente risponde della propria colpa, che è individuale e non si trasmette da generazione a generazione: i traditores, però, che hanno commesso peccato di consegnare le cose sacre ai pagani non possono più svolgere la loro attività sacerdotale perché non hanno più la funzione mediatrice tra Dio e l’uomo, non essendo neanche più christianoi, essendo decaduti dalla dignità.
Pelagio, allora, mostra il valore della dignità umana: Se ci pensi bene, ti apparirà evidente come, proprio per questo, la condizione dell’uomo sia più alta e dignitosa, dove sembra e si crede invece più misera!(ibidem)
Ed infine rileva il dono divino di saper distinguere il bene dal male con la razionalità e dice che è un bene commettere il male in quanto è una possibilità che autorizza poi la scelta del bene: Nell’essere capace di distinguere la duplice via del bene e del male, nella libertà di scegliere l’una o l’altra sta il suo vanto di essere razionale. Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene, se egli non avesse anche la possibilità di compiere il male. Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male; perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene.
Questa, Marco, è la sua conclusione! Sembra che molti vogliano rimproverare il Signore per la sua opera, dicendo che avrebbe dovuto creare l’uomo incapace di fare il male: non sapendo emendare la loro vita, costoro vogliono emendare la natura! Invece la fondamentale bontà di questa natura è stata impressa in tutti, senza eccezioni, tanto che anche fra i pagani, che non conoscono il culto di Dio, essa affiora e non di rado si mostra palesemente. Di quanti filosofi, infatti, abbiamo sentito dire o visto con i nostri occhi che sono vissuti casti e astinenti, modesti, benevoli, sprezzanti degli onori del mondo e dei piaceri, amanti della giustizia? Di dove vennero loro queste virtù, se non dalla natura stessa?
Da qui l’invito a Demetriade: Fa’ dunque che nessuno ti superi nella vita buona e virtuosa: tutto questo è in tuo potere e spetta a te sola, poiché non ti può venire dal di fuori, ma germina e sorge dal tuo cuore.
Chi è Pelagio, che pensa in modo così naturale, pur vivendo in un momento come quello donatista tra il IV e il V secolo, dominati da personalità forti, capaci di gestire potere religioso e quello politico, abili retori demagogici, come Ambrogio, Agostino, Rufino, Damaso, Gerolamo, i cappadoci e gli alessandrini Teofilo e Cirillo ?
E un Britanno, (forse irlandese? forse pitto? o caledone ?) di stirpe celtica e di formazione druidica, naturalistica, di nome Morgan, di statura altissimo, mastodontico nell’andatura, albino di capelli, marino forse per il colore dei suoi occhi e per la provenienza oceanica.
Si conosce la sua formazione?
Poco o niente si sa della sua formazione in Britannia e neppure si conosce se è un monaco eremita o se se monaco presbitero o laico.
Sembra che non sia un religioso ( lettore, diacono o suddiacono) , ma forse un monaco laico, non presbitero, seppure buon oratore che a Roma predica il distacco dalle ricchezze, la povertà e la castità, quando vive insieme col sofista Celestio, uomo lodato per qualche tempo anche da papa Damaso e da Gerolamo, che non sono certamente conformi al suo pensiero e alla dottrina del pelagianesimo, che diffonde l’idea del Paradiso come premio per buoni e dell ‘Inferno come castigo per i cattivi, su una concezione, comunque, diversa di peccato e di remunerazione.
Nella Roma della fine del IV secolo, dove c’è competizione per il papato, dove vale il formalismo e prevale la ricchezza aristocratica Pelagio risulta un bastian contrario non solo per i Christianoi, che sono un terzo dell popolazione romana, ma anche per i pagani, ormai corrotti e decadenti nel loro comportamento.
Sembra che, dopo il sacco di Roma di Alarico, Pelagio si rifugi ad Ippona e poi a Cartagine, dove in effetti si diffonde davvero il suo pensiero, che trova oppositori in Agostino e Paolo Orosio, che, poi, nel sinodo di Gerusalemme del 415, fanno condannare la theoria pelagiana anche da Gerolamo, nonostante l’opposizione del vescovo della città Giovanni, fervente seguace.
Eppure si è ancora nella lotta contro i donatisti a Cartagine, in cui Pelagio propende per la chiesa dei puri ed è vicino al pensiero di Ticonio Afro, autore di De septem regulis e di un commentario all’Apocalisse, uomo euforico, monaco focoso, esegeta entusiasta, portato all‘universalismo cattolico, nonostante l’apostasia,
Le relazioni, giunte a Innocenzo (402-417 ), inducono il papa alla scomunica che poi è ratificata dall’imperatore Onorio, che ordina esilio ed espulsione dall’impero occidentale di tutti pelagiani, nonostante la dimostrazione successiva di ortodossia di Celestio a papa Zosimo (417-18).
Si ha la definitiva condanna, comunque, nel Sinodo di Cartagine, poco prima della morte di Pelagio in Palestina.
Professore, mi può sintetizzare il pensiero di Pelagio e metterlo in confronto con quello di Agostino?
Senti bene, Marco: mi chiedi una cosa non facile ma tenterò di darti delle indicazioni circa Agostino e circa Pelagio.
Pelagio ritiene che, se non c’è un male di natura, significa che il problema del male è nel volere e nella personalità umana volendo far intendere che le vie del bene e del male non preesistono all’atto volontario, che è libero, immune dalle contaminazioni adamitiche.
Ora Agostino invece dice che ogni uomo ha un suo volere ed è libero e quindi come cosa creata tende a Dio aderendo alla sua bontà ma ha possibilità di torcersi lontano dal suo creatore, che pur concede grazia a chi deve salvarsi, a causa del peccato originale.
Sono due punti di partenza diversi , da cui derivano due diversi orientamenti con due sistemi di vita opposti : quello Pelagiano che contempla uno stato puro naturale senza peccato originale,non bisognoso di redenzione e quindi della venuta di Dio figlio – inutile la sua morte come la resurrezione!-quello catholikos che ha bisogno della redenzione dell’uomo gravato dal peccato originale e della missione salvifica del Christos, venuto, sempre presente e vivo nel corpo della Chiesa e venturo!
Semplice è la predicazione di Pelagio, conseguenziale nello sviluppo umano e naturale, socialmente ed antropologicamente corretta! Agostino, invece, non sapendo spiegarsi l’esistenza della cattiva volontà – che si piega con l’aversio, e si allontana da Dio- tergiversa e va verso soluzioni retoriche convinto che non sia possibile pretendere di vedere le tenebre e di sentire il silenzio: infatti conclude che le cose nesciendo sciuntur ut sciendo nesciantur (De civitate dei XII, 7). Marco, nota la finezza retorica di Agostino, il doppio poliptoto, il chiasmo, le allitterazioni, segni del suo sforzo argomentativo!
Così facendo resta nella theoria manichea dell’uomo, teatro della lotta tra il principio trascendente di Haura Mazda e quello di Ariman ed evidenzia la negatività dialettica del male e il processo della volontà come peccato tanto da poter concludere che aversio ab incomunicabili bono et conversio admutabilia bona, in una giustificazione dell’ascetismo cristiano, idealizzato e sublimato, con una lacerazione della coscienza individuale in una lotta tra spirito, pars divina e corpo pars diabolica.
Strano ragionamento! All’ aversio è abbinata la colpa del soggetto con la pena, mentre alla conversio è abbinato il bene col premio, anche se Agostino sa quanto sia falso e meccanico il principio della lotta manichea, espresso in numerose opere ( cfr. Ad catholikos epistula contra Donatistas, Contra Cresconium, De unico Baptismo contra Petilinianum ad Constantinum, Contra epistulam Parmeniani, De Baptismo contra Donatistas-P. L ,43 -) e con immagini allegoriche della trebbiatura e dell’arca, a dimostrazione dell’impossibilità di soluzione del problema del male.
La sua creazione del mondo – cfr. De genesi ad litteram Imperfectus,15 – PL 34,- è opera buona di Dio come manifestazione della sua stessa armonia, tipica come opera di Amore e di Bontà in cui, però, esiste il male, che non è, comunque, nell’ordine della natura!.
Agostino, invano, contrappone al dualismo manicheo la negatività del male, nonostante la theoria della grazia e della predestinazione con la distribuzione armonica di ogni cosa in cui l’essere primo. graduando nelle singole nature gli esseri, forma la struttura provvidenziale, l‘oikonomia divina, col congenito vitium come deviazione ed opposizione dialettica della cattiva volontà e degli oppositori angelici celesti primordiali.
Agostino in De gestis Pelagii ad Aurelium liber unus, in modo molto confuso, cerca di esulare dalla cosmogonia il problema del male immaginando un male originario metafisico intrinseco alla struttura dell’universo quasi creatura della volontà umana ed angelica, superba nei confronti di Dio, pur in una coscienza che la natura resti non separata dal creatore, ma sia partecipe della bontà divina, creatrice.
Agostino, dovendo mantenere il peccato originale nella trattazione della volontà e dl libero arbitrio, si complica la vita col dovere mediare tra la necessità di far scomunicare i pelagiani e la personale incertezza tra buona azione meritoria e il dono gratuito divino con privilegio per gli eletti.
Per lui la corruzione del corpo non è causa del primo peccato ma pena mentre per Pelagio la carne non rende l’anima peccatrice perché il male non è sostanza ma nome privo di sostanza: ogni uomo naturalmente è ricco della possibilità di errare che è utile alla sua personale crescita progressiva.
Gli uomini, dunque, professore, per Pelagio compiono azioni che nascono dalla spontaneità dell’agente che può fare bene o male anche con la solidarietà con Adamo peccatore, la cui colpa con pena non può essere trasmessa per generazione: l’eretico afferma la libera volontà come criterio dell’azione che risulta buona o cattiva considerando inutile l’aiuto della grazia divina e la stessa mediazione continuata del Verbo.
Mentre Pelagio distingue l’atto in tre momenti, potere, volere ed essere in cui solo il primo è divino in quanto proprio della natura divina creatrice e il secondo e il terzo sono tipici dell’ individuo, Agostino col suo personale libero arbitrio considera divini tutti e tre i momenti sebbene comprenda l’impossibilità di compresenza di prescienza divine ed atto libero umano, propugnando, perciò, la predestinazione.
Il santo esclude ogni merito umano ed ogni lode naturale rilevando in Dio e nella sua grazia, concessa in un dono continuo ed assistenziale, l’unica possibilità di salvezza dell’ individuo, che, nell’atto, altrimenti, peccherebbe a causa dell’inclinazione peccaminosa, ereditata da Adamo.
Pelagio, invece, sublima l’uomo peccatore e gli dà esclusivo merito con lode: per lui il Dio che concede grazia è la natura stessa creatrice che dà libertà meritoria all’uomo, il quale, in situazione, compie l’ atto volontario autonomo ed è fabbro del suo destino.
Celestio forse va al di là del pensiero del maestro Pelagio : i bambini, che muoiono appena nati sono già in Paradiso perché morti senza peccato originale; i saggi antichi meritano premio perché senza peccato adamitico e senza fede hanno conquistato la virtù; non necessaria risulta la venuta del Christos, Verbo incarnato, Dio redentore, come la sua morte e resurrezione perché l’uomo si salva naturalmente; nessuna funzione ha la Chiesa cattolica col suo clero corrotto, circondato da agapete e da vedove, moralmente insano, avido di denaro e di potere, protetto dalla casata imperiale.
Forse, Marco, nell’accesa polemica tra le due partes il pensiero pelagiano arriva a conclusioni troppo radicali a causa della persecuzione cattolica, dell’imperatore partigiano, che ha proclamato il cristianesimo religione ufficiale dell’impero!
Comunque, le conseguenze, tirate da Celestio, pesantissime, diventano inaccettabili perché affondano la barca cristiana, che basa tutto su Christos : in difesa dell’Ecclesia, ora dominante a corte sia in Occidente che in Oriente, i patres costantinopolitani, alessandrini, antiocheni e romano- africani insorgono, compatti contro il pelagianesimo che resiste, specie in Africa, fino alla conquista araba.
Le migliori formulazioni sul peccato originale e sulla costituzione e santità della Chiesa, sul Verbo incarnato, sulla funzione onnipotente del Pater, su quella del Paraclito, sulla necessità del clero, mediatore come Christos, legge vivente, tra cielo e terra, sono di questo periodo come la fioritura di grandi patriarchi, moralisti ed accaniti demagogici maestri di retorica.
Resta, però, la formulazione di Pelagio ommes propria voluntate regi che diventa emblema di una resistenza indomabile: tutti sono retti da una propria volontà.
E’ una verità naturale che nessuno riesce a sconfessare nonostante la doctrina agostiniana, le sue polemiche sulle ambiguitates eretiche, le sue invenzioni morali teologiche, retoricamente perfette!
Che vera autoconfessione avrebbe potuto fare Agostino davanti alla luce dell novità pelagiana! Anche per G. De Ruggiero ( la Filosofia del Cristianesimo, II, Bari Laterza 1946) Il volere è schiavo se si ammette la colpa di Adamo estesa all’umanità,Improponibile ed innaturale la predestinazione, impossibile l’assistenza continuata storica ad opera di un Dio ancora ebraico, la cui ira è scatenata spesso dalla colpa umana.
Perciò, professore, posso concludere che se non esiste il peccato originale di Adamo e tutti siamo uomini razionali, naturali elementi cioè in cui pulsa una vita naturale precaria nonostante la perfezione organica che comunque ha in se il marchio di creatura, mortale, che è autonoma, pur in un sistema ordinato di natura, non c’è bisogno di un apparato artificiale ecclesiastico, di un organismo ecclesiale, corpo di Cristo mistico , quando non è necessaria la stessa figura sacerdotale e regale di figlio di Dio, venuto a redimere l’umanità maligna.
Tu, Marco, come Celestio, radicalizzi ogni formulazione e tendi a portarle ad estreme conseguenze: una cosa è possibile dire! l’uomo è quello che è: vivendo, cerca di orientarsi, facendo del suo meglio, seguendo la sua natura, facendo un percorso sinuoso di conoscenza, come un torrente che va al mare.
Mi piace, professore, l’idea di essere una goccia di acqua torrentizia, che va al mare, naturalmente cosciente del suo corso di creatura e di non essere sola nel suo iter e nel suo annegare come torrente nella massa oceanica!