Gesù può aver detto la parabola del Fariseo e del pubblicano?. Non credo e non certo come la scrive Luca.
Perché? diranno molti cristiani.
Per due motivi.
Primo, perché i personaggi non sono realmente storici, ma sono inventati sulla base dell’osservazione della vita ecclesiale, di una provincia romana di fine primo secolo: né Gesù, né i due protagonisti della parabola, il fariseo e il pubblicano, sono figure vere, ma costruite ed assimilate con altre di epoca successiva. Infatti il tempio, che è il santuario ebraico per eccellenza, non più esistente in epoca flavia, equivale ad un locale di riunione e di preghiera in una città orientale, pensato da Luca come ambiente e contesto simile, in cui creare una situazione con l’episodio dei due oranti. esaminati nella specifica superbia del fariseo, puro, e nella umiltà del pubblicano, peccatore. La parabola è un‘inventio di Luca come anche la valutazione da parte di Gesù, che fa la dieghesis narrazione.
Secondo, perché la parabola di Luca ha un telos, un fine prefissato che è conforme al pensiero di Paolo, che deve essere diffuso contro quello espresso da Yaqob Iakobos Giacomo e i suoi seguaci aramaici, -già sconfitti dai romani, che hanno distrutto il Tempio -(Cfr. Giacomo e Paolo), pronti a nuove staseis rivolte.
La sua scrittura ha un fine dimostrativo, già chiaro nella premessa alla parabola stessa del Fariseo e del pubblicano, esplicito nella conclusione e nell’ apoftegma finale (Lc. 18,9-14), che è una ripetizione di 14,11.perché chi si esalta, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
La parabola di Luca, scritta dopo oltre cinquanta anni dalla morte del Christos, ha la struttura di una favola di Fedro, esopiana, con una conclusione pertinente morale.
La premessa (Per certuni, poi, che dentro di sé erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri, disse questa parabola) è simile a quella della parabola precedente del Giudice iniquo (Raccontava poi loro una parabola sul dovere che avevano di pregare sempre, senza perdersi di animo -18,1 come assicurazione che Dio renderà loro giustizia con sollecitudine anche se c’è il dubbio che il figlio dell’uomo al suo ritorno troverà la fede sulla terra).
Dunque, Luca ha uno scopo, quello di invitare i fedeli della ecclesia christiana alla preghiera, alla fede, alla fiducia nella pronoia divina che risolve ogni problema con la peripeteia e con l’improvviso e tragico capovolgimento, per cui i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi, in quanto ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio ( Lc.18,27) .
Luca in effetti predica il vangelo di Paolo: la salvezza si consegue con la preghiera e con la fede ed è un dono di Dio, non un merito individuale umano.
Luca scrive quando l’essenismo con il fariseismo è un vago ricordo nelle ecclesiai cristiane, specie in Macedonia e Tracia, anche se in Galilea, Gaulanitide, Traconitide ed altrove ancor sono presenti gli zelanti della Torah che eseguono i precetti dei rabbi della scuola di Iammia, che mantengono vivo lo spirito del pensiero farisaico ed anche se l’haburah con edah, costituita da Yaqob, ancora funziona.
Ma seguitiamo a leggere e cerchiamo di capire la parabola. Gesù, secondo Luca disse questa parabola per certuni che dentro di sé erano persuasi d’essere giusti e disprezzavano gli altri, mostrando i protagonisti: due uomini salirono al tempio per pregare, l’uno era fariseo, l’altro pubblicano... evidenziando il fariseo che, ritto in piedi pregava fra sé così: O dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri anche come quel pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago la decima di tutto quel che compero.
Solo uno, che narra dopo la distruzione del tempio, può avere un incipit di tale genere parabolico: ritenere gli ebrei quelli che hanno una concezione farisaica di giustizia, collegata con l’idea di un popolo eletto,- che, avendo un culto threschia, esclusivo, per un solo dio e padrone, disprezza non solo i culti di tutti gli altri popoli pagani, ma anche le comunità cristiane,- è spia di un’antitesi tra la tzedaqah della sinagoga e l‘agaph /caritas dell’ecclesia cristiana, non più, comunque, in territorio siro-palestinese, ma in ogni città orientale.
Il fariseo diventa figura antipatica, disgustosa davanti a Dio per la superbia dell’eletto ed è prototipo di tutto il popolo ebraico condannato già dall‘auctoritas senatoriale e flavia, sorvegliato per la sua perfidia integralista, già taeterrimus per Tacito.
Luca scrittore di epoca flavia dovrebbe sapere (dovrebbe averlo sentito dire da Saul/Paolo o da altri di stirpe ebraica) che un esseno o un terapeuta, uomini di formazione farisaica, mangiava ogni tre giorni e quindi digiunava 2 volte a settimana, anche se la Torah imponeva una volta all’anno nel giorno della Espiazione ( Levitico 16,29; 23,27; Numeri 29,7). Inoltre si sapeva che il fariseo era ligio a pagare le decime perché diffidava del venditore (impuro) che tendeva a non pagarla.
L’ evangelista è teso ad opporre i due caratteri, per creare contrastivamente una rete di antipatia per il primo e per formare un alone di simpatia per il secondo.
Infatti contrappone al fariseo il pubblicano, un appaltatore di imposte seduto a to teloneion, al banco, cioè un teloonhs (teloonhths -telos ooneomai ) da tutti conosciuto come arpaks rapace, perché esattore, in Giudea considerato un apostata o uomo bollato da anathema, di solito filoromano, un ebreo romanizzato con doppio nome come Levi/Matthaios, emblema dei pagani moichoi adulteri ed adikoi ingiusti: Non sa Luca che neanche il teloonhs può entrare nel tempio e che deve stare a distanza di metri da un puro, regolata secondo la prescrizione della Legge, all’atto della condanna!.
Il pubblicano,invece, diventa per l’evangelista elemento positivo, simpatico e caro proprio per la sua coscienza di essere peccatore in quanto creatura, a cui va la solidarietà di ogni uomo mortale.
Luca così scrive: il Pubblicano invece si teneva lontano e non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: Signore, abbi pietà di me, peccatore.
ll pubblicano, peccatore secondo lo schema paolino cristiano, di uomo mortale che vive nel peccato e che solo con la preghiera e con la fede si redime grazie al sangue di Cristo, tanto da essere degno di risuscitare e di avere il premio della vita eterna, è il modello del fidelis, che è umile, creatura di fronte al creatore, cosciente del suo peccare.
Il pubblicano amartolos, (uno che commette amarthma in quanto è peccatore perché riscuote il denaro per conto del romano e maneggia le monete stesse con l’effigie dell’imperatore, diventa non colui che rimette il debito estinguendo il dovuto to opheleimenon (to khreos) come Zaccheo, ma è uomo giustificato per la sua umiltà e preghiera (congiunta alla Fede nel Christos ).
Luca, dunque, con il rovesciamento delle due figure, rinnega il giudaismo, esalta la romanitas e vede la salvezza per l’uomo secondo il disegno salvifico di Paolo, romano -ellenistico, basato non sull’uomo faber suae quisque fortunae, ma sul Theos che sovverte la sorte umana ed attua la sua oikonomia divina imperscrutabile.
Luca, dunque, testimonia il baratro che si è aperto tra la sinagoga e l‘ecclesia, in epoca flavia, poco prima o poco dopo il distacco tra i due credi, verso la fine del I secolo dopo Cristo, quando ancora il ramo nazireo è ancora nell ‘albero giudaico come Malkuth ha shamaim, ancorato alla Torah mosaica, -diversamente dalla Basileia tou Theou/il regno di Dio antiocheno che invece ha rotto ogni rapporto con la tradizione gerosolomitana ortodossa,- destinato ad andare verso altre insurrezioni e verso il suo stesso sterminio sotto Adriano.
Luca non sa (finge di non sapere) , però, che la preghiera ebraica si fa in piedi e che ogni ebreo aspira ad essere giusto e fa opere di giustizia, convinto di servire e di temere il suo Signore, che lo ha eletto, in quanto figlio, erede del Regno: la puntualizzazione (ritto in piedi e la preghiera di ringraziamento per essere diverso rispetto agli altri uomini) dall’ angolazione ebraica non rende ripugnante il fariseo, che è uomo distinto proprio per la sua fede collegata con le opere, elemento leale e coerente nel suo modus operandi, tipico di eroe che muore per la patria e per la sua fede, ma lo sublima.
I due per Luca antiocheno sono due caratteri giudaici, uno spocchioso, cosciente dello zelo per la legge, l’altro umile e dimesso, sicuro di essere un reietto rispetto ad ogni puro giudeo: da parte dell’evangelista si arcaicizza di proposito e si falsifica la storia di Gesù eroe popolare, di stampo farisaico, morto da puro ebreo.
Gesù, invece, è visto da Luca (da Paolo), anche se scandalo della croce, come un saggio sophos, alonato di divinità, capace di predicare la remissione dei peccati, di affermare che il pubblicano peccatore scese a casa sua giustificato. Luca si è servito di salire anabainesin ‘alah e di scendere katabainein yarad così per mostrare solo che il tempio è in alto e che la casa del peccatore è in basso: l’evangelista non sa che nel primo c’è sotteso tutto un mondo di ascensione sublime con esercizio che indica eccellenza e grandezza verso cui tende il fedele, mentre lo scendere indica il tragitto opposto, secondo un sistema di allegoria, tipicamente farisaico.
Luca, dunque, descrive non il reale fariseo e il vero pubblicano, ma due cristiani: uno spocchioso che in piedi prega, convinto di essere un santo; l’ altro che è umile, è cosciente del suo peccato e crede in Dio. E così avendo mostrato due tipi opposti,l’evangelista applica la regola paolina della metamorfosi per attuare la metabolh il cambiamento, in nome di Dio, che abbatte il superbo ed innalza il debole.
La conclusione di un Gesù astorico, secondo Luca, è questa: vi dico che quest’ultimo scese a casa giustificato, al contrario del primo. Di quale Gesù parla Luca (o chi per lui)? , di quale fariseo? o di quale pubblicano?
Solo Filone avrebbe potuto illuminarci davvero perché contemporaneo di Gesù, ma la sua fonte non ha lasciato tracce né sulle parole né sul bios del Signore, neanche ci è giunta una goccia della sua acqua. Eppure Filone ha parlato di ameicsia non mescolanza, di una sorta di separazione e distinzione farisaica ed ha proposto due modelli di vita ebraica di sicura radice farisaica, quella attiva degli esseni e quella contemplativa dei terapeuti, da cui risulta chiara, bella, virtuosa l’airesis setta dei Farisei. Anche Saul Paolo, un cristiano ellenizzato dal doppio nome, che si è sempre professato e vantato fariseo e discepolo di Gamaliel-ma è un uomo di menzogna, condannato alla fustigazione e poi a morte dal sinedrio e da Yaqob/Iakobos, fratello del signore perché non obbediente alla legge, e alla prescrizione sulla Casherut – tiene in grande onore la figura del fariseo, come ogni altro ebreo dell’ epoca che precede la distruzione del Tempio.
Giuseppe Flavio, figlio di Mattatia,- che è un contemporaneo di Gesù, parente degli Anano, meglio di tutti potrebbe darci qualche indicazione anche se per dovere di suddito e per gratitudine verso i Flavi suoi padroni, scrive Guerra Giudaica nel 74 ed Antichità Giudaica nel 94, mantenendosi necessariamente nei binari della lealtà all’imperatore, senza però celare la verità storica, facendo l’apologia giudaica senza offuscare il valore dell’imperium romano, risultando, però, ambiguo ed equivoco in questa contraddizione concettuale, utile, comunque, al fine della trasmissione dell’eredità culturale sacerdotale ebraica – sembra smentire Luca e la sua cristiana interpretazione.
Lui è storico ufficiale dell’impero romano, autorizzato alla lettura della sua opera, impegnato nella esaltazione dei Flavi, pagato per la celebrazione del mito soterico di Vespasiano e dei suoi figli, salvatori dell’impero romano, pacificatori dell’oikoumene, ripristinatori dell’ordo kosmico, dopo il disordine della guerra civile dell’anno 69, a seguito della morte di Nerone.
Guerra Giudaica (a cura di Giovanni Vitucci, Mondadori 1974) II,14 così descrive la setta dei farisei,- che lo storico dice di aver scelto, pur essendo di stirpe sacerdotale, di una della migliori famiglie, dopo il sodalizio con Banno nel deserto, in considerazione della virtù-: essi godono fama di interpretare correttamente le leggi, costituiscono la setta più importante ed attribuiscono ogni cosa al destino e a dio; ritengono che l’agire bene o male dipende in massima parte dagli uomini, ma che in ogni cosa ha parte il destino ; che l’anima è immortale, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo,mentre quella dei malvagi sono punite con un castigo senza fine…i farisei sono legati da scambievole amore e perseguono la concordia entro la comunità .
In Antichità giudaica XVIII 12-15 (Angelo Filipponi, Antichità Giudaica, XVIII, E book Simplicissimus , 2012) Flavio dice:
I Farisei hanno un sistema di vita semplice e non concedono niente alle mollezze: seguono con autorità quanto la loro dottrina trasmette giudicando buono ciò che bisogna dettare considerandolo degno di contesa.Tengono in onore i più anziani, non essendo orgogliosi in niente altro se non coraggiosi, di fronte alle risposte di coloro che ostacolano il loro parere. Essi ritengono che ogni cosa avvenga per destino, senza però negare il libero arbitrio, in quanto sono contenti che ci sia mistione di potere tra Dio e il magistero del destino: gli uomini, virtuosi e malvagi devono stare con propri meriti Essi hanno la speranza della immortalità delle anime (Essi hanno speranza che le anime abbiano una forza immortale) e che sotto terra ognuno avrà un’adeguata dimora, a seconda del merito e in relazione alla virtù e al vizio, che alcune anime saranno chiuse in eterne prigioni e che altre invece potranno ritornare in vita. Per questo essi risultano molto graditi al popolo, ogni preghiera e tutti i riti cultuali divini sono svolti conformemente alle loro prescrizioni; la loro virtù fu così lodata dalle popolazioni(cittadinanze) che li seguivano per la pratica, perché ritenuti migliori nel sistema di vita e nelle regole.
Perciò bisogna concludere secondo pertinenza che in epoca di Gesù il fariseismo era una setta che insegnava la resurrezione, la stretta osservanza delle regola ma soprattutto ogni fariseo sapeva come agire di fronte ai sadducei, sacerdoti e loro avversari, come combattere i romani, come comportarsi coi pubblicani dando regole di comportamento pratico. Insomma i farisei erano maestri di giustizia, laici , ed una loro frangia era la setta degli esseni .
Gesù, ebreo, il Christos Messia, mai avrebbe potuto mostrare una simile figura di fariseo, un giusto come suo fratello Giacomo, che predicava il Malkuth ha shemaim, la sua prossima venuta e il valore delle opere e non delle Parole !.
Cosa diranno di questa lettura i miei amici e parenti cristiani? mi auguro solo che abbiano almeno qualche dubbio sui Vangeli e sulla ispirazione dello Spirito Santo!
Io lavoro, essi credono! Cosa? Non lo so.
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