Per la genesi dei Vangeli, a nostro parere, non bisogna più stare a ragionare secondo la logica ottocentesca sinottica, né secondo quella della theoria di Quelle /sorgente, elaborata agli inizi del Novecento, né secondo quella più recente delle due fonti, ma bisogna tenere presente un lungo periodo di oralità dalla morte di Gesù Mashiah/Christos, un eroe nazionale aramaico, celebrato in due diversi modi (e da una tradizione aramaico-ebraica gerosolomitana e da una ebraico-ellenistica antiochena ed alessandrina.
J.J. Griesbach (1745-1812) per primo considera i Vangeli leggibili unitariamente e li definisce sinottici (sunoptikos da sunopteon -oraoo– chi ha una visione d’insieme o chi è perspicace, in quanto è capace di vedere l’insieme), presupponendo che il messaggio evangelico sia unitario e di univoca lettura.
Chiaramente gli scrittori ottocenteschi e novecenteschi non hanno la corretta visione del fenomeno del cristianesimo primitivo e non fanno la distinzione in Malkuth ha shamaim- un regno secondo lingua e cultura aramaica- e in Basileia tou Teou – un regno secondo lingua e cultura greca – e perciò non considerano affatto la lezione ebraico-aramaica, la sua storia di duecento anni di lotte staseis antiromane, che comprende tutto il periodo che va da Pompeo Magno a Shimon bar Kokba (63 a.C. -135 d. C. ), ma leggono allegoricamente parole e fatti di un Gesù, figlio di Dio, di una figura astorica, secondo la tradizione cristiana.
Si parte, dunque, solo da una lettura del fenomeno greco e si trascura quello ebraico-siriaco-aramaico, non avendo i precisi contorni della figura ebraico -aramaica di Jehoshua, di Iaqob, di Shimon e della comunità aramaica di Gerusalemme, cancellata come nome, essendo scomparsa la regione stessa della Giudea anche come entità geografica con la repressione di Adriano, a seguito della galuth/dispersione ebraica,- da non confondere con la diaspora ellenistica-.
Personalmente, invece, distinguo i due mondi, quello ebraico-aramaico, basato su una diversa concezione del vedere, puntata su un diverso sistema di staticità (i cui termini sono ‘amidah/stare saldo generico, precisato da nasav stare eretto e da yasav essere eretto che si rappresenta come sur roccia intesa come coltelli di roccia di granito ) e su una concezione sensibile di bene e di male (tov wa ra ) e di una, ontologica, intellegibile, di vero e falso ( ‘emet wa sheqer), e specie di una diversa idea di visione.
Su un’ altra visione,- propriamente ebraica, basata su vedere ra’ah su guardare hibbit e su avere una visione hazah in modo differenziato- si possono indicare vari gradi di osservazione fisica ma anche designare una percezione intellettuale tanto da avere la forma/temunah (come vera natura di Dio- Num.12,8) in seguito ad un aprirsi degli organi a cui è tolto il velo così da leggere oltre la vista sensibile (paqah), in un cosciente andare verso Dio, in un approssimarsi ed avvicinarsi nuovo, rispetto a quello materiale, in un sollevamento verso l’alto ram, in un alzarsi qimah grazie al cuore lev, centro sensibile affettivo infi’al- su cui poggia la spiritualità aramaica, tipica della tradizione culturale mesopotamica.
Il Davar sottende al significato primario di parola, anche quello di azione e prudenza in quanto il dire amirah (o parlare dibbur ) accompagnato da spirito (ruach) è base della ricerca intensa dell’uomo ( cfr. Levitico 10, 16 dorosh darash fece pure continue ricerche) ( cfr. Proverbi16,10-11, oracolo sulle labbra del re, nel giudizio non prevalicherà la sua bocca/ peso e bilance giuste sono di Jhwh, opere sue sono tutti i pesi della borsa) che diventa saggio (proprio perché umile), in una progressiva formazione: musar è la formazione culturale di un sofer, che si esprime nell’ azione giusta, saggia.
Ora il progressivo salire ‘alah, introdotto da Paolo e da Luca indica eccellenza e grandezza, che sono attributi di Dio, per cui Gesù Christos diventa con un graduale processo, figlio di Dio, in senso mosaico, nel corso di tre secoli, passando da eroe ad aner theios, a semieroe divino , a dio minore fino all’assimilazione con il Theos Upsistos, fino ad essere considerato una sostanza ousia divina, un nome esplicito (Shem meforash) di cui si celebrano tre upostaseis persone, consustanziali.
La lettura paolina ebraico-ellenistica, christiana, portata avanti dalla tradizione antiochena, letterale, mista con quella allegorico-morale alessandrina, contrasta con quella ebraico- aramaica.
I termini, infatti, (sottesi ) qarav avvicinarsi, nagah toccare e nagash venire vicino indicano anche dopo, oltre un millennio, per Maimonide, non solo una prossimità spaziale, ma anche una congiunzione della scienza con il suo oggetto, in quanto si assimila la scienza ad un corpo che si avvicina ad un altro corpo. cfr. Guida dei perplessi, a cura di Mauro Zonta, Utet, 2013, p.114, per cui sembra che si possa dire che essere saldi, vedere e avvicinarsi diventano espressione di un’altra cultura, di un mondo di puri e perfetti sacerdoti, timorosi e zelanti di fede, coscienti di essere figli di Dio, eredi del Regno, (come furono i naziroi) irriducibili guerrieri, che preferiscono morire piuttosto che infrangere la Torah, imitando gli Esseni, sterminati dalla decima legione di Vespasiano.
Quindi nella narrazione del Malkuth ha shemaim è scritta la storia di uomini che lottano insieme col Mashiah contro l’imperium romano, convinti di fare la storia voluta da Dio, ispirata e condotta da lui per la realizzazione del piano divino, conformati alla sua sua parola e quindi educati secondo musar.
La storia di Gesù greco, invece, è Basileia tou Thèou, la cui vita e le cui parole sono state scritte, dopo un lungo periodo di oralità, da uomini che vogliono consolidare il pensiero ebraico ellenistico di Paolo, che risulta elemento cardine della formulazione di questo secondo regno, filoromano, basato su una paideia greca, una graduale formazione ed educazione del fanciullo, secondo anche la precettistica della metrioths di Platone e di Isocrate, centrata sul polìths e sulla politeia, secondo il valore di autonomia e di democrazia confusa con la sapienza biblica nella lecsis filoniana.
Interprete di questa altra storia è Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) – che confonde e poi fonde i due regni mostrando la storia delle ecclesiai al fine di segnare i fondatori di Antiochia (Pietro Shimon) e di Alessandria (Marco ), le due sedi dominanti anche per la diversa tradizione di lecsis secondo lettera e secondo allegoria, tramandando il percorso di una chiesa di Gerusalemme rimasta pura fino alla Galuth adrianea, cancellata nella sua aramaicità e sostituita con un’altra, greca, senza alcuna continuità linguistica ecclesiale e culturale.
Eusebio raccoglie l’eredità ecclesiale del maestro Panfilo di Cesarea Marittima, i tanti frammenti ebraici, ebraico- cristiani, e pagano-cristiani del II e III secolo con le infinite sfaccettature ereticali, dovute alla diversa collocazione geografica orientale, oltre a quelli di qualche nucleo occidentale di scarsa consistenza numerica, come Roma, Pozzuoli, Vienne, Lione ecc., dove ci sono sedi coloniali episcopali come succursali di metropoli orientali (Antiochia e d Efeso). Nel III secolo e specie nel IV secolo, dopo la fondazione di Costantinopoli, Eusebio ha un seguito anche nei patriarchi costantinopolitani e in altri orientali (specie i cappadoci Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa) ed occidentali come Ambrogio, Girolamo ed Agostino, che si impegnano quasi in gara, in epoca teodosiana, per segnare secondo la logica christiana di Teodosio, la funzione della chiesa costantinopolitana, in onore della nuova Roma imperiale, voluta da Costantino.
In questa impostazione cristiana vengono fatto confluire i due regni in una cristianizzazione di tutto il sistema ebraico, fonte della matrice culturale cristiana antiochena, che ingloba il Malkuth aramaico ormai scomparso e con esso Gesù e Giacomo, suo fratello, la lettera di Aristea, le opere di Filone alessandrino, Seneca, Giuseppe Flavio, i modelli di vita pratica ed ascetica, gli esseni e i terapeuti, metabolizzando anche pitagorismo, stoicismo, platonismo e neoplatonismo.
Col concilio di Costantinopoli, nell’ottobre dl 381, concluso il processo di deificazione – ektheosis di Gesù, chiuso il discorso trinitario, pur mantenendo l’unità di Dio, con upostaseis/persone ed ousia/sostanza, costituita la teologia cristologica, il cristianesimo divenuto religio triumphans, regola i conti col paganesimo e con l’ebraismo, specie in Alessandria con Teofilo e Cirillo, sulla scia dell’insegnamento di Atanasio Cfr. www.angelofilipponi.com I due canoni.
In un lasso di tempo relativamente breve, quello compreso tra il Concilio di Nicea del 325 e quello di Costantinopoli, in nemmeno 56 anni, il cristianesimo, riunificate le diversissime anime ereticali provinciali, nate dall’assenza di una centralità dottrinale, a causa delle molteplici tradizioni evangeliche orali e scritte esistenti, scoordinate anche per la distanze geografiche delle aree cristiane nell’immenso impero romano, chiuse ed isolate dalla maggioranza pagana, grazie al patrocinio del tredicesimo apostolo, l’imperatore Costantino, fedele del Christos, deus sebhaot, unifica il suo credo, già inficiato dalla eresia di Ario, che, comunque, ha la meglio negli ultimi anni costantiniani e sotto il regno dei suoi figli, specie di Costanzo II.
Insomma si vuole dire che nei tre Vangeli detti sinottici c’è una doppia storia e che una cosa è la concezione di vita ebraico- aramaica ed una quella di stampo giudaico- romano-ellenistico.
Esemplare è il termine genealogia genehlogiai /toledot di Matteo differente da Biblos geneseoos Ihsou Khristou: ambedue indicano diverse letture di un fenomeno non univoco, uno di matrice ebraico -aramaico ed uno di matrice greca, andati avanti secondo processi retorici in relazione alla diversità di un’ ideologia teologale giudaica e di una cultura platonico-stoica ellenistica.
Dunque, una è la genesi delle parole e dei fatti di Gesù, cioè la genesi dei Vangeli, propagandati da quelli che andarono secondo Marco a predicare a tutta la creazione pashi thi ktizei il Vangelo la buona novella di uno, morto, risorto, salito al Cielo e seduto alla destra di Dio Padre (I-e II conclusione del vangelo di Marco): questa potrebbe essere quella del proto Marco, aramaica, basata sulle parole, con qualche episodio della vita-scritta poco prima o poco dopo la morte di Giacomo, connessa con Paolo e per lui basilare, visto il rapporto di Marco con Pietro- ; un’altra è la genesi di un Vangelo, quello di Matteo, la cui stesura iniziale, aramaica, sui Detti del Signore potrebbe avere una sua collocazione perfino prima della distruzione di Gerusalemme, subito dopo il quinquennio di potere del re unto /maran Mashiah, il cui ampliamento con la Vita di Gesù, successiva, potrebbe essere stato scritto tra il massacro degli esseni e la distruzione del Tempio in quanto il modello di martirio, – per la presenza di dolore/ esev, – è utile ai combattenti aramaici proprio per la stessa concezione di vittima del Christos.
Comunque, la forma della sezione Jhwh dice che equivale a logia del signore della koiné cioè quella di un nabi -corrispondente a propheths-, forse scritta in poesia (o in prosa ? anche questo non si sa) , è davar, parola oracolare, poetica, come i salmi Tehillim o tefillot e i proverbi – che sono una forma di similitudine gnomica multiforme, detta mashal – mentre la narrazione della vita doveva essere in prosa.
Quindi, dopo un momento di oralità comune (non si sa per quanto tempo) per i due Regni, anche se hanno due diverse odoi e due diverse concezioni, si costituisce un corpus scritto aramaico, in qualche modo connesso con la scuola di Jammia di Johanan Ben Zaccai, mentre l’altro mantiene un più lungo periodo di oralità e poi inizia una fase di scrittura con Marco, quel Proto Marco, considerato nella teoria delle due fonti quasi un’altra Q, databile tra le due opere di Giuseppe Flavio- Guerra giudaica del 74 ed Antichità Giudaica del 94- di cui il vangelo del Marco, che noi conosciamo, è un successivo rifacimento di epoca traianea: il primo sottende un corpo letterario ebraico- aramaico delle parole di Gesù a cui si aggiunge la vita storica di Gesù come paradigma di uomo di lavoro, di combattente e di martire come Messia/Christos vinto ma destinato al ritorno, secondo la volontà di Dio, il cui piano eterno deve essere compiuto.
E’ questo un materiale oralmente trasmesso da padre in figlio per quasi un sessantennio sulla base della scrittura aramaica matthaica di parole divine tradotte come logia dai christianoi, presenti come termine già in Filone e in Flavio specie in la Vita di Mosé, tipico dell’area semantica oracolare, connessa con la profezia.
E’ un processo che segue la vita della sinagoga e del didaskaleion fino al momento del distacco dall’ebraismo, alla fine del I secolo; da allora inizia una trascrizione evangelica, di cui Luca è espressione concreta, propria di un ellenista acculturato, che redige per scritto la tradizione evangelica, secondo la sua propria cultura e professione, senza neanche entrare in merito a quanto scrive, senza capire il valore sotteso delle parole stesse di un’altra cultura, in quanto ha un proprio telos/fine, come, d’altra parte, Marco.
Infatti per Luca la fede è salvezza 8,48 , 17,19 ecc, ma la salvezza ha valore di vita Hayyim rispetto alla morte mawet: l’evangelista segue solo la lezione di Paolo che con la fede e con la preghiera pensa di rendere operosa la salvezza del Christos morto e risorto, lui stesso paradigma di vita eterna.
Luca non intende, in quanto greco, il significato del plurale di vivo hay che comprende nella pluralità l‘essenza della vita che sottende e chi cresce e ha sensazione, ma anche chi è mobile vivente ed anche chi si riprende da una malattia: insomma all’evangelista sfugge il valore del termine che indica un essere che ha carne viva, respira e compie azioni da vivente, le cui conoscenze corrette sono espresse come vita, al contrario di quelle scorrette, indicate come morte Cfr. Proverbi 8,35 giacché chi trova me trova la vita e riceverà favore da Jhwh; Proverbi 4,20-22 figlio mio, presta attenzione ai miei discorsi, alle mie parole inclina le r tue orecchie, non si dipartano dai tuoi occhi, custodiscili in mezzo al tuo cuore, perché la vita sono essi per chi li trova…
Per l’evangelista, paolino, il sistema cristiano trasforma con l’agape amore il mondo perché Gesù è odos, aletheia e bios (via, verità e vita) secondo la retorica romano-ellenistica e secondo la logica dell’oikonomia divina che travolge e sconvolge il mondo della creatura in un totale rovesciamento, per cui all’uomo resta solo la speranza in Dio che concede in un altro regno la soluzione di ogni umano problema con il premio eterno ad un mortale.
L’evangelista, dunque, segue, comunque, da una parte la sapienza secondo Proverbi 2, 3,4 , che invita a non uscire dalla retta via, che esorta alla carità verso il prossimo, alla vita tranquilla e alla giustizia e da un’altra si regola con abilità secondo la paideia greca , avendo i piedi su due staffe, servendosi di due padroni usando scaltramente, a sua discrezione, ora una cultura ora un’altra, risultando efficace, funzionale e dilettevole.
Dunque, bene vita e male morte sono nel discorso evangelico espressioni metaforiche tanto da poter dire che i giusti anche da morti sono vivi, mentre i malvagi sono morti anche da vivi, in una sottensione di due diverse culture, che hanno differenti parametri valutativi.
Eusebio, che riprende la tradizione evangelica, e che ha forti perplessità, dopo circa due secoli, ad accettare la testimonianza di Papia di Ierapolis – un cristiano nato nella seconda metà del I secolo e morto nella prima metà del II secolo, scrittore di un’opera esegetica sui detti del signore Logioon kuriakoon- ecshghsis, connessa con la tradizione orale dei presbiteri e con quella di Filippo e delle sue figlie, attivi nell’area geropolitana, di cui sono citati frammenti evangelici di Marco e di Matteo, nonostante che sia considerato discepolo di Giovanni, millenarista e maestro di Ireneo- accoglie, invece, la fonte di Egesippo (Hist. Eccl.. 3,11,1), di cui sono note le molte incongruenze ed alcune notizie su Giacomo (2.23,6) rivelanti un differente Regno rispetto alla Basileia tou Theou, propugnata da un Giovanni, il cui messaggio è di molto diverso da quello degli altri tre evangelisti.(Marco Luca e Matteo), la cui lezione giustamente è detta, comunque, secondo Matteo (Kata Matthaion ).
Non si tratta di Matteo, però, del codice Muratoniano (documento che contiene la lista dei libri del nuovo testamento- datata forse 150 d.C– scoperta da Ludovico Antonio Muratori nel 1740 nella Biblioteca Ambrosiana di Milano).
Inoltre il logion Freer – Cfr. B. Mariani, Enciclopedia cattolica -sembra alludere a un Marco successivo, non databile esattamente.
Infine il vangelo di Giovanni, -che non è certamente Giovanni il discepolo prediletto, ma è uomo di età adrianea (un discepolo omonimo o un altro Giovanni) che scrive intorno al 130 epoca in cui oggi si colloca il papiro 457 del Fayum (Ossirinco) della biblioteca di Roland Ryland pubblicato da C.H. Roberts , contenente un brano giovanneo, in cui si parla del dialogo di Gesù con Pietro, –presenta connotazioni chiaramente gnostiche che lo fanno datare nel periodo di Basilide e Valentino.
Infatti si può arguire che quanto scritto ad Efeso fosse in circolazione da poco anche in Egitto e in Africa: studi paleografici hanno fissato la datazione non oltre il 150 d.C e non prima del 130 d.C. con l’oscillazione di un ventennio, considerati il papiro, la grafia e il sistema a colonne.
Perciò i redattori della Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali ritengono che si sono succeduti più stadi ma non ne precisano i termini storici.
Di conseguenza noi cerchiamo, data la frammentarietà di notizie, di rilevare i periodi su un piano storico per quanto ci è possibile, e di mostrare secondo un certo ordine e di precisare in relazione ai testi in nostro possesso.
Precisiamo per quelli che non conoscono il mio pensiero su Gesù, qenita, kanah e meshiah /Maran.
La vita storica di Gesù che va dal 7 a.C fino alla Pasqua del 36 (cfr. A FILIPPONI, Nascita di Gesù in Jehoshua o Iesous? Maroni, 2003) è tutta da documentare secondo fatti accaduti realmente come le parole veramente dette alla presenza dei cosiddetti discepoli (apostoli) dopo un lavoro sulla tradizione evangelica, nel quadro di una belligeranza ininterrotta tra il giudaismo e la romanitas, nel contesto di una reale proclamazione di un malkuth e del riconoscimento della venuta del Messia: è un periodo sconosciuto nonostante i tanti scritti, di cui niente è effettivamente certo in quanto tutto è stato letto in una chiave religiosa e mitica, poiché alonato da un senso di divino, dato come credibile, non comunque razionalizzabile e quindi custodito come tesoro intoccabile ed inguardabile, come segreto, non esplorabile in quanto mistero.
Secondo il mio parere, i logia del Signore e il bios di Gesù Christos, per come diciamo noi oggi, sono inizialmente guide e vie per la perfezione e la formazione morale e pratica di un combattente kanah ebraico zeloths antiromano, per quanto dice Giuseppe Flavio in greco in Guerra Giudaica e in Antichità Giudaica, che usa il termine anche lhsths per indicare ladro, ma sottende il significato di un armato antiromano, guidato da esseni o da maghi goeths, aramaico per formazione e per lingua, impegnato in azioni sia contro gli erodiani e sadducei e i sebasteni samaritani che contro i milites romani controllori della provincia della Iudaea. convinto di fare la volontà divina perché conformato secondo la musar ebraica.
Insomma tutto questo corpus letterario sottende inizialmente un popolo in ribellione contro il dominio romano; Roma ha un controllo, diretto in Idumea Samaria e Giudea ad opera di un procuratore – con circa una legione e mezza con postazioni a Cesarea Marittima, sulla Fortezza Antonia sopra al tempio di Gerusalemme, e con un reparto di cavalleria alla periferia di Cafarnao in Galilea- coadiuvato dal prefetto di Siria che controlla le quattro legioni sull’Eufrate e i contingenti militari ausiliari, forniti da reguli socii dell’impero romano. I figli di Erode il Grande (Erode Antipa, tetrarca di Galilea e di Perea, e Filippo di Iturea, Traconitide, Batanea, Paneas Auranitide Gaulanitide) hanno truppe proprie e fanno leve per dare auxilia truppe ausiliarie ai romani, che a volte hanno anche la cooperazione di sebasteni samaritani e degli strategoi templari che gestiscono le milizie del Tempio. Truppe militari vengono fornite anche dai re di Cappadocia, del Ponto, di Bitinia e di Armenia, filoromani, impegnati a difendere il fronte eufrasico, estremo baluardo orientale dell’imperium romano.
A questo imponente schieramento di forze antiaramaiche contro l’impero di Artabano III, re dei re di Parthia, si oppongono le forze zelotiche che possono fare solo una guerriglia in regioni impervie montuose, boscose,(cfr. Tetrachia di Lisania ) in Galilea, in Iturea, Gaulanitide e Traconitide e in zone desertiche , dislocate non lontane dal confine parthico. Eppure nonostante la scarsa consistenza numerica e la difficile vita di banditi, protetti dalla popolazione locale aramaica, data la lotta per quasi due secoli, la continua stasis giudaico-aramaica risulta un cancro da estirpare già per i Giulio Claudii, e diventa, dopo la parentesi dei Flavi-che pur avevano distrutto il Tempio- per gli antonini una necessitas storica quasi un dovere, l’annientare il genos ebraico, con estirpazione della radice e dei segni visibili del culto stesso di Jhwh e del nome stesso di Sion/Gerusalemme.
Gli aramaici, dunque, connessi con la tradizione ebraica dei discepoli di Ben Zaccai, prescrittiva ed orale, hanno bisogno dopo la morte di Iaqob, la fine dei esseni e la distruzione del tempio, non solo delle parole del signore ma anche di esempi concreti di vita che potevano anche essere presi dalla parte scismatica ebraica alessandrina che, dopo la costrizione flavia e la forzata concessione sinedriale della condanna a morte di molti fuorusciti naziroi da Gerusalemme, è solidale con l’ebraismo gerosolomitano aramaico, seppure sterminato col consenso ebraico ellenistico. Gli alessandrini, al di là del traumatico editto del sinedrio necessario per l’incolumità della città, ammirati dall’eroismo aramaico, esaltato nei loro scritti, hanno un rapporto più stretto, da quel momento, con correligionari, in nome della comune Legge mosaica. Le discussioni rabbiniche di Iammia sono lette e confrontate con quelle alessandrine e cirenaiche e creano un corpus letterario orale per oltre un quarantennio, in cui c’è una pacificazione generale, seppure con screzi dottrinali, non solo tra le differenti anime ebraiche, ma anche tra queste e la romanitas e i greci.
In un clima di apparente filoromanità, in cui cova l’odio zelotico antiromano, si costituisce parte di quella Torah she be ‘alpe (torah orale) che poi sarà messa in scritto da Giuda ha Nasi, come raccolta unitaria anche di tutte le altre discussioni rabbiniche, tenutesi dal periodo del tempio fino all’epoca di Antonino il Pio e Marco Aurelio (Midrash). Da qui, grazie ai commenti (pesharim) dei tannaim, si costituiscono i Talmudim (Jerushalmi e Bauli) formando due rami, quello “haggadico” (da Haggadah/ narrazione ) e quello” halachico”(da -Halakhah/norma), secondo due diverse letture ed interpretazioni, una narrativa ed una legalistica.
I cristiani, antiocheni, invece, -già separatisi dai naziroi basileici di Jakob, cioè da quelli della Chiesa gerosolomitana e forse dai mandei, fuggiti in Parthia ( che avevano lo stesso codice ebraico scritto, masoretico)- avevano già, come libri sacri, subito dopo il 70, la Bibbia dei Settanta, le Lettere di Paolo, i tre vangeli sinottici, Lettera di Barnaba, Erma e Clemente I-II .
I christianoi, dunque, si appropriano non solo della Bibbia dei settanta, del metodo divisorio, del sistema pesher tipico della Sapienza, dei Salmi e Proverbi, ma anche dell’opera del Siracide, di Filone e poi di Flavio, seppure rifiutati come libri menzogneri, impuri dall’ebraismo, che scomunica il cristianesimo antiocheno, già minacciato da altre eresie nel suo interno.
Gli ebrei aggiungono proprio allora la Birkat Ha Minim la dodicesima benedizione della Amidah, redatta da Samuel il giovane, secondo le indicazioni di Gamaliel I: “Per i calunniatori e per gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i Tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii Tu o Signore che spezzi gli avversari ed umili i reprobi.
Inoltre essi, (compresi i seguaci di Giacomo) pregano così contro i Christianoi, ed assumono ufficialmente il testo masoretico in una volontà di distacco definitivo dai Christianoi, minim, che seguono il Testo dei Settanta e la lettura di Filone.
Per me anche Filone di De vita Contemplativa e di Quod omnis probus inizialmente fonte comune per rabbini ebraici naziroi e christianoi in quanto, propositore di una doppia via per chi vuole conoscere Dio, mostra come chi ha scienza e timore di Dio occupa il posto/magon degli avi e che ha diritto al trono/kisse che è eterno dando modelli di vita mediante la pratica essenica e la theoria contemplativa Terapeutica. Poi, sebbene tutto questo costituisca un corpus unitario di base terapeutico- essenico su cui si forma una primissima tradizione orale, utile per tutti le radici ebraiche, la storia divide gli ebrei aramaici , compresi i naziroi, dai christianoi, che separati ideologicamente dagli ebrei, sanno vivere vicino ai greci, goyim pagani.
Invece gli ebrei ellenistici cominciano ad avvicinarsi sempre più al radicalismo ed oltranzismo aramaico per motivi politici, amministrativi e ed economici e quindi si staccano definitivamente da Filone e dalla Bibbia dei Settanta, inficiata nella lettera dalla paideia ellenica.
I Christianoi antiocheni, vivono separati e sono ben distinti da Traiano- come si vede nella lettera di Plinio all’imperatore – dagli ebrei, che ora sono perseguitati e perché aramaici e perché ellenizzati oppositori però alle auctoritates locali a causa del decadere delle loro azioni finanziarie, non più sostenute dalla politica romana, ormai vicina ai banchieri pagani, danneggiate ulteriormente dalla nuova famiglia regnante filellena, dopo il tracollo in epoca flavia.
Inoltre gli aramaici ora sparsi in Partia, e specificamente in Mesopotamia e in Assiria e in Perside, ma in maggioranza propagatisi in Alessandria e Cirene, portano il contributo della loro formazione e cultura ai confratelli ellenisti in territorio romano con mesopotamizzazione, che sottende odio contro Roma e fratellanza con i Parthi.
Eppure l’ amministrazione dei governatori romani, che pur applicano la legge di Nerva(96-98), giusto imperatore che ha abolito l’obolo ebraico cancellando la tassa flavia, risulta per gli ebrei ellenisti rapace in relazione alle loro attuali situazioni commerciali, di sopravvivenza, e perciò attendono in uno stato di quasi miseria il compimento del Malkuth, come un ripristino della loro antica condizione sociale.
I rabbini di Iudaea e quelli ellenisti ora hanno una voce comune e sono apparentemente pacifici in attesa dell’evento messianico, del ritorno del Meshiah, avendo cancellato parzialmente la memoria di quello vinto e crocifisso, atteso invece, ancora, dai naziroi gerosolomitani.
Una nuova ondata di Messianesimo si abbatte in tutto l’oriente mentre i giovani sono segretamente arruolati ed addestrati e sono formati secondo le prescrizioni della torah e formati dottrinalmente con la davar scritta, secondo moduli apocalittici ed escatologici.
In effetti nei primi anni del principato di Traiano la teoria apocalittica e escatologica si sviluppa come concezione della fine dell’ira di Dio dopo le tante prove subite e patite da Israel peccatore e come avvento di un Nuovo Messia in quanto è giunta l’ora del Signore.
Gli aramaici, dunque, hanno due differenti letture una propria dei giacomiti , la cui Bibbia siriaca, autorizza un’interpretazione di ritorno del signore per l’instaurazione definitiva del regno, mentre gli altri aramaici di Parthia e di Giudea, non naziroi, hanno una visione di vittoria di Sion su Roma con la venuta di un Nuovo Meshiah invincibile.(cfr Apocalisse di Baruc e IV libro di Esdra con l’immagine vittoriosa del Leone messia sull‘aquila imperiale sconfitta ).
Le comunità ebraiche di Mesopotamia, di Cipro, di Cirene e di Egitto iniziano ad essere in fibrillazione al momento della spedizione antinabatea, come già prima intorno al 101, alla morte di Erode Agrippa II , quando questi lascia in eredità a Traiano il suo regno, cosa che autorizza l’imperatore a congiungere l’area giudaica con quella sinaitica ed egizia, con l’annessione del Regno di Nabatea tanto da poter dire che ormai il Mediterraneo è mare nostrum.
Dunque,tra il 101 e il105, epoca della annessione della Nabatea da parte di Traiano, intenzionato ad aprirsi la via pelusiaca per avere l’appoggio della flotta romana, che doveva essere forza ausiliare alle legioni sul Mar Rosso, sul golfo di Aqaba e perfino su quello Persico, all’occorrenza- in quanto la Parthia non aveva un contingente marittimo – e ad avere libero il passaggio dall’ Armenia minor, obbligatorio secondo i piani di Cesare, di Germanico e di Caligola, per un’invasione del territorio parthico.
Eusebio parla di Papia che con l’esegesi dei logia del signore,- già scritti in aramaico da Matteo – afferma che gli altri evangelisti scrissero come potevano sulla base matthaica senza indicare l’esatto tempo, dopo la fase orale.
Bisogna pensare perciò che la testimonianza papiana sottenda un lavoro già compiuto da Matteo aramaico prima del periodo compreso tra il 105 e il 115 d.C. e perciò è possibile inferire che Matteo greco, il proto Marco e e Luca scrivano per integrare la tradizione orale con quella scritta delle Lettere di Paolo in modo da formare un corpus greco per i Christianoi di Antiochia, anche per meglio distinguersi dai naziroi e dagli ebrei, in un momento storico grave perché la parentela religiosa è un percolo per la loro incolumità. E’ un momento veramente gifficile, il più delicato della storia romana, tanto traumatico per la romanitas quanto per l’ebraismo aramaico, che, congiunto con quello ellenistico si macchia di orribili misfatti, dolorosi ad ammettersi anche a distanza di secoli, indegni di un popolo sacerdotale, eletto...
Credo di poter mostrare la gravità rilevando con Cassio Dione , LVIII,28,29,30 la situazione tragica ad Antiochia dove è Traiano nel 115 d.C., pronto per la partenza per la spedizione parthica.
Un terremoto catastrofico in città è interpretato dai giudei come i partecipazione di Jhwh alla guerra contro i Romani, come presagio della sconfitta romana, come segno della venuta prossima del Messia: per loro il cataclisma diventa come una chiamata alla armi al suono del corno shofar.
La campagna parthica di Traiano comincia bene con vittorie in Assiria e poi con una navigazione sicura sul Tigri (mentre una parte naviga sull’Eufrate, dopo la conquista di Nisibis ad opera di Lusio Quieto) grazie ai battellieri giudaici che sembrano collaborare con l’esercito romano e con le truppe di invasione socie.
Sbarcato l’esercito non lontano dalla confluenza dei due fiumi, nelle vicinanze di Seleucia, Traiano entra invitto nella capitale Ctesifonte, mentre Lusio Quieto avanza verso il delta paludoso fino al Golfo Persico…
Non è chiaro cosa succeda, ma quando Traiano insedia come Re dei re Partamaspate, la situazione si capovolge, forse per la sconfitta dell’esercito schierato fuori delle mura ad opera della cavalleria catafratta…
La reazione parthica è totale nella bassa Mesopotamia a causa di un violento contrattacco giudaico, che divide l’esercito in due tronconi una guidato da Traiano e l’altro da Adriano e Cornelio Palma Cfr J. BENNETT, Traian optimus princeps, Bloomington,2001)
Separatamente si cerca di prendere le navi sull’Eufrate e sul Tigri per il ritorno in Patria e questo aggrava ulteriormente la ritirata anche per la defezione dei battellieri ebraici, che cessano la collaborazione con i milites, incalzati dalla cavalleria parthica e svantaggiati in una pianura aperta, nonostante la presenza dei cavalieri mauri di Quieto, tornato con l’esercito decimato da malattie (dalla malaria) privo di rifornimento e impossibilitato a prendere Hatra …
Alla fine del 116 si viene a conoscenza della ribellione ebraica e delle stragi fatte a Cirene e a Salamina di Cipro dai Giudei e Traiano è sollecitato a tornare ad Antiochia, da dove dirigere le operazioni contro i rivoltosi di Egitto, di Cirenaica e di Cipro. Vengono accelerate le marce ( si passa da magnis itineribus a maximis itineribus) guidate da Publilio Celso e da Avidio Nigrino, pur se si è in zone desertiche.
Il titolo di Particus, già acquisito da Traiano, proclamato dalle truppe imperator, sottende ora una sconfitta, in quanto l’esercito che avanza è decimato dalla cavalleria parthica completamente ricompattata nel nome del nuovo re, anche se nominato dai Romani, ma ora riconosciuto universalmente i da ogni suddito …
La morte di Traiano a Selinunte di Cilicia ha come conseguenza la necessaria cessione dell’Armenia e della neo provincia di Mesopotamia, già del tutto riconquistata dai Parthi: Adriano ora imperatore, sancisce un dato di fatto e ripristina lo status antecedente l’impresa parthica.
Inoltre poco dopo la congiura di Quieto e di Nigrino, di Palma e Celso, si manifestano segni di un malcontento militare per l’ inattesa conclusione dell’impresa parthica e per il ripristino dell’ordine nell’imperium romano già alla fine del 118, senza aver punito debitamente i Giudei, responsabili del fallimento della politica imperialistica, che, comunque, restano cives anche se sotto oculata sorveglianza . cfr M . GRANT, The Antonines: the roman empire in transition London 1996, mentre le città non lontane dal fronte eufrasico sono adeguatamente fortificate come ad esempio Gerasa/ Jerash.,
Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano, governatore di Asia dal 122 al 123, riportato da Eusebio (Hist. Eccl. IV,9,1-3), già in Giustino, Apologia, XVIII, 3-5 è in linea con quello traianeo sotteso alla risposta dell’imperatore a Plinio il giovane, legatus Augusti pro praetore in Bitinia e Ponto cfr. Epistula X,96 -97 in quanto fotografa i necessari e differenziati interventi sugli ebrei e sui christianoi.
I giudei, circoncisi e separati dai goyim/pagani, aramaici o ellenistici, sono vigilati speciali, mentre i cristiani ben integrati tra le popolazioni locali, amati e rispettati per la tendenza alla riunione pacifica e all‘agape fraterna, anche se, data la comunione dei beni, pagano le tasse alle autorità regionali non individualmente per capita, ma per etnos associato nella persona dell’epitropos o episcopos o epimeleths, con titoli differenziati a seconda della grandezza dell’ecclesia.
Nel rescritto si sottende che l’ebreo deve essere investigato nella proprietà e nel suo culto di latria e perseguito sulla base di un semplice accusa, mentre per il Christianos oltre all’accusa di un accusatore, perseguibile penalmente in caso di infondatezza delle, prove procedurali, non basta il nomen ipsum ma sono necessarie le documentazioni dei flagitia coehrentia nomini cioè non c’è punizione per il nome stesso, ma per le colpe connesse al nome. Plinio Ep.X,96.
Comunque, Traiano indica una procedura , a cui si attiene anche Adriano, e impone che non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi, essi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi. Ep. X,97.
Chiaramente gli imperatori antonini indagano il christianos che pur ha una radice ebraica, ma sono indulgenti anche se richiedono in pratica qualche manifesto segno (grano di incenso offerto in pubblico). come riconoscimento del numen dell’imperatore e di Roma: in sostanza sembrano più inclini a perdonare che a punire il cristiano, mentre sono determinati a perseguire l’ebreo indistintamente.
Dunque se è chiara la situazione che precede la nuova ed ultima insurrezione giudaica, quella di Shimon bar Kokba, si può forse far rilevare che in un clima di sorveglianza stretta da parte delle auctoritates provinciali romane verso l’elemento ebraico, sia compatibile la presenza di una scrittura aramaica sulla vita e sulle parole del Meshiah.
Quindi tutte le prescrizioni della torah con gli huqqim disposizioni e con i mishpatim giudizi connessi con le profezie oracolari mosaiche mostrate da Iaqob e fuse con le prescrizioni del malkuth del fratello – le cui parole oracolari e i cui decreti sono da seguire con scrupolo da tutti i seguaci che proprio nell’attesa del ritorno aumentano il timore di Dio, seguendo il modello di vita di Gesù, morto e risorto, legge vivente ora…
Ne consegue che, vivente ancora Jakobos, sulla base della celebrazione del martirio di Gesù si era costituto un racconto della vita, della passione, morte e resurrezione del fratello, dapprima orale ma poi, dopo la strage degli esseni, con la memoria annuale non solo del Meshiah ma anche dei nuovi martiri, si costituì una sorta di narrazione scritta con prescrizioni giuridiche, in assenza del tempio, letta in riunioni più o meno segrete, data la vigilanza romana.
Dopo secoli non è possibile determinare se il testo esiste già al trasferimento a Pella, considerato poi che al ritorno a Gerusalemme gli aramaici gerolosomitani sono ancora connessi con i confratelli giudaici e che avessero collegamenti con Ben Zaccai tanto da essere uniti nella lotta coi romani al momento dell’annessione della Nabatea e ancora di più nel corso della guerra di Kitos o se la codificazione scritta è connessa con gli avvenimenti antonini.
Questo scritto è quello stesso di Papia, di cui parla Eusebio?
Certamente questo corpus fu comune agli aramaici di Giacomo e a quelli di Parthia nel clima bellico traianeo e poi in quello della repressione adrianea.
Allora bisogna presupporre tra gli ultimi anni del I secolo e i primi cinque anni del II secolo, una scrittura greca evangelica kata Marcon, kata Matthaion, kata Lukan, di cui non si conosce l’esatto momento di redazione!
Infatti da Giustino in poi è possibile trovare segni di Vangeli scritti in varie ecclesiai in greco – perfino quello giovanneo- nel corso di tutto il II secolo e prima metà del terzo secolo.
Eusebio in Historia Ecclesiastica 5,10 parla di Panteno e mostra come in Alessandria sia presente ancora il vangelo di Matteo aramaico, ma circolano anche quello di Marco e di Luca e Matteo greco secondo Ammonio alessandrino, mentre in altre parti dell’mondo romano Taziano, nato in Assiria nel 120 e morto forse nel 180, cerca di comporre un Vangelo unitario nella sua opera Diatesseroon, detta anche Armonia, perché fa il tentativo di unificare , armonizzando le tante e diverse tradizioni -anche orali- greche, pur già scritte.
Queste sono le sue precise parole: Un uomo celeberrimo per la sua cultura, di nome Panteno, dirigeva allora la scuola dei fedeli di quella città, dato che per antica usanza esisteva presso di loro una scuola di dottrina sacra: essa si è conservata fino a noi, e abbiamo saputo che è tenuta da uomini abili nella parola e nello studio delle cose divine. Si narra che il suddetto Panteno si sia distinto tra i più brillanti di quel tempo, in quanto proveniente dalla scuola filosofica dei cosiddetti Stoici. Si dice quindi che mostrò un tale ardore nella sua fervidissima disposizione per la parola divina, da essere designato araldo del Vangelo di Cristo alle nazioni d’Oriente, giungendo sino all’India. V’erano infatti, v’erano ancora a quei tempi, numerosi evangelisti della parola, che avevano cura di portare zelo divino ad imitazione degli apostoli per accrescere ed edificare la parola divina.
Anche Panteno fu uno di loro, e si dice che andò tra gli Indiani, dove trovò, come narra la tradizione, presso alcuni del luogo che avevano imparato a conoscere Cristo, che il Vangelo secondo Matteo aveva preceduto la sua venuta: tra loro, infatti, aveva predicato Bartolomeo, uno degli apostoli, che aveva lasciato agli Indiani l’opera di Matteo nella scrittura degli Ebrei, ed essa si era conservata fino all’epoca in questione.
Panteno, comunque, dopo numerose imprese, diresse infine la scuola di Alessandria, commentando a viva voce e con gli scritti i tesori dei dogmi divini.
Da quanto detto da Eusebio il vangelo aramaico di Matteo, portato da Bartolomeo in India ( non si sa se l’apostolo fa un viaggio marittimo con navi – sul mar Rosso da Clisma fino ad Aden per costeggiare l’Arabia ed arrivare fino a Barigaza- o se ci viene, via terra, dalla Perside; la prima è più trafficata data la presenza di 192 navi che fanno il tragitto mensile per India, la seconda è tipica degli ebrei della zona della bassa Mesopotamia e della regione intorno a Susa), si può arguire per prima cosa che poco dopo la distruzione di Gerusalemme alcuni aramaici dopo Masada, si dirigono, oltre che ad Alessandria anche in Arabia e in Babilonia. Inoltre si evince che Panteno ritrova lo scritto aramaico tra le popolazioni indiane e lo riporta ad Alessandria ( e poi non se ne ha più notizie- pare-).
Da altre fonti si conosce che in India centrale c’è una fioritura di naziroismo dopo la galuth adrianea, come anche in Arabia più in quella centrale che lungo la coste e del mar Rosso e dell’ oceano indiano- compreso il golfo di Oman: sono attestati naziroi perfino all’epoca di Maometto…
Questa codificazione aramaica costituisce un corpus unitario di base terapeutico- essenico, portato avanti dai Terapeuti di Alessandria rimasti puri fino al tempo di Sinesio (Cfr. www.angelofilipponi.com Il vescovo Sinesio) su cui si forma una primissima tradizione orale, christiana antiochena anche dopo la violenta scomparsa ad opera della decima legione romana degli esseni, recuperati poi nel II secolo, e dopo la distruzione del Tempio…di cui si ha traccia implicita in Clemente Alessandrino (Stromateis , 1,21,147 ) in Origene ( Comm. in Matteo, 1) e forse in Tertulliano (De carne Christi, 22)che parlano già di un Vangelo di Matteo scritto in greco e ne riportano l ‘ incipit …
Dopo la codificazione scritta greca, la varietà dei vangeli è in relazione alle tante e differenti aree di predicazione cristiana, in Oriente e in Occidente, in cui appaiono modifiche, aggiunte e cambi strutturali con formule utili per la definizione della regalità, della cristologia e del mistero trinitario e talora si costituiscono perfino Nuovi Vangeli, attribuiti ad Apostoli …
Il primo,a detta di Eusebio, che li certifica e li cataloga facendo precise enucleazioni sarebbe stato un Ammonio di Alessandria contemporaneo di Ammonio Sacca, il filosofo, maestro di Plotino…
In Eusebio come in Atanasio , comunque, sono presenti i segni di una avvenuta evangelizzazione cristiana, ma anche di una incertezza sul criterio di autenticità e su quello di classificazione…
Il sistema classificatorio arriva fino a Isidoro di Siviglia, la cui esposizione sottende una precisa eredità ariana, quella della cultura visigotica, inficiata dall’evangelizzazione anche nestoriana monofisita, in Spagna….
Isidoro in De canonibus evangeliorum dice: 1. Canones Evangeliorum Ammonius Alexandriae primus excogitavit, quem postea Eusebius Caesariensis secutus plenius conposuit. Qui ideo facti sunt, ut per eos invenire et scire possimus qui reliquorum Evangelistarum similia aut propria dixerunt.
2. Sunt autem numero decem, quorum primus continet numeros in quibus quattuor eadem dixerunt: Matthaeus, Marcus, Lucas, Iohannes. Secundus, in quibus tres (eadem dixerunt): Matthaeus, Marcus, Lucas.Tertius, in quibus tres: Matthaeus, Lucas, Iohannes. Quartus, in quibus tres: Matthaeus, Marcus,Iohannes.
3, Quintus, in quibus duo: Matthaeus, Lucas. Sextus, in quibus duo: Matthaeus, Marcus.Septimus, in quibus duo: Matthaeus, Iohannes. Octavus, in quibus duo: Lucas, Marcus. Nonus, inquibus duo: Lucas, Iohannes.
4. Decimus, in quibus singuli eorum propria quaedam dixerunt.Quorum expositio haec est. Per singulos enim Evangelistas numerus quidam capitulis adfixus adiacet, quibus numeris subdita est aera quaedam mineo notata, quae indicat in quoto canone positus sit numerus, cui subiecta est aera.
5. Verbi gratia: Si est aera .., in primo canone; si secunda, in secundo; si tertia, in tertio; et sic per ordinem usque ad decimum perveniens. Si igitur, aperto quolibet Evangelio, placuerit scire qui reliquorum Evangelistarum similia dixerunt, adsumes adiacentem numerum capituli, et requires ipsum numerum in suo canone quem indicat,ibique invenies quot et qui dixerint; et ita demum in corpore inquisita loca, quae ex ipsis numeris indicantur, per singula Evangelia de eisdem dixisse invenies.
In epoca visigotica grande era la confusione, nonostante i canoni, i raggruppamenti, le divisioni, le logiche differenziate semantiche!.
Riassumiamo e concludiamo.
Si era costituita in epoca flavia una doppia tradizione quella aramaica, orale, che serpeggiava, si vivificava e si rianimava col paradigma dei martiri nella lotta clandestina contro i Romani e che, finita dopo il settanta, iniziava un nuovo reclutamento militare collegato con quello dottrinale di Johanan ben Zaccai e con i discepoli del maestro /Rabbi , formatore di altri rabbi …Era una scuola o che tramandava tramite Rabbi la legge mosaica secondo il costume essenico, mantenendo la tradizione giudaico-aramaica…
Accanto si era costituita un’altra tradizione, greca ad Antiochia, che enucleava il suo messaggio sulla morte e resurrezione del Christos, destinato a tornare come nikeths , trionfatore che riuniva tutte le stirpi del giudaismo ellenistico e i pagani convertiti, secondo il pensiero di Paolo e secondo il contributo della scuola alessandrina e di quella antiochena, in senso allegorico. e in senso letterale…
La prima aveva come emblema il Messia risorto propagandato oralmente da Giacomo che proclamava il malkuth ha Shemaim, destinato a trionfare al ritorno prossimo del fratello; la seconda era di stampo paolino, una Basileia tou Theou, scismatica che visse, senza essere mai accettata per qualche tempo vicino alla sinagoga ebraica …
Perciò non esiste un nucleo evangelico scritto né in aramaico né in greco in quanto ci sono due diverse di una tradizione orale aramaica ed una ellenistica secondo Giacomo e secondo Paolo.. .
La tradizione aramaica per prima passa dalla fase orale a scritta per necessità politico-storica, poiché i capi aramaici hanno fatto una scelta in senso mosaico ebraico e quindi hanno rifiutato la linea ereticale paolina, dopo il Settanta, specie nella Chiesa di Gerusalemme, nonostante la vigilanza romana e l’incipiente persecuzione imperiale .
Ne deriva che è possibile parlare di un vangelo scritto aramaico ma non di un vangelo greco che invece deve essere collocato entro il ventennio tra la stesura di Guerra giudaica e Antichità Giudaica , contemporanea al Bios flaviano, che potrebbe essere il modello da imitare per i letterati Christianoi, che avrebbero potuto servirsi anche della fonte scritta aramaica …
Aggiungo che sono propenso, perciò, a datare la scrittura greca di una originaria fonte Q solo tra il 74 e il 94 d.C .. e a considerare il Proto Marco, subito dopo la fonte, negli ultimi anni di Domiziano, mentre i testi che noi abbiamo -escluso Giovanni – sono compresi tra l’ epoca nerviana e l ‘annessione della Nabatea …Dunque questa è la storia, o meglio questa – dovrei dire – è la risultanza storica di anni di studio.
E i miei parenti ed amici cristiani dicono che credono in Gesù Cristo e non sanno distinguere il Cristo da Dio: sono veramente credenti cristiani cattolici?
Recitano il Credo ogni domenica e vanno settimanalmente al rito eucaristico a nutrirsi del Corpus Christi. Perché? non lo so.