Lisania era figlio di Tolomeo di Menneo, signore di Calcide che, alleato di Aristobulo II, suo suocero, aveva accolto Antigono, dopo la morte di suo fratello Alessandro, con le sorelle a corte.
Tolomeo era stato un padre spietato, che aveva fatto uccidere l’altro figlio Filippione, a cui era stata concessa come sposa Alessandra, sorella di Antigono, per sposarla a sua volta (cfr.Flavio Ant.Giud. XIII, 392,XIV,126).
Aveva fatto una politica antiantoniana e filoparthica ed aveva riportato nella sua terra Antigono, promettendo ulteriori aiuti, all’atto dell’invasione di Pacoro, figlio di Orode, re dei parthi.
Questi aveva conquistato tutta la Fenicia ed era arrivato al Mediterraneo, ma non era padrone del mare per la presenza della flotta antoniana, mentre Barzafrane e Quinto Labieno, figlio di Tito Labieno (Ant .Giud.XIV,330, Dione Cassio, Storie XLIX,19-21) agivano nell’interno della Siria e Celesiria.
Lisania, alla morte del padre, alleatosi con Antigono, lo aiutò a conquistare Gerusalemme e a consolidarsi nel potere, facendo, quindi, una politica avversa ad Antonio, secondo la tradizione familiare.
Quando, però, Pacoro fu vinto, nel 38 a.C. da Ventidio Basso, che già aveva sconfitto ed ucciso Barzafrane e Labieno, gli furono imposte, dopo la vittoria di Gindaro, gravi tributi: le condizioni di pace, trattate con Antonio stesso, furono pesanti.
Antonio, vincitore per legatum dei parthi, già innamorato di Cleopatra, ucciso Antigono in Antiochia, aveva imposto Erode come sovrano in Giudea ed aveva assegnato in dono alla regina egizia la tetrarchia di Lisania (che, accusato di aver favorito i parthi e di aver cospirato contro i romani, era stato ucciso Ant. Giud. XV,92) ed alcuni territori di Malco, re nabateo (quelli intorno a Damasco).
I due re pagarono caramente specie Lisania, che, prima di morire, dovette cedere anche la capitale Abila (di cui si vedono rovine al villaggio, oggi chiamato Suk Wady Barada, a 20 km da Damasco) alla regina egizia.
Erode, pur socius dei romani dovette pagare per non dare territori richiesti da Cleopatra (la zona di Gerico): diede infatti duecento talenti, versando anche la metà di Malco, che non aveva alcuna intenzione di saldare il debito.
Il re giudaico, in quanto fiduciario del triumviro, dichiarò guerra a Malco, poco prima della battaglia di Azio (31 a.C.).
Questa guerra si protrasse per oltre un ventennio e fu contro i nabatei e contro Zenodoro, che era stato l’amministratore della casa di Tolomeo di Menneo e quindi di suo figlio Lisania (o ton Lusaniou memisthomenos oikon).
Questi nel corso e dopo la guerra aziaca, riprese il controllo della ex tetrarchia di Lisania e la gestiva approfittando della mancanza di autorità romana ed egizia, nel periodo compreso tra il 32 e il 29 e forse, fino al 27 a.C., epoca in cui Augusto decise il destino della Celesiria e delle zone ciseufrasiche e transeufrasiche.
La zona di Calcide, ai piedi del Libano, con quella di Abila, estesa fino verso il monte Hermon comprendeva parte della fascia orientale settentrionale del Libano attuale, tutta la zona montuosa nordoccidentale compresa l’ Iturea (Batanea, Ulatha e Paneas) Gaulanitide, Traconitide, Auranitide e zone dell’alta Galilea, fino alla Decapoli.
La tetrarchia di Lisania non era una piccola regione e per di più non omogenea, difficile a gestirsi, data la diversità di popolazioni, considerate le differenze morfologiche e la mancanza di una capitale unitaria: essa, grosso modo (tolta la parte settentrionale del Libano) poi toccò a Filippo, figlio di Erode il grande, che edificò al centro di questo territorio, Cesarea sotto l’Hermon, alle sorgenti del Giordano, dando così una nuova capitale (cfr Ant. Giud.XVIII,12-28,106).
Poi la tetrarchia ebbe qualche spostamento territoriale verso oriente, dopo la separazione coi territori nord-ovest (aggregati, forse, alla Siria) e fu data a Erode Agrippa-Ant.Giud XVIII, 276- ed infine assegnata da Claudio a suo fratello Erode, pur ridotta nelle dimensioni (Ibidem,XX 138) territoriali, limitati alla zona di Calcide. Per questo motivo il fratello di Erode Agrippa I viene chiamato Erode di Calcide.
Molte di queste zone erano state occupate, quelle transgiordane, da Iamneo ( Ant. giud. ,XIII,393-4,397), che aveva conquistato tra l’altro la Valle detta di Antioco e la fortezza di Gamala e perfino Pella in Decapoli, e le aveva colonizzate insieme con la Perea (che è più a sud), inviandovi sacerdoti, per far adottare i costumi giudaici.
Zenodoro, comunque, si oppose ad Erode il grande, che era stato investito da Augusto come sovrano della ex tetrachia di Lisania, con cause e con operazioni militari, impedendone la conquista.
Erode ebbe il sopravvento nella causa giuridica per l’appoggio sia di Marco Agrippa che di Augusto, il quale, nel 20 a.C. , stando in Siria, in occasione di una ventilata spedizione contro i parthi, riconfermò il precedente dono, fatto dopo la guerra aziaca.
Erode, però, non ne aveva preso militarmente possesso definitivo perché ostacolato da Zenodoro, dagli arabi, dai parthi.
Infatti Zenodoro, non avendo avuto l’appoggio romano, essendo nemico di Erode, cominciò a tessere rapporti diplomatici con i parthi e con gli arabi, e fece concessioni di porzioni del territorio a Fraate e vendette l’Auranitide a 50 talenti (ad un basso prezzo, circa 1.250.000 euro) ai nabatei, in modo da poter regnare indisturbato sul restante della tetrarchia.
Da qui la difficoltà di inglobare la tetrarchia di Lisania da parte di Erode, che, solo nel 12 a.C. , alla morte di Zenodoro, ne entrava in possesso, nominale.
La zona, infatti, non era di facile controllo sia per la morfologia accidentata del territorio, montuoso, che per la presenza di lhistai, ladroni (sul problema lhistai-zelotai nel territorio di Lisania -Zenodoro cfr. Giudaismo romano I parte).
L’intervento romano di Varrone, governatore di Siria e poi quello di Senzio Saturnino, incaricati a più riprese di ripulire la zona non dovette avere esito se Erode non ne prendeva possesso ed era tenuto in scacco dai lhistai in una regione adatta alla guerriglia.
La zona per me era covo degli zeloti che, protetti dai Parthi e dai Nabatei, avevano rifornimenti e quindi fomentavano rivolte mantenendo uno stato permanente di guerriglia, inestirpabile, perdurato fino alla vicenda di Cristo e poi fino alla guerra del 66-73 d.C.
Erode (forse) trovò la soluzione con Zimari, che, cacciato dalla Parthia, esule, aveva chiesto ospitalità e una sede per i suoi 500 arcieri e per il centinaio di famigliari mesopotamici babilonesi giudaici, che, stanziati ai confini della Traconitide, la controllavano.
Erode gli concesse Ulhata a nord del lago di Hule e l’eparchia di Batanea, esentò lui e tutta la regione da tasse e da altri obblighi.
Zimari ne prese possesso ed edificò Bathira: egli fu uno scudo per gli abitanti, opposti ai traconiti, e per coloro che da Babilonia venivano al tempio di Gerusalemme e fu sempre fedele ad Erode.
Zimari pacificò la zona, facendo accordi con i lhistai, concedendo forse loro delle garanzie, se i suoi figli (Iacimo e Filippo, pur amici dei figli di Erode e dei romani ) poi non tradirono i figli Giuda il gaulanita e tanti altri zeloti.
Il solo Tiberio Alessandro, figlio dell’alabarca, diventato prefetto di Giudea, ebbe successo in quella zona e poté prendere ed uccidere Simone e Giacomo, figli di Giuda.
Qui l’abilità politica e strategica di Erode (Ant.giud., XVII,23-31) prevalse sul militarismo romano, dapprima facendo concedere parte dell’ex tetrarchia a suo fratello Ferora, che era diventato tetrarca di Perea, poi mediando con i nabatei e i parthi, specie dopo il matrimonio di Erode Antipa con Dasha, figlia di Areta IV.
Il problema degli zeloti, però, non fu risolto e sembra che solo con Agrippa I la zona fu oppressa pesantemente (Ibidem, 28) . In seguito i romani imposero, pur lasciando lo statuto di libere popolazioni, tributi agli abitanti.
La tetrarchia di Tolomeo di Menneo, di Lisania, di Zenodoro, tenuta da Erode con l’aiuto di Zimari, e di Ferora, divenuta tetrarchia di Filippo, poi di Agrippa I e infine passata sotto i romani, pur con speciali statuti è il covo degli zeloti, che gravitano sulla sponda transgiordana, alla sorgente (nord est e nord ovest ) e che, animati da santoni del tipo di Giovanni il battista, sono oltranzisti irriducibili contro l‘auctoritas romana, inafferrabili in quell’intrigo di sentieri montani, di rupi e di caverne e di boscaglia ancora oggi visibili, ben testimoniati da Flavio (Ant. Giud., XV,346-348).