La Giudea e il governatore di Siria Aulo Gabinio
Antipatro, Hircano e sua figlia Alessandra si tengono a contatto con Roma, mediante messaggeri e lettere: Pompeo e gli aristocratici romani sono i referenti di una comunicazione ininterrotta per un oltre un triennio per cui si conoscono sia i termini del primo triumvirato tra Gneo Pompeo,Giulio Cesare e Licinio Crasso Dives, che il consolato di Cesare e Bibulo, ed anche l’arrivo del pompeiano Aulo Gabinio come governatore di Giudea.
Nel 57. a.C. arriva in Siria Gabinio, mentre in Giudea sta per iniziare una nuova stasis rivolta, fomentata da Alessandro, figlio di Aristobulo, che non riesce a prendere il Tempio per l’opposizione dei legati romani i quali stanno supplendo il governatore non ancora giunto e per il valore delle truppe di Antipatro che coordina le forze di Hircano.
Gabinio è già stato console nel 58, a seguito di una rapida carriera cominciata da tribuno della plebe quando, fautore ed intimo di Pompeo eis toon Pomphiou sunhthoon, propone la lex Gabinia per dargli pieni poteri militari nel 67 nella guerra contro i pirati (cfr. Plutarco Pompeo , 25 ).
Pompeo, poi, con la Lex Manilia, proposta dal tribuno Caio Manilio Crispo del gennaio del 66, ottiene il comando supremo della guerra mitridatica, pur ben condotta da Licinio Lucullo, esautorato tra molte polemiche, nello stesso anno, grazie al sostegno di Cesare, capo dei populares e di Cicerone che pronuncia la Pro lege Manilia de Imperio Gnei Pompeii.
Il senato mette a disposizione di Pompeo un esercito di 20 legioni, 5000 cavalieri ed una flotta di 300 navi.
Gabinio da allora risulta un birbo adulatore di Pompeo (andra toon Pomphiou kolakoon uperphuestaton/il più smodato tra gli adulatori di Pompeo, Plutarco, Pompeo, 48).
Sull’astuzia volpina del governatore di Siria, sullo stretto legame politico col triumviro e sulla sua fides per gli ottimati gli storici concordano e nemmeno si discute il valore militare e strategico di Gabinio, dux esemplare per i militari, prudens, mentre si dice molto male circa l’avidità di denaro.
Ogni governatore romano dell’epoca cesariana, comunque, è disonesto: perfino l’integerrimo Catone è criticato nel corso della sua missione a Cipro.
Appena ottenuta la carica da Clodio con l’imperium propraetore si fece una legge apposita per la riduzione dell’isola a provincia sotto il patronato romano.
Catone con due scribae e con un questore fece il censimento e delle terre e degli abitanti (Plutarco, Catone uticense, 38) e sembra fare regolarmente il suo dovere secondo iustitia.
Infatti il testamento di Tolomeo Physcon – ucciso dalla folla ad Alessandria nell’80 – prevede la divisione del suo regno, in Egitto destinato a Tolomeo Aulete e in Cipro da assegnare a Tolomeo figlio minore, che ne invece privato perché inviso al tribuno della plebe Clodio – per non avergli pagato il riscatto nel periodo della sua prigione tra i pirati- il quale ha attenuto il decreto di annessione dell’isola all’imperium.
Catone esegue secondo mandato senatoriale, obbedendo alla lex iulia de pecuniis repetundis del 59, ma accumula un gruzzolo di 7000 talenti (Ibidem, 38) e per trasportarli inventa un sistema ingegnoso utilizzando una infinità di vasi da trasportare su navi, riempiti ognuno con due talenti e 500 dracme, temendo le insidie del viaggio di mare, dei marinai e i pericoli dello smistamento.
A Roma non arrivano certamente tutti, ed allora si fanno rumores chiacchiere circa il naufragio, gli attracchi e le soste.
Anche Catone, dunque, nonostante la stoica rigidità morale ha qualche vizietto!.
Quindi meglio sorvolare sulla aischrokerdeia di Gabinio e seguiamolo nella sua impresa egizia, facile con l’aiuto di Antipatro che è amico dei Nabatei, che riforniscono di acqua e degli ebrei di Egitto che fanno passare i romani con Tolomeo Aulete che oltretutto si è indebitato con i trapezitai alessandrini e coi nummularii romani oltre che con Cesare e con il dux della spedizione.
Un mare di denarii è alla base dell’ impresa del pompeiano Gabinio: è un momento bruttissimo della vita di Roma repubblicana: comprenderlo è utile per definire la grave crisi morale dell’ultima repubblica che coinvolge e snatura gli optimates e i polulares, i pompeiani e i cesariani, che vanno progressivamente alla guerra civile.
Nella provincia di norma gli atti vengono trascritti ed affissi per il pubblico in due città, scelte tra le altre, dopo che il governatore ha il riconoscimento legittimo da parte del senato romano: perciò talora il loro operato è noto.
Di Gabinio amministratore, un pompeiano astuto, Dione Cassio (St.Rom. XXXIX,56) dice che governa malissimo la Siria tanto da arrecarle danni di gran lunga maggiori di quelli dei pirati che allora padroneggiavano.
E poi aggiunge che per andare a fare la spedizione in Egitto, quantunque una legge vietasse al governatore di una regione di varcare i confini di un’altra regione e di intraprendere guerre di propria iniziativa e quantunque il popolo romano e la sibilla si fossero già espressi contro il ritorno di Tolomeo Aulete in Patria… lascia il figlio di Sisenna ancora giovinetto con pochi soldati, esponendo la regione, che gli era stata affidata ancora di più agli attacchi dei pirati.(Cassio Dione, Storia romana, BUR 1995, traduzione e note di Giuseppe Norcio).
I termini di lhstikoi e lhstai, comunque, in quel cotesto e contesto sembrano che possano sottendere (anche se lo storico severiano non lo può sapere e perciò equivoca- col traduttore – coi pirati che sono stati debellati da un decennio) il fenomeno non dei pirati, ma quello dei ladri che imperversa in Siria e in Palestina, cioè di uomini di lingua e religione aramaica, che attaccano proditoriamente i convogli dei romani o degli alleati, ed impediscono il normale commercio.
Essi infatti sono nemici dei filoromani e dei sadducei, avendo buoni rapporti con il popolo siriaco e con quello giudaico, ed hanno sedi in Paneas, Traconitide, Iturea, Alta e Bassa Galilea ed altrove nelle zone vicine al monte Hermon, centro operativo delle loro azioni antiromane.
Oggi si sa che i termini indicano in Giuseppe Flavio anche un movimento nazionalistica aramaico non solo giudeo ma anche siriano filoparthico, che viene indicato un trentennio più tardi come quello dei zelotai–
Prima ancora di Ezechia, debellato dal giovane Erode, dunque, esiste il fenomeno che in seguita avendo come capo Giuda il gaulanita specie in terra galilaica, ne diventa il fondatore.
Comunque sia, Gabinio, per Cassio Dione, quanto più forti erano i divieti tanto più era il prezzo chiesto per trasgredirli (all’osooi gar ekekoolutontautantosoooi pleinos auta aphmpolhse ), cosa che si può dire ancora di più per Licinio Crasso, triumviro responsabile del settore imperiale dell’impero, dopo gli accordi di Lucca.
Lo storico severiano riprende quanto ha già detto precedentemente (St.Rom. XXXIX, 12,13,14,15,16), dove parla della corruzione romana nel caso di Tolomeo Aulete, rifugiatosi a Roma e del regno di Egitto in mano di sua figlia Berenice che, avendo saputo del padre che chiedeva aiuto ai romani, aveva inviato una delegazione di 100 uomini, con a capo Dione, incaricata di mostrare le malefatte del re..
La delegazione viene sterminata nel viaggio da Pozzuoli, prima dell’arrivo a Roma, e siccome solo il capodelegazione e qualche altro si salvano dall’agguato, allora Pompeo, che protegge l’Aulete, si incarica di tenere a casa sua Dione per farlo testimoniare in giudizio contro il re spodestato, ma impedisce perfino la causa, conscio del mal governo dell’egizio, mentre scompare lo stesso Dione e vengono condannati molti alessandrini.
E’ questa una grave macchia nella carriera politica di Pompeo, che, comunque, è d’accordo con Cesare, suo suocero!.
Dione Cassio mostra come imperante la corruzione a Roma e precisa che il re non pagò il fio della strage, ma se ne andò convinto di non avere più possibilità di ritorno in patria e visse ad Efeso vicino all’Artemision, il venerabile tempio di Artemide, considerato una meraviglia, la più bella opera del mondo, costruita col denaro di tutta la comunità di fedeli asiatica, che aveva 127 colonne alte, ciascuna 20 piedi (6 metri).
L’impresa di Gabinio è vietata perfino dalla Sibilla!: Se il re di Egitto verrà e chiederà aiuto, voi non rinnegherete l’amicizia, ma non lo soccorrerete con un grosso esercito, altrimenti avrete sofferenze e pericoli ( Ibidem, 15).
La situazione dei senatori corrotti, dopo il ritorno di Pompeo a Roma e l’affaire dell’Aulete, è nota ai provinciali e specie ad Hircano e ad Antipatro, che sono aramaici, in cuore loro legati a filoparthici, in quanto hanno milioni di fratelli di lingua e di religione nel Regno parthico di Orode, che inviano annualmente carovane con le monete, dovute al tempio di Gerusalemme dagli ebrei parthici, scortate da cavalieri parthi fino al confine con la Siria, dove c’è il cambio con quelli romani che devono assicurare l’arrivo delle somme al tesoro gazophulakion nel Tempio.
Pompeo aveva concordato ciò in un trattato con i principi settentrionali della federazione parthica, poi ratificato da re Fraate e quindi dal successore Orode.
E’ quindi un’operazione di normalità amministrativa interna di controllo e di difesa in una precaria situazione banditesca nel percorso che va dall’Adiabene o da Zeugma,- che sono i due passaggi delle carovane dirette al tempio-.
Ai confini della Siria, poi, le carovane arrivano a Gerusalemme con il contributo dei cavalieri di Hircano e di Antipatro.
Quindi, il primo compito dato da Pompeo (e da Cesare-visto che il mandato di Gabinio si svolge nel periodo tra le due gravidanze di Giulia e che i duumviri concordano in ogni cosa) è ripristinare la situazione siriana e controllare i lhstai lungo i tragitti carovanieri e raggiungere l’Eufrate.
L’impresa contro i parthi, quindi, è da intendere come accertamento di percorribilità delle vie e come politica di prevenzione per una vera campagna militare antiparhica, missione proibita ad un Governatore.
Certamente Gabinio inizia la sua impresa dopo che Orode ha cacciato dall’ Armenia, uno stato della federazione, il re Mitridate e dopo che questi, rifugiatosi presso di lui, lo convince con doni e denarii a riportarlo sul trono. A causa di questa occasione da sfruttare, Gabinio, che ha già al suo fianco Antipatro, inviato da Hircano, riporta l’ordine nelle vie carovaniere che portano verso il Nord e verso la grande ansa eufrasica, nei dintorni di Zeugma.
L’impresa è ben iniziata in quanto Gabinio conosce il pericolo dei lhstai, rileva le connessione tra i giudei dell’impero romano e quelli partici, è informato sulla potenza ebraica lungo il corso dell’Eufrate e sul commercio fluviale grazie ai battellieri giudaici.
Ora quindi si spiega il rapporto tra Siria e Giudea e la Parthia e tra Gabinio e Hircano e il suo epimleths, che facilitano la penetrazione verso l’Eufrate grazie alla comunanza di lingua e di religione tra le popolazioni.
Perciò Gabinio su ordine di Pompeo – lui è governatore legatus pompeiano- ricevuto un secondo mandato quello di reinsediare sul trono Tolomeo Aulete, accanto il primo mandato esegue l’impresa egizia, un affare per Pompeo e per Cesare, che intendono ristabilire l’armonia universale anche in terra egizia, dilacerata da contrasti interni e da staseis continue.
Allora il governatore di Siria può arrivare secondo Cassio Dione a Pelusio senza incontrare resistenza. Lì avanzando con l’esercito, diviso in due raggruppamenti, vinse nello stesso giorno i nemici che gli vennero contro e dopo vinse una seconda volta sul fiume con le navi e sulla terra.
E’ sotteso l’aiuto dei giudei e dei nabatei, di cui non si parla nell’opera di Cassio Dione, che tratta invece degli alessandrini e del loro carattere: questi sono molto disposti ad insolentire in ogni occasione e molto inclini a fare chiacchiere inutili su tutto ciò che può capitare, ma sono assai inetti in guerra e nei pericoli che da essa derivano. Invece nelle guerre civili che presso di loro sono terribili e molto frequenti, arrivano spesso al delitto, perché non danno nessun peso alla vita in confronto alle liti del momento ed accettano la morte come una delle cose più nobili o più necessarie.
Vinti gli egizi, dunque, Gabinio uccide molti nemici tra i quali lo stesso Archelao, marito di Berenice, un disertore siriaco, di grande qualità strategiche, ben noto al dux romano, ripristina l’ordine in Egitto e lo riconsegna a Tolomeo che uccide la figlia e i più ragguardevoli e ricchi cittadini di Alessandria, avendo bisogno di molto denaro per pagare i debiti contratti a Roma e ad Efeso.
Dell’impresa fatta non manda notizie a Roma per non far evidenziare le illegalità compiute, ma la cosa si sa a Roma, a seguito di lettere e di ambasciate, da parte dei siriani e forse anche di Antipatro e di Hircano, che non possono certamente condividere le rapine del proconsole. L’Aulete secondo Cicerone, appena rimesso sul trono, deve pagare i debiti contratti con tanti banchieri romani.
Per quietare il suo creditore maggiore Rabirio Postumo, lo nomina ministro delle finanze, dioikeths ed epimeleths e quindi lo asseconda nell’aumento delle tasse tanto che il suo amministratore tiene il monopolio del vetro e del papiro e risulta il maggiore azionista anche dell’avorio e delle pietre preziose, che vengono inviate su navi a Roma.
Il popolo alessandrino si ribella (non solo gli ebrei e i greci ma anche i contadini egizi) ed allora il re simula di non essere a conoscenza delle imposte e fa imprigionare Rabirio, poi lo fa ripartire di notte su una nave per Roma, liberandosi del dioikeths disonesto.
A Roma, Rabirio, appena arriva, è processato per aver servito un monarca straniero con una carica amministrativa e condannato.
Gabinio ritorna in fretta dall’Egitto perché Alessandro di nuovo ha fatto insorgere i giudei e dopo a aver raccolto un grandissimo esercito ha preso a fare stragi di tutti i romani che si trovano in regione (Guerra giudaica, I,177).
Nel frattempo Antipatro , che è in avanscoperta, fa passare dalla sua parte alcuni ribelli, indebolendo l’esercito di Alessandro che, comunque, ha una notevole consistenza (30.000 uomini).
Il dux, che ritiene Alessandro un capo lhsths, secondo l’accusa di Lhsteia fatta da Antipatro – per noi significativa per la definizione degli zeloti antiromani- avanza e affronta i giudei presso il monte Tabor, ne uccide 10.000 e disperde gli altri.
Entrato in Gerusalemme, riordina il governo , secondo la volontà di Antipatro / pros to Antipatrou Boulhma katestasato thn politeian (Ibidem,178).
Eppure già prima di partire per l’Egitto, Gabinio ha fortificato e ricostruito senza pagare di persona, ma ha saldato conti, dopo aver prelevato denarii dalle casse, con le squadre di costruttori, qainiti, che erano uomini della stirpe di David, che prendevano anche appalti statali e costruivano con migliaia di uomini, technitai, guidati da architetti di provata maestria.
Gabinio, dunque, obbediente ai mandata del triumviro, capace di gestire personalità di grande rilievo come il romano Marco Antonio e i tre palestinesi Pitolao, Malico ed Antipatro è bravo anche negli affari, anche se non è ben rilevata la sua amministrazione, controversa a Roma per l’esosità: noi non abbiamo intenzione affatto, in questa sede, di fare uno studio accurato sui talenti presi ed intascati da Gabinio in Giudea, in Siria e in Egitto, ben conoscendo l’attività methoria dei trapezitai ebraici.
Precisiamo solo che precedentemente il dux, avendo già vinto Alessandro
con l’aiuto di generali giudaici e di suoi legati ,specie di Marco Antonio che mostra il suo valore specialmente, nella presa di Alexandreion , ristabilisce l’ordine nelle città devastate e le ripopola con un volontario afflusso di coloni in Scitopoli, Samaria, Antedone, Apollonia, Iammia, Rafia, Marisa Adoreo, Gamala ed Azoto (Ibidem,166) comportandosi secondo clementia col popolo e con Alessandro, perfino perdonato, sempre dietro compenso, quando il capo giudaico dispera della situazione e consegna le fortezze, poi distrutte su consiglio della madre stessa, moglie di Aristobulo, timorosa per gli altri componenti della sua famiglia prigionieri a Roma.
Inoltre Gabinio, tenendo conto dei suggerimenti di Antipatro e seguendo i decreti del senato e specie i mandata di Pompeo, secondo Flavio, restaura Hircano in Gerusalemme, gli concede thn tou ierou khdomian il potere di sorveglianza del tempio, mentre affida la cura del governo ad una giunta aristocratica / then allhn politeian epi prostasiai toon aristooon , ed infine divide l’intera nazione in cinque distretti, assegnandone uno a Gerusalemme, un altro a Gadara, il terzo con centro ad Amatunte, il quarto a Gerico e il quinto a Sepphoris, città di Galilea (ibidem 170)
La conclusione di Flavio è la seguente come per indicare che il governo di Gabinio è stato determinante per il cambio, gradito, di politeia e per mostrare una certa partecipazione della nobiltà:Asmenoos de ths ecs enos apikarteias eleutheroothentes to loipon aristokratiai diooikounto/ lietamente liberati dal governo monarchico, si ressero per il futuro col sistema aristocratico.
Il cambio di costituzione gabiniano lascia il campo come prima e il potere rimane nelle mani del sommo sacerdote e di Antipatro e in quelle dell’aristocrazia sadducea, mentre è penalizzato l’elemento popolare, farisaico, noto come espressione del malcontento generale giudaico, come forza antiromana .
Infatti, nonostante gli accordi del figlio e della moglie con Gabinio, poco dopo Aristobulo, fuggito da Roma riesce a raccogliere molti giudei, desiderosi di metabolh di cambiamento e altri suoi fautori, come Pitolao – che pur essendo vicecomandante in seconda di Gerusalemme, ha defezionato con mille uomini- rioccupa Alexandreion e, pur vinto dai legati di Gabinio, Sisenna, Antonio e Servilio, si ritira nella fortezza di Macheronte, inseguito dai romani.
Lo sfortunato Aristobulo resiste per due giorni e poi è costretto ad arrendersi: viene catturato col figlio Antigono ed inviato di nuovo a Roma.
Poco dopo giunge a Roma anche Gabinio , dopo aver tergiversato un poco, prima della consegna definitiva del comando di Siria a Licinio Crasso: al suo arrivo non ci sono accoglienze e lui stesso si tiene quasi nascosto, timoroso di essere inquisito, poi è costretto a subire due processi.
Inizialmente, comunque, durante il consolato di Crasso e Pompeo, essendo lui ancor assente, è difeso da loro ed è salvo: il primolo protegge per non dispiacere al collega, il secondo per non essere coinvolto, cosciente di essere il mandante delle sue azioni, avendo preso doni e denarii.
I consoli dell’anno successivo Lucio Domizio ed Appio Claudio, invece, sperando di ricevere denarii anche loro da Gabinio, volendo favorire il popolo, si impegnano a far condannare l’imputato per frode e per disobbedienza alla predizione della Sibilla, sia per ostilità verso Pompeo, che per l’inondazione del Tevere, – questa, per la plebe, si è verificata a causa dell’ira degli dei, provocata dalle colpe del governatore di Siria-.
La condanna è ribadita, al ritorno di Gabinio, in un momento in cui
Pompeo essendo fuori Roma per le provviste di grano, arriva tardi al dibattito processuale e non può incidere sul verdetto. Eppure il triumviro pronuncia discorsi a favore dell’amico e lo stesso Cesare invia lettere di difesa del suo operato: tutto risulta vano contro l’azione demagogica e contro le fobie religiose popolari, nonostante le suppliche di Pompeo che proibisce a Cicerone di non insistere nell’accusa.
I giudici, allora, emettono la loro sentenza di condanna all’esilio e solo Cesare, come dittatore, lo richiamerà. Nel 49 , Inviato da Cesare in Illiria, ( Cfr Appiano, Guerra Illirica, 12), attaccato e sconfitto dagli Illiri, si rifugia a Salona, cade malato e muore nel 47 a.C.