Nifo o Machiavelli?
Nel corso del mio lavoro di storico mi sono incontrato in tante conclusioni astoriche, in tanti giudizi assurdi, tirati col senno del poi da uomini considerati esperti.
Ho considerato, perciò, i tanto stimati esperti solo parolai e i grandi comunicatori di massa affabulatori e non seri operatori della storia.
Per me fare storia vuol dire ricostruire esattamente un ‘epoca in ogni settore di vita e perfino riprodurre la quotidianità in modo da veder scorrere la regolarità di normale flusso vitale come in un corpo vivente.
Solo se si lavora sincronicamente, pur tenendo conto della diacronicità, si può leggere effettivamente la storia ed averne qualche indicazione, pur vaga per il futuro.
Non mi sono mai sognato di mettere in relazione la storia con il presente e mai farla magistra vitae, considerandola paradigmatica.
Già Guicciardini, nei Ricordi, convinto che non sorge mai un sole eguale ad un altro e che la natura dell’uomo è malvagia mostra la necessitas della discrezione cioè di una virtus individuale che permette di essere prudente in quanto dà la capacità di saper distinguere per salvare il proprio particulare-utile, al di là della morale e della politica, in un adattamento continuo, di fronte al mutevole corso, infinito, degli eventi, sempre nuovi.
Perciò dice: è grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente ed assolutamente e per dire così, per regola, perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circostanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione ed eccezione non si truovano scritte nei libri , ma bisogna che le insigni la discrezione… quanto si ingannano coloro che ad ogni parola allegano e’romani…. è facilissimo giudicare per esempli, perché, se non sono simili, in tutto e per tutto, non servono e conciosiache ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto e il discernere queste varietà, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.
Ora non si può fare storia in relazione ai pregiudizi e solo alle narrazioni storiche e alla lettura isolata dei fatti secondo gli storici, anche se testimoni, e tanto meno secondo le valutazioni della critica storica che ha operato secondo parametri tipici dell’epoca di scrittura e di semantizzazione, coeva al personaggio e al proprio tempo di critica, in un tentativo di inserimento critico temporale e secondo la formazione del mito e della fortuna dei protagonisti.
Operazioni così fatte secondo la metretica platonica sono opus letterario non storico e non permettono di comprendere affatto il fenomeno storico.
Dunque, avendo un’altra methodos con un altro sistema di misurazione ho sentito il bisogno di rivedere la storia romana (Giudaismo romano e Caligola il sublime) e la storia del Cristianesimo (Jehoshua o Iesous?, Ma, Gesù chi veramente sei stato? Per una conoscenza del Cristianesimo) ed ho intravisto un’altra figura di Gesù. e con essa tante raffigurazioni in contrasto con quelle della tradizione: i lavori su Filone christianos o Christos filoniano?; su Dante o Cecco D’Ascoli? su Nifo o Machiavelli? su Foscolo, su Manzoni ecc sono gli exempla più lampanti,ma ce ne sono moltissimi altri, di cui ho parlato di solito in nota alle traduzioni…
Ora propongo, in breve, un‘altra storia di Machiavelli e la confronto con quella di Agostino Nifo considerato superficialmente un copiatore del Principe/De principatibus
Se si esamina la vita di Agostino Nifo (1470-1538) e quella di Niccolò Machiavelli (1469 -1527) ci si accorge che uno è uno studioso aristotelico di primo ordine e quindi interessato al discorso politico-morale e alla costituzione del regno, all’uomo, pars mortale ed immortale, al kosmos; l’altro è uomo di modesta cultura, un segretario di secondo ordine del comune di Firenze, un saltimbanco della politica (da repubblicano diventa mediceo per poi ritornare repubblicano).
ll primo, di Sessa Aurunca, è professore universitario a Padova ed in altri atenei, tra cui Pisa; è un esperto teorico dell’ immortalità dell’anima, dopo il superamento della personale crisi averroistica, tanto da meritare da Leone X, da lui difeso contro P. Pomponazzi (1462-1525) – di cui è confutata l’asserzione post mortem nihil – di essere definito mediceo e difensore della fede.
Il suo insegnamento è molto stimato se Torquato Tasso scrive il Nifo un Dialogo nel 1580, pubblicato nel 1583, con dedica «a’ Seggi (cioè alla nobiltà) ed al popolo napolitano», rivisto e ripubblicato nel 1585 e nel 1589 con dedica a Ferrante Gonzaga.
Nifo è nel Dialogo il filosofo per eccellenza, che discute con Cesare Gonzaga, figlio di Ferrante circa l’utile, l’onesto e l’onorevole, ed anche sulle le diverse varietà del piacere, con acutezza filosofica,non certamente inferiore a quella di Cicerone con cui rivaleggia per stile Infine fa anche riferimento all’istituzione a Napoli del tribunale dell’Inquisizione. (T. Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958).
Machiavelli non ha titoli di studio, è solo un dilettante e uomo che vede la politica come uno scritturale – cioè un segretario della seconda cancelleria, che scrive e registra quello che i superiori gli impongono, andando dai grandi dell’epoca (Caterina Sforza Riario ad Imola, da Luigi XII alla corte di Francia, da Cesare Borgia e, dopo la fine dei Borgia, da Giulio II, mentre è a contatto con Pier Soderini, gonfaloniere a vita, a cui propone l’efficacia delle truppe cittadine, risultate poi del tutto inaffidabili- e perfino dall’imperatore Massimilano d’Asburgo, facendo parziale esperienza della conoscenza del presente.Machiavelli assiste agli avvenimenti, passivo: sono altri che parlano: lui deve solo relazionare al proprio Comune quanto ha registrato fedelmente. Machiavelli ha aspirato per tutta la vita alla carica di ambasciatore senza conseguirla, mentre Guicciardini, dato il valore della famiglia e considerato il prestigio dei Salviati (a cui appartiene sua moglie), inizia giovanissimo una carriera prestigiosa, proprio come ambasciatore in Spagna e può ridere di coloro che ricorrono agli esempi dei romani, senza tener presente la varietà degli accidenti.
Machiavelli ha la volontà di andare dietro più alla verità effettuale della storia che alla immaginazione di essa ma questo si risolve solo in una personale ed emotiva esperienza delle cose presenti e nell’ accettazione di modelli antichi, e quindi in massime generiche e in una forma prescrittiva per il mantenimento di un principato nuovo, con un principe centauro, che abbia la razionalità della natura umana e di quella ferina le qualità congiunte della golpe e del lione, anche se soggetto ai colpi di fortuna …
La stessa scelta di una coppia Medici (Giuliano e Leone X prima,e poi Lorenzo e Clemente VII) modellati secondo l’esempio dei Borgia (Cesare e Alessandro VI) si rivela chiaramente sentimentale e inefficace come sentimentale è l’esortazione ad uno principe a pigliare l’Italia e a liberarla dalle mani de’barbari (exortatio ad capessendam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam).
D’altra parte la stessa impostazione dell’uomo malvagio per natura che per uno soldo venderia sua madre tutto teso al suo utile con la visione del potere incontrastato della fortuna (cap.,XXV) è elemento anch’esso sentimentale, più letterario che reale, capace di limitare il valore di un’ intelligenza costruttiva e creativa…
Comunque, aggiungo che per lui la politica è arte del momento che deve essere messa in relazione con i grandi exempla del passato e specificamente Persiani ed ateniesi, ebraici e latini in relazione alla Bibbia e alla storia di Tito Livio, (direi) i suoi due unici libri…
I paradigmi operativi del passato specie quelli di Mosè, Teseo Ciro e dei romani, sono necessari ai fini della storia fiorentina ed italiana (di un ‘Italia per come poteva essere concepita nel Cinquecento).
Il Principe (titolo originale in lingua latina: lett. ” Sui Principati”) è un trattato di dottrina politica scritto da Niccolò Machiavelli nel 1513 (cfr Lettera a Francesco Vettori 10.12.1513 in cui si dice che ha interrotto i Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio ed ha scritto in sei mesi il Principe), ma pubblicato nel 1532, nel quale espone le caratteristiche dei principati nuovi e dei metodi per mantenerli, dopo la conquista.
A di là del valore letterario dell’opera e delle massime variamente lette ed interpretate, Machiavelli ha avuto una sua validità storica, dopo la sua pubblicazione nel 1532 e una fama sempre in crescendo, Nifo, invece, una gloria solo nel Cinquecento.
Agostino Nifo scrive prevalentemente in latino (e che latino!) ed è scrittore di molti libri, tra cui anche il De regnandi Peritia, opera in cui vengono fatte divisioni tecniche, in circa ottanta pagine, sulla costituzione del principato, in relazione al principato augusteo connesso con tutta la trattatistica romano-ellenistica secondo una competenza specifica politica, neanche pensabile per un Machiavelli.
Nifo è un teorico della politica in senso umanistico e neanche ha bisogno di distaccare la morale dalla politica perché aristotelicamente è già diviso il campo politico in quanto tipico del vir civilis e quindi proprio dell’attività pubblica, da quello privato della sfera morale individuale: la sua lezione a politici, educati nelle tre lingue (italiano, latino e greco) è ben capita ed è ormai cosa accettata secondo le regole umanistiche, dalla seconda metà del Quattrocento.
Perciò Nifo usa la lingua latina in quanto si rivolge all’élite cortigiana, più sacerdotale che laica..
Cosa diversa è in Machiavelli, la cui scrittura in volgare (In Italiano) del Principe (solo i titoli dei 26 capitoli sono in latino) senza il lessico latino-greco e quindi senza il sostegno della cultura romano-ellenistica riprende la cultura ancora medievale e la innova, liberando la politica dalla morale…
Machiavelli vuole dare le armi ai cives fiorentini, formare milizie cittadine ed ha bisogno del volgare che usa bene, per la diretta comunicazione, mentre non avendo una padronanza assoluta della lingua latina, risulta retorico nelle formulazioni riassuntive in latino…
Il Nifo scrive l’opera nel 1523 a Pisa e non conosce affatto Machiavelli, che, per lui, è uomo di nessuna importanza, un indotto, neanche un suo possibile lettore: la gloria di Machiavelli deve ancora cominciare, nessuno ne parla fino agli ultimi decenni del Cinquecento…
Ed allora?
Storicamente, non può essere che il Nifo abbia letto e copiato Machiavelli, il quale, invece, può aver sentito i volgarizzamenti di politici toscani e fiorentini o le lezioni studiate dai discepoli locali.
Insomma Machiavelli può aver in qualche modo avuto conoscenza della teoria politica aristotelica secondo la lettura universitaria di un docente pisano, conosciuto a Firenze dall’ élite medicea…
Ne consegue che mi sembra giusto guardare da un’altra angolazione la vicenda di un serio scrittore del Cinquecento, bollato come copiatore da ammiratori del mito di Machiavelli.
Storicamente è prevalsa la cultura in vulgaris rispetto a quella in greco e in latino: dopo le Prose in volgar lingua del 1525 del Bembo, le lingue classiche restano negli atenei mentre si diffonde lo scrivere in poesia in volgare seguendo il Petrarca, in prosa il Boccaccio, in politica il Machiavelli , in ottemperanza alle leggi bembiane sul genere poetico e il modello di scrittura…
D’altra parte i canoni letterari platonici della prima metà del secolo e quelli aristotelici della seconda, dettati dai traduttori dell’Ars poetica di Orazio, determinano il criterio di miscere utile et dulce e di prodesse, ma anche di delectare nel primo Cinquecento, mentre nel secondo, anche per effetto del rigore della Controriforma, specie Minturno, Varchi e Piccolomini accentuano il carattere aristotelico e dànno maggiore importanza al docere e quindi all’utile obbedendo all’ordine della Chiesa, che impone un rigido moralismo e esige che la cultura presenti modelli di edificazione cristiana...
Si può forse dire, allora, che Nifo, comunque, abbia influenzato e in un certo senso dato sostanza a Machiavelli, che ha recepito volgarmente il messaggio del pensiero aristotelico, cinquecentesco, utilitaristico, rispetto alla impostazione precedente idealistica platonica e che ha sfruttato volgarmente quanto elaborato teoricamente nelle università: la successiva fortuna è solo un caso.